Demenza e Alzheimer: altre linee di ricerca

Alzheimer, demenza
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È in grande attività la Scienza che sta approcciando argomenti utili almeno a mitigare significativamente gli effetti dell' Disease (AD), il tipo di demenza che provoca disagi gravissimi e progressivi a chi ne viene colpito e che coinvolge inevitabilmente tutte le persone che gravitano intorno al malato. Nelle ultime settimane sono almeno tre gli studi diffusi nella stampa specializzata che hanno suscitato interesse, ben oltre le controverse ipotesi legate alle autorizzazioni concesse ad alcune molecole utilizzanti anticorpi monoclonali. Si è parlato di studi sul ruolo del colesterolo e sui geni connessi con le loro varianti, la presenza di alcune proteine che sarebbero premonitrici di uno sviluppo futuro per l'Alzheimer ed infine un sviluppato da scienziati giapponesi che sarebbe in grado di prevenire il decorso della malattia di Alzheimer.

Cercando di fare ordine su quanto pubblicato, emergono nuove ipotesi di studio ma anche sonore argomentazioni da larga parte degli scienziati che non condividono l'utilizzo di molecole innovative ma dagli effetti collaterali particolarmente gravi. Sono numerose le pubblicazioni [1] che hanno lanciato più di una perplessità sull'operato della (FDA), l'ente governativo americano che regola l'utilizzo di farmaci, asserendo, in modi diversi, che l'ente commise un errore nel passato quando autorizzò una tipologia di farmaci, ai quali appartiene il Lecanemab, che ha effetti collaterali devastanti e mostra benefici davvero poco significativi per giunta a costi elevatissimi.

Su queste basi è diventato importante che si vadano ad esplorare altre ipotesi di cui, quella sul colesterolo e le basi genetiche della APOE4 pare sostanzialmente possa essere meritevole di ulteriori studi ed approfondimenti. L'ipotesi formulata è che il gene APOE, regolatore nei mammiferi dell'equilibrio lipidico, quando è presente con la variante 4, possa aumentare il rischio di sviluppo dell' AD. L'ipotesi è che tale rischio aumenti di tre volte se viene ereditata una sola copia del gene mentre si sale fino ad un rischio di 12 volte se invece dovesse risultare in un soggetto presente in coppia. [2]

A questa ipotesi ne è stata formulata un'altra che esplora le possibilità sulla comparsa di alcuni tipi di proteine nella mezza età, che sarebbero un segno di precoce incidenza del morbo di Alzheimer. Ne parla Lilly Tozer su Nature il 21 luglio scorso, dopo che su Scienze Traslation Medicin erano stati pubblicati i risultati del lavoro. [3] Si tratta di valutazioni scaturite dopo aver seguito migliaia di soggetti oltre i 25 anni che avrebbero sviluppato livelli abnormi di alcune proteine responsabili o comunque legate all'incedere della demenza. Il neuro scienziato Keenan Walker presso il National Institute on Aging nel Maryland (USA) si è chiesto, insieme ai suoi collaboratori, quale predizione per la demenza potesse essere individuata osservando i proteoma delle persone. Osservare cioè l'insieme delle proteine espresse da una cellula o da tessuti in determinati momenti – il termine proteoma è composto da prote (da proteine) e oma (da genoma) – in modo da individuare livelli di concentrazione abnormi di esse. Individuare cioè livelli più alti o più bassi del normale di proteine che potessero dare indizi relativi al rischio di sviluppo di demenza legato a questi stati di livelli non normali. Lo studio è legato ad una lunga osservazione partita dal 1987 ed ha esaminato i livelli di proteine dei partecipanti sei volte in tre decenni. In questo lasso di tempo un paziente su cinque di loro ha sviluppato demenza. Sono state 32 le proteine osservate con livelli abnormi nei soggetti di età tra 45 e 60 anni associate ad un elevato rischio di sviluppo di demenza in avanzata età. Non è risultato chiaro il come queste proteine possano essere legate allo sviluppo della malattia, tuttavia Walker ritiene che sia altamente improbabile che si tratti di un collegamento casuale. Da ciò l'ipotesi che i dati sul proteoma, non valutati da soli ma associati a storia familiare ed età, possano aiutare a formulare ipotesi sul rischio di sviluppo della malattia. Gli studiosi hanno anche formulato osservazioni su alcune proteine che sono attive nei distretti cerebrali, ma anche su altre che hanno nel corpo attività regolatoria e di bilanciamento dei livelli proteici. È intuitivo che l'azione regolatoria eviti che le proteine si ammassino cosa che è quanto accade nelle proteine amiloidi nelle persone affette da malattia di Alzheimer causa di demenza. Nello studio sono stati individuati livelli di alterazione relativi a molte proteine sia in soggetti deceduti che avevano l'Alzheimer sia in soggetti, sempre affetti dallo stesso morbo, ma ancora in vita. Altro parametro da considerare è che proteine studiate nel lavoro erano collegate alla attività immunitaria tanto da far ipotizzare che soggetti affetti da malattie immunitarie potevano risultare più vulnerabili nell'Alzheimer.

La notizia però più significativa di questi giorni che apre a nuove ipotesi, qualora i presupposti sugli animali di laboratorio fossero confermati dalle sperimentazioni, è il risultato ottenuto da alcuni scienziati giapponesi che hanno lavorato su un vaccino che prendesse di mira la glicoproteina associata alla senescenza (SAGP) [4]. Questa glicoproteina è espressa dalle cellule cerebrali legate ad Alzheimer. L'osservazione su topi, trattati con il vaccino, ha messo in evidenza una riduzione dei depositi di amiloidi, una riduzione dei biomarcatori di infiammazione ed ha permesso di osservare un comportamento degli animali da laboratorio più consapevole del loro ambiente, attività ansiogena, cosa che è stata valutata come un miglioramento della sintomatologia legata alla malattia. Questo perché nelle manifestazioni legate all'Alzheimer avanzato manca la componente ansia nei comportamenti dei soggetti considerati. Prima che però la sperimentazione possa iniziare sugli umani occorrerà del tempo. Si tratta di un nuovo progetto terapeutico mirante a prevenzione ma anche di aiuto in caso di malattia conclamata. La presentata nei dettagli nelle sessioni scientifiche delle scienze cadiovascolari dell'American Heart Association 2023 di Boston, parte da studi precedenti tenuti sempre in Giappone in cui un vaccino era stato testato per eliminare le cellule che esprimono la glicoproteina associata a senescenza (SAGP), cosa che in esperienze murine aveva migliorato aterosclerosi e diabete di tipo 2. Inoltre si era anche acquisita un'altra informazione in studi paralleli che la proteina SAGP è presente in modo elevato nella microglia delle persone affette da malattia di Alzheimer.

Emidio Maria Di Loreto

Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi necessità sul proprio stato di salute, su modifiche della propria cura o regime alimentare, si consiglia di rivolgersi al proprio medico o dietologo.

[1] Sull'argomento dalla stampa specializzata: Heralded Alzheimer's drug works – but safety concerns loom; Multiple Cerebral Hemorrhages in a Patient Receiving Lecanemab and Treated with t-PA for StrokeLecanemab trial in AD brings hope but requires greater clarity in Lecanemab nella malattia di Alzheimer precoce

[2] Emdio Maria Di Loreto, Alzheimer. La ricerca evidenzia il ruolo del colesterolo nel distretto cerebrale, 28 novembre 2022.
[3] Lilly Tozer, Dementia risk linked to blood-protein imbalance in middle age, 21 luglio 2023.
[4] Neurosciences news,Karen Astle American Heart association, New Vaccine Targets Alzheimer's Disease at its Roots, 30 luglio 2023.

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