
Sono in molti tra economisti e politici a temere che l'inasprimento dei dazi sulle importazioni voluto da Trump posso infilarci dritti in una recessione mondiale. Ma è forse proprio questo rischio, che colpirebbe anche l'economia americana, uno dei motivi perché l'establishment di Washington non spingerà oltre l'acceleratore.
Del resto anche negli ambienti repubblicani si sollevano dubbi come nelle parole del senatore Orrin Hatch che non solo vede nero per le imprese e per i consumatori, ma ritiene che alla fine ci si inimicherà gli alleati e li costringerà a rispondere con altri dazi.
Inoltre se dovesse aumentare il livello dello scontro potrebbe compromettere uno dei pochissimi atout a disposizione e cioè la crescita dell'economia americana.
Un altro aspetto mi spinge a pensare che una guerra commerciale duratura non è nell'ordine delle cose, nonostante tutta l'irruenza e la strafottenza del presidente americano. Infatti queste decisioni sono anche, se non soprattutto, figlie della necessità di rispettare le promesse elettorali in difesa dei lavoratori americani con la convinzione che questo aiuti ad evitare la sconfitta a novembre prossimo quando Trump rischia di perdere la maggioranza sia al Senato che alla Camera.
Del resto che sia anche propaganda è evidente perché non saranno i dazi contro la Cina o l'Europa a riportare indietro i posti di lavoro persi soprattutto per la delocalizzazione o perché le attività erano decotte.
Perché Trump ha evitato i dazi sugli smartphone importati dalla Cina? Gli iPhone di Apple sono tutti prodotti dalla multinazionale Foxconn in Cina e vengono prodotti lì perché le condizioni di lavoro e la paga oraria consentono profitti molto alti a fornitore e committente soprattutto.
La stima sul valore di questi dazi è di circa 50 miliardi di dollari (sono solo il 10% dell'interscambio con la Cina), ma il 6 luglio ne partiranno per 34 miliardi coinvolgendo oltre 800 prodotti e successivamente verranno aggiunti altri 300 prodotti circa per il rimanente valore. Tra i beni assoggettati troviamo auto, aerei, bulldozer, elicotteri, hard disk magnetici, macchinari industriali, navi, turbine…
Le motivazioni ufficiali sono i 375 miliardi di dollari di deficit commerciale e le violazioni della proprietà intellettuale dei prodotti americani. In effetti Trump, sostenuto dai due consiglieri sul commercio Peter Navarro e Robert Lighthizer vuole frapporre ostacoli allo sviluppo tecnologico di Pechino.
Le autorità cinesi hanno già pronta la lista, esattamente speculare, contro i prodotti made in USA. Vedremo se la strategia dello scontro per negoziare meglio otterrà risultati e se davvero andrà avanti con i disastri previsti da tutti.
In chiusura vale la pena ricordare che il deficit commerciale americano è testimone di un consumo superiore al reddito disponibile e del fatto che ciò è possibile grazie al dominio del dollaro nel mondo.
Pasquale Esposito
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