
In questi mesi di pandemia le politiche messe in campo per affrontarla hanno riportato in evidenza i temi del rapporto tra Stato e Regioni e ci ha fatto tornare a ragionare di autonomia differenziata.

Interlocutore privilegiato, il professor Viesti che ha tanto scritto e lavorato sul tema ci ha dedicato un’intervista per discuterne, insieme ad altre questioni come le risorse europee, la politica fiscale, il Mezzogiorno e l’Università italiana.
Gianfranco Viesti è professore ordinario di Economia applicata nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari.
I suoi più recenti volumi: “La laurea negata. Le politiche contro l’istruzione universitaria” (Laterza) e “Verso la secessione dei ricchi?” (Laterza).
Lei con una felice espressione ha detto che il regionalismo differenziato è di fatto una secessione dei ricchi oltre che una secessione delle Regioni. Ha spiegato che “Rapportare il finanziamento dei servizi al gettito fiscale significa stabilire un principio estremamente rilevante: i diritti di cittadinanza, a cominciare da istruzione e salute, possono essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori laddove il reddito pro-capite è più alto”. A che punto siamo?
All’estate scorsa. Eravamo con le richieste della Lombardia, del Veneto e per alcuni aspetti dell’Emilia Romagna che avevano delle criticità abbastanza consistenti.
La prima era sull’estensione sterminata delle materie per cui avrebbero frammentato tutte le principali politiche pubbliche italiane. La seconda criticità era dal punto di vista del finanziamento perché si battono per avere, in un modo o nell’altro, maggiori risorse rispetto ad oggi, anche con meccanismi che avrebbero potuto trattenere direttamente sul territorio regionale il gettito e quindi privare il Tesoro di una parte degli incassi che, di questi tempi, sarebbe una soluzione tremenda.
Infine c’era la loro richiesta che però al momento mi sembra quella più difficile di tutte, di procedere velocemente attraverso un intesa diretta col Governo e un voto in Parlamento soltanto per la ratifica. Adesso vediamo quello che succede, ho letto l’intervista sul Corriere a Zaia che bisogna riprendere velocemente la discussione sul tema.
C’è anche la questione dei comuni che giustamente richiedono delle risorse in più. De Magistris ha fatto ricorso a parole forti in un’intervista concessa a Micromega.
Indipendentemente dal caso specifico, i Comuni sono in una posizione centrale perché in questo momento devono assorbire tutte le enormi difficoltà sociali di molto cresciute con la chiusura e che andranno aumentando almeno fino alla fine dell’anno. Le richieste dei Comuni, in linea generale, mi sembrano tra quelle da tenere in maggiore considerazione perché gli interventi per le fasce, piuttosto ampie, di popolazione più povera e di quelle che adesso sono entrate in maggiore difficoltà con le chiusure e con il rallentamento dell’attività economica, ricadono per una buona parte sulle spalle dei comuni.
Continua la lunga tradizione dell’oblio, nelle politiche di governo, della questione meridionale. Nell’immediato, magari approfittando delle risorse per la ripartenza, cosa si potrebbe fare per invertire la tendenza?
Adesso è un momento decisivo. Tutto il futuro del Paese si gioca su un intervento di forte rilancio senza il quale saremo nei guai. Provvedimenti che dovrebbero essere sostenuti dalle decisioni del Consiglio europeo che giudico estremamente positive. I contenuti di questo piano saranno importanti per i prossimi 10 anni e quindi questo è il momento in cui bisogna tornare con forza alla carica soprattutto perché bisogna puntare su un aumento molto consistente e strutturale dell’occupazione nel Mezzogiorno. Questo è l’obiettivo più importante che l’Italia deve raggiungere nei prossimi anni.
Lo si dovrà fare con un maggior intervento pubblico che incidano sull’intero Mezzogiorno o nei micro territori?
Un piano per la crescita del Paese è un strumento articolato naturalmente. La grande differenza rispetto al passato, dato il contesto, è che le decisioni e l’azione pubblica sono al centro. È un azione che si deve concretizzare sia con un aumento, in tempi brevi e molto ampio, degli investimenti pubblici perché sono decisivi, al minimo storico di sempre in Italia, e sia con interventi diciamo di ridisegno e rafforzamento dei grandi servizi pubblici: scuola, sanità e assistenza. Come al solito non si tratta di fare cose particolari per il Mezzogiorno, ma di avvicinare le condizioni sia di dotazione di capitale pubblico sia di funzionamento dei servizi a quelle medie del Paese. Un piano di ripresa per l’Italia deve avere gli stessi strumenti e gli stessi obiettivi per tutti i territori, ma deve essere più intenso in quelli più deboli.
Lei accennava poc’anzi ad un giudizio positivo sugli interventi previsti da Bruxelles dalla Next Generation Fund ai fondi Bei ai fondi MES a SURE.
Non li abbiamo visti, dobbiamo vedere i testi finali perché i problemi si vedono studiando sempre i dettagli. Per come è stata impostata da Merkel e Macron e per come si è sviluppata fino ad ora mi sembra una mossa molto positiva.
Le risorse in ballo non sono colossali, sono importanti, ma non sono colossali. Però è il tipo di intervento che viene proposto, il ruolo del Bilancio europeo che viene proposto è molto innovativo, molto positivo, quindi speriamo che si concretizzino presto e che non sia condizionato troppo dei piccoli paesi europei. Vedremo, come dicevo, i testi finali: quanti soldi, quanto tempo, quali condizioni. Per il momento mi sembra una novità assolutamente positiva.
Torniamo in Italia: alcuni organi si stampa hanno parlato della possibilità che il governo voglia utilizzare parte dei fondi europei per una riforma fiscale riducendo le tasse. Come sostiene Giulio Marcon queste avvantaggerebbe i benestanti. ed è “il contrario di ciò che serve al paese”.
Mi sembra una discussione senza senso. Non sta nelle regole europee e, diciamo, questi fondi sono destinati prevalentemente ad investimenti e servizi. Poi certamente si può fare adesso una riduzione fiscale, però con i soldi propri, ma francamente in questo momento mi sembra molto difficile metterla in atto, non bisogna andare dietro a Salvini. Quello che bisogna fare è aumentare la progressività e quindi aumentare la tassazione sui redditi particolarmente alti e alzare molto la soglia di esenzione in modo da rendere il sistema fiscale più progressivo. Questa è una riforma benvenuta in modo che si riduca un po’ la pressione sui redditi medio bassi e aumentare sui redditi particolarmente alti. Ma certamente andare dietro all’idea che il Paese si riprende se abbassiamo le tasse significa non aver capito niente degli ultimi trent’anni, significa essere tornati a Berlusconi dell’inizio degli anni ’90. Il Paese si riprende se si attuano politiche pubbliche forti.
Un’ultima domanda. La prof Valeria Pinto in “Valutare e punire” mette nero su bianco una critica profonda alla cultura della valutazione fin nei suoi presupposti ideologici. Mi perdoni la citazione, ma rispondendo ad una domanda alla nostra rivista spiegava che “Un’agenzia governativa – l’Anvur – interviene mettendo a sistema presunti criteri di scientificità delle pubblicazioni, modalità, forme, tempi e valore delle stesse. Irrompe nelle redazioni delle riviste poliziescamente, intimando di mostrare le schede del “peer review” se non si vuole essere declassati, insomma non ti fa visita buttando all’aria scaffali e scartoffie, o chiudendo redazioni con modi da sbirri, ma con gentilezza (con “spinta gentile”) semplicemente ti chiede di mostrare la tua completa conformità”. Qual è la sua opinione a proposito delle modalità con cui è governata l’Università?
Sono molto d’accordo e ho scritto due libri sul tema. Quello che si è fatto per l’Università rappresenta l’ ambito nel quale sono state portate avanti, a mio giudizio, le politiche più sbagliate: una riduzione del sostegno all’Università italiana quando invece bisognava aumentarlo, una riduzione che si è andata accumulando nel tempo e poi una riduzione selettiva fra sedi su criteri assolutamente discutibili. Da questo punto di vista l’Anvur, questa struttura apparentemente tecnica, ma in realtà politica che hai in mano una parte delle scelte che la politica finge di non fare e delega ad una struttura tecnica. Quindi sicuramente una politica, dal mio punto di vista, da rivedere.
Pasquale Esposito
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