
Mentre, su iniziativa del Governo spagnolo Zapatero, la Dieta Mediterranea si appresta ad essere inserita nella lista del patrimonio dell'umanità presso l'Unesco per il valore storico e per i benefici sulla salute dimostrati scientificamente, si moltiplicano gli studi e le inchieste su come gli italiani, soprattutto le nuove generazioni, si stiano allontanando sempre più vistosamente da quello che è, o che è stato, il modello alimentare più famoso al mondo. Ci si domanda se queste nuove tendenze alimentari, sempre più simili a quelle di altri paesi europei, ci possono fare ancora affermare che il nostro modello sia di tipo “mediterraneo” o se, piuttosto, non sia vagamente un “ibrido” tra quello rappresentato nella nostra penisola agli inizi degli anni 60 e quello attualmente presente nei paesi del Nord Europa o negli Stati Uniti.
Per provare a dare una risposta a questo interrogativo è necessario partire dal modello “storico” di dieta mediterranea. Chi sa esattamente cos'è? Difficile dirlo. Il primo a parlarne fu l'epidemiologo americano Ancel Keys, all'inizio degli anni sessanta, il quale intuì nelle abitudini alimentari dei contadini e dei pescatori dell'Italia meridionale un modello corretto di comportamento alimentare. La dieta era basata sul consumo di cereali, vegetali, legumi, frutta e su quello relativamente scarso di grassi, soprattutto di origine animale. Keys dimostrò attraverso uno studio comparativo dei regimi alimentari di sette Paesi (Finlandia, Grecia, Italia, Giappone, Olanda, Stati Uniti ed ex Jugoslavia, il Seven Country Studiy) che questa alimentazione era correlata a livelli medio-bassi di colesterolemia ed incidenza di malattie cardiovascolari particolarmente bassa [1, 2, 3, 4].
Così, negli anni 60, man mano che venivano pubblicati i primi risultati del Seven Countries Study e i dati di due altri grandi studi (Euratom' Study e The Food Balance Sheets commissionato dalla Fao), gli abitanti di numerosi Paesi del Nord Europa, in particolare i finlandesi, sentendo sempre più parlare dei benefici della dieta mediterranea tentarono di cambiare le loro abitudini alimentari per cercare una soluzione all'alta incidenza di malattie coronariche e all'alto tasso di mortalità prematura (all'epoca, un finlandese su tre moriva di infarto prima dei quarant'anni) [4 ]. Molto fecero queste popolazioni per cambiare le loro abitudini alimentari al punto che le morti per cardiopatie ischemiche diminuirono drasticamente di otre la metà percentuale. Alla fine degli anni novanta, grazie principalmente a questa prevenzione primaria, i decessi in questi Paesi (Finlandia, Irlanda, Germania e Gran Bretagna) scesero progressivamente assestandosi su valori percentuali molto più bassi rispetto ai decenni precedenti, ma ancora molto alti, anche più del doppio, rispetto ai Paesi del Sud Europa (Spagna, Grecia e Italia).
Inoltre, numerosi altri studi e indagini epidemiologiche hanno dimostrato che le caratteristiche nutrizionali dell'alimentazione mediterranea sono importanti anche nel modificare i rischi di varie malattie tumorali [5, 6].
E' certamente possibile indicare in Nicotera, un paese della Calabria (che, insieme a Crevalcore e Montegiorgio, nel 1960, ha fatto parte del Seven Countries Study), una delle località che meglio ha rappresentato la vera dieta mediterranea. L'alimentazione di questi abitanti, come si può vedere dallo schema, era caratterizzato principalmente da un consumo di carboidrati, superiori al 60%, soprattutto cereali come pane e pasta, ma anche da legumi e da un alto quantitativo di frutta, verdura e ortaggi. Il totale delle verdure e dei frutti consumati giornalmente nell'Italia del Sud del 1960 era di 426 grammi, che sommati ai 486 di cereali portava a quasi un chilogrammo il consumo totale di cereali, frutta e verdura [7, 8].
Tra i nutrienti, i più “efficaci” nella dieta erano, gli acidi grassi monoinsaturi (MUFA), come l'acido oleico, derivante principalmente dall'olio d'oliva, al quale è riconosciuta la capacità di ridurre la mortalità per le citate patologie cardivascolari, e le fibre presenti nei cereali, legumi e vegetali capaci di abbassare di molto la percentuale dei tumori.
Le proporzioni di energia derivante dai grassi nella dieta degli anni '60 è, ad oggi, ancora molto dibattuto perché altri riferimenti della “dieta mediterranea” basati sui dati derivanti da Creta, Corfù e altri posti del Sud Italia (Pollica e Rofrano, nel Cilento), riportano consumi di grassi molto diversi: a Creta (fino al 42% di grassi), a Corfù (fino a 34%) e in Italia del Sud (fino a 27%).
Tra le proteine, la carne, praticamente assente negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale e fino alla fine degli anni 50, compare con una frequenza maggiore, fino a tre volte a settimana, agli inizi degli anni sessanta. Con la ripresa economica del Paese vi è un'impennata della produzione di carne bovina e di altri tipi di carne (pollo, tacchino, coniglio, selvaggina) inclusa la carne suina [9]. L'incremento di quest'ultima è la conseguenza della grande diffusione del prosciutto che spesso finisce per sostituire il classico piatto di carne.
Comunque, certamente basso (meno del 15% delle calorie totali giornaliere) era il consumo complessivo di proteine di origine animale e minima era anche la quantità di colesterolo e di acidi grassi saturi (SFA) assunta con latte, formaggi e latticini.
Il pesce, che compariva poco frequentemente, era consumato fresco solo nei paesi lungo le coste.
Sulle nostre tavole appare l'olio di semi, anche se a farla da padrone è sempre l'olio d'oliva che soppianta del tutto il lardo e quasi del tutto il burro.
Il consumo di zuccheri e dei dolci è minimo. Moderato era anche il consumo di bevande alcoliche, rappresentato quasi unicamente dal vino (due – tre bicchieri al giorno per gli uomini, due per le donne), di solito bevuto durante i pasti [9].
I profondi mutamenti di vita e di alimentazione avvenuti subito dopo la guerra hanno certamente contribuito a produrre in Italia effetti positivi, a partire dalla scomparsa di malattie da carenza di nutrienti fino ad arrivare ad un miglioramento globale dello stato nutrizionale (arrivando ad ottenere un aumento della statura media della popolazione e uno spostamento dell'età media della vita oltre i 70 anni) [10]. Ma, dall'inizio degli anni 70, è osservato un progressivo cambiamento delle abitudini alimentari degli italiani che ha incrementato alcune patologie quali l'obesità.
Da studi effettuati a Nicotera nel 1996 [11] e in altri paesi del Sud Italia [12, 13], e da un'inchiesta sulle abitudini alimentari di 3000 cittadini italiani pubblicata nel 2006 [14] è emerso come la dieta mediterranea, ha subito, progressivi mutamenti non solo nella composizione nutrizionale degli alimenti, ma anche nello stile di vita abbandonando il modello “tradizionale”.
Ad esempio, a Nicotera, il quantitativo di carboidrati è drasticamente passato dal 63% del 1960 al 44% del 1996, a dispetto di un aumento percentuale dei grassi animali, più che raddoppiato (dal 4% al 9%), e dei grassi vegetali passati dal 19% al 35%. E' rimasto pressoché invariato il consumo percentuale di proteine totali, ma sono cambiate le fonti di provenienza: si è passati a un maggiore consumo di proteine animali (dal 3% al 7%) a fronte di una dimezzamento di quelle vegetali (dal 10% al 5%).
Le calorie totali assunte dagli uomini erano costituite da circa 2.500 calorie nel 1960 a 2.400 calorie nel 1996 [15].
Le donne, invece, avevano un consumo totale energetico passato da 1.775 calorie (nel 1960) a 2.585 calorie (nel 1996), con un incremento del 45% delle calorie introdotte, superando così in media il consumo totale energetico degli uomini nello stesso periodo.
In Italia, attualmente, possiamo affermare che la dieta si è ulteriormente sbilanciata rispetto a quella di soli vent'anni fa. La componente vegetale costituita da alimenti fondamentali della dieta mediterranea come cereali, frutta e verdura, ricca di amidi e fibra, è andata progressivamente riducendosi, e il tenore lipidico si è elevato a scapito della quota in carboidrati. Il quantitativo di pane, pasta e altri cereali che dovrebbero coprire il 60% del nostro introito calorico giornaliero è sceso al di sotto del 40%. Solo sei italiani su dieci mangia verdura una volta al giorno, mentre la frutta viene consumata in una sola porzione da solo un terzo degli adulti e degli adolescenti, quando le porzioni tra frutta e verdura consigliate dall'INRAN (Istituto Nazionale per la Ricerca degli Alimenti e la Nutrizione) dovrebbero essere almeno cinque al giorno.
Parallelamente, si è avuto un incremento del consumo di alimenti di origine animale, che ha portato ad una crescita della quota sia di proteine sia, soprattutto, di grassi e quindi di calorie. Adulti e adolescenti consumano troppi formaggi e latticini, circa una porzione al giorno, quando dovrebbero essere consumate non più di tre volte a settimana, mentre basso è il quantitativo di latte e yogurt (meno di una porzione contro le tre consigliate giornalmente). Decisamente alto è il consumo di carne tra gli adulti: quattro volte più alto rispetto ai dettami della dieta mediterranea. Peggio quello tra gli adolescenti che, arrivando a mangiare frequentemente panini con affettati (in particolare prosciutto e salame), fanno impennare la quota di carne giornaliera, in media, oltre le cinque porzioni. Scarso, al contrario, è il consumo di altra fonte proteica: uova, pesce e legumi [14].
Riguardo a dolci e dolciumi, il consumo è quotidiano ed eccessivo. Merendine, torte, caramelle e cioccolato sono mangiate sei volte al giorno dai ragazzi e tre volte, in media, dagli adulti.
L'alcol oggi, rappresentato da bevande di vario tipo assunte anche lontani dai pasti, è consumato nella misura di una porzione al giorno (soprattutto vino e birra) dagli adulti e, in media, metà porzione al giorno dagli adolescenti (il che è sicuramente troppo).
Ma la dieta mediterranea non può essere considerata solo un modello alimentare. Essa è tradizionalmente anche uno stile di vita caratterizzato da alti livelli di attività fisica. Durante gli anni '60 gli abitanti mediterranei, studiati nel Seven Countries Study, erano duri lavoratori dei campi, ciò significava che la loro attività fisica era intensa, particolarmente durante il periodo di raccolta. Oggi “i mezzi di trasporto e le tecnologie avanzate hanno ridotto drasticamente la fatica dell'uomo, a tutti i livelli“, spiega Eugenio Del Toma, Presidente Onorario dell'Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica. “Per surrogare le proteine della carne e rifornirsi di tutti gli aminoacidi essenziali in passato bastavano cereali e legumi ma questo binomio era anche apportatore di una quantità, oggi non più spendibile, di calorie! Se i nipoti dei contadini del Cilento volessero mantenere le tradizioni alimentari dei bisnonni, l'obesità diventerebbe per la maggior parte di loro un traguardo inevitabile. L'alimentazione esemplarmente “povera” di grassi e di proteine animali del primo Novecento era sobria, talvolta perfino troppo carente per chi doveva “spendere” almeno un migliaio di calorie in più di quanto non faccia oggi un normale impiegato. Riesumare integralmente quelle abitudini non sarebbe un progresso, ma valorizzarne i principi generali (in primo luogo la frugalità!) è una ricetta tuttora valida, senza dimenticare però i meriti indiretti dello stile di vita e in particolare dell'incessante operosità muscolare di quelle genti, in tutte le età della loro vita“[16].
Se l'Italia è il Paese europeo con il record della longevità (con una vita media di 77,2 anni per gli uomini e di 82,8 anni per le donne) è dovuto sicuramente a ciò che resta della nostra tradizione alimentare e della nostra cultura e se pure, ad oggi, la popolazione italiana ha in Europa la percentuale più bassa di persone obese, le cifre sono assolutamente implacabili: oltre il 30% della popolazione è in sovrappeso, mentre il 9,5% degli uomini e il 10% delle donne sono affetti da obesità. Il problema non è di poco conto. In nove anni l'obesità infantile è passata dal 6% a oltre il 13% nell'Italia del nord [17]. Cifre ben lontane da quelle di solo pochi decenni fa. Non possiamo cantare vittoria.
Gaetano Paparesta
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DEFINIZIONE DI DIETA MEDITERRANEA:
(dieta di riferimento secondo il Seven Countries Study)
Nicotera 1960
· alto consumo di carboidrati (> 60 %)
· ampia varietà di frutta e verdura
· bassi consumi di grassi totali (< 30 %)
· grassi “aggiunti”(olio d'oliva) > 70 % dei lipidi totali
· alti consumi di MUFA
· bassi consumi di SFA (< 10 % dell'energia totale)
· alto consumo di fibra (circa 30 g/die)
· bassi consumi di carne e latte
· bassi consumi di zuccheri “aggiunti”
· bassi consumi di colesterolo
Corfù e Creta (primi anni '60)
A Corfù il consumo di grassi era superiore al 27 % dell'energia totale, mentre a Creta superava il 36 %, (con oscillazioni stagionali variabili tra il 31-42 %)
da diapositiva del prof. Amleto D'Amicis
Bibliografia
1. Marion Nestle: Mediterranean diets : historical and research overview. Am J Clin Nutr 1995;61 (suppl) 1313S-20S.
2. Ancel Keys: Mediterranen diet and public health: personal reflections. Am J Clin Nutr 1995;61 (suppl):1321S-3S.
3. Elisabet Helsing: Traditional diets and disease patterns of the Mediterranean, circa 1960. Am J Clin Nutr 1995;61(suppl):1329S-37S.
4. Anna Ferro Luzzi e Francesco Branca: Mediterranean diet, Italian Style: prototipe of a healthy diet. Am J Clin Nutr 1995;61(suppl):1338S-45S.
5. Alessandra Tavani e Carlo La Vecchia: Fruit and vegetables consumption and cancer risk in a Mediterranean population. Am J Clin Nutr 1995;61(suppl):1374S-7S.
6. L. H. Kushi, E. B. Lenart e W. C. Willett: Health implications of Mediterranean diets in light of contemporary knowledge. Plant foods and dairy products. Am J Clin Nutr 1995;61(suppl):1407S-15S.
7. A. Ferro Luzzi e S. Sette: The Mediterranean diet: an attempt to define its present and past composition. European Journal of Clinical Nutrition (1989) 43, (suppl. 2), 13-29.
8. A. De Lorenzo, A. Alberti, A. Andreoli, L. Iacopino, P. Serrano e G. Perriello: Food habits in a southern Italian town (Nicotera) in 1960 and 1996: Still a reference Italian Mediterranean diet? Diab. Nutr. Metab. 14 : 121-125, 2001
9. R. Fanfani, F. Salluce: I consumi alimentari in Italia ed Europa:cambiamenti strutturali, convergenze e differenziazioni. Atti del Dipartimento di Statistica dell'Università degli Studi di Bologna, 1996
10. Anna Ferro Luzzi e Francesco Branca: Mediterranean diet, Italian Style: prototipe of a healthy diet. Am J Clin Nutr. 1995;61(suppl):1338S-45S.
11. A. De Lorenzo, A. Alberti, A. Andreoli, L. Iacopino, P. Serrano e G. Perriello: Food habits in a southern Italian town (Nicotera) in 1960 and 1996: Still a reference Italian Mediterranean diet? Diab. Nutr. Metab. 14 : 121-125, 2001
12. Fattori di rischio e tutela della salute: “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” Anni 1999-2000. ISTAT- Indagine Multiscopo sulle famiglie,2002
13. A. De Lorenzo, A. Adreoli,, R.P. Sorge, L. Iacopino, S. Montagna, L. Promezio e P. Serrano: Modification of dietary habitus (Mediterranean Diet) and Cancer Mortalità in a Southern Italian Villane from 1960 to 1996. Human Nutrition Unit, Univerity of Rome “Tor Vergata”
14. Inchiesta sulle abitudini alimentari a tavola. Dieta mediterranea addio. Altroconsumo. Settembre 2006.
15. A. De Lorenzo, A. Alberti, A. Andreoli, L. Iacopino, P. Serrano e G. Perriello: Food habits in a southern Italian town (Nicotera) in 1960 and 1996: Still a reference Italian Mediterranean diet? Diab. Nutr. Metab.
16. Boom della dieta mediterranea made in Italy nel mondo. A cura del Pensiero Scientifico Editore. 22.12.2006.
17. Roberta Camisasca. La dieta mediterranea diventa patrimonio dell'umanità. 30.07.2007.
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