Disuguaglianze globali, inflazione e extraprofitti

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Il mondo intero sta vivendo e sopportando crisi che sempre di più assumono la forma di ferite deturpanti alle quali, al momento, è quasi impossibile porre un rimedio che quantomeno arresti il dilatarsi di questa penosa situazione.

Senza soluzione di continuità abbiamo sopportato in primo luogo la lunga pandemia da che ha causato non meno di 20 milioni di morti e poi l'invasione russa e la conseguente guerra in Ucraina che dura da 500 giorni seguita da una delle ricorrenti crisi energetiche ed ora – quasi come in un combinato disposto – una crescita dell' che sta facendo dilatare in maniera esponenziale le .

Tuttavia, quasi come nel rispetto della legge del contrappasso, l'avvicendarsi delle molteplici crisi se da una parte ha eroso la ricchezza e il reddito di fasce di popolazione mondiale già in precaria stabilità esistenziale, dall'altra un capitalismo liberista ha permesso che gli individui più ricchi lo diventassero ancora di più, anche grazie ad una espansione  macroscopica dei profitti delle grandi imprese, mai come oggi a livelli record, che hanno scavato il fossato della disuguaglianza economica fino a portarla ad essere, forse, la vera minaccia per questo pianeta.

Le cifre illustrano meglio delle parole questo stato di cose e basta scorrere il Rapporto 2023 di – come sempre presentato e non a caso nel corso del World Economic Forum di Davos in Svizzera – per avere subito una fotografia di come possono prendere forma le disuguaglianze.
I dati salienti riportati dalla Onlus No Profit:
– Nel biennio 2020-2021 l'1% più ricco del globo ha beneficiato di quasi due terzi dell'incremento della ricchezza aggregata.
– La ricchezza dei miliardari è cresciuta tra il marzo 2020 e il novembre 2022 al ritmo di 2,7 miliardi di dollari al giorno, mentre l'aumento dell'inflazione ha superato nel 2022 la crescita media dei salari in 79 Paesi con una forza lavoro complessiva di quasi 1,7 miliardi di lavoratori, più della popolazione dell'India.
ꞏ le grandi imprese del comparto energetico e agro-alimentare hanno più che raddoppiato i loro profitti nel 2022, corrispondendo nell'anno passato 257 miliardi di dollari ai propri azionisti, mentre oltre 800 milioni di persone soffrivano la fame»[1].

Questi dati non possono essere interpretati semplicemente a livello statistico o magari con la perniciosa assuefazione ai livelli di disuguaglianza ritenuti comunque ineliminabili, perché le cose non stanno così e dietro ogni singola cifra ci sono milioni di persone che hanno sofferto a causa della disparità di accesso ai pur minimi presidi di sussistenza.

Tutto ciò perché, sostanzialmente, i governi e le Banche centrali nel sostenere le proprie economie nei momenti di crisi ricorrenti, non hanno fatto quasi nulla per predisporre, poi, strumenti politici tali affinché chi avesse beneficiato di quegli aiuti fosse indotto a ridistribuire nel tessuto sociale gli imponenti proventi accumulati.

È quindi mancato quel collegamento che, forse in modo grossolano, potremmo dire dei vasi comunicanti e un esempio di quanto affermo ci è fornito dalla vicenda della pandemia appena trascorsa. La gran parte delle aziende farmaceutiche hanno tenuto sotto scacco il mondo intero, difendendo i loro monopoli e le posizioni strategiche nel mercato praticando prezzi esorbitanti per i vaccini contro la Covid-19 che  hanno fatto registrare profitti record, mentre molti tra i Paesi più poveri al mondo sono rimasti privi di quei presidi medici.

Che lo si voglia vedere o meno, seguendo l'iter delle vicende che interessano l'intero pianeta, si ritorna sempre al vero punto e cioè che nessuno ha interesse a regolamentare le lucrose ricadute economiche determinate dalle decisioni assunte. Extraprofitti; questo è il nodo scorsoio che va posto sotto la lente di ingrandimento e risolto con una energica presa di posizione dei governi tesa a tassare queste somme, molte delle quali – è probabile – già occultate nei conti fantasma di banche sparse nel mondo.

Che questa sia la strada da seguire ce lo ricorda ancora il dettagliato report di Oxfam e Action Aid quando si sostiene che: «se ci fosse stata una tassazione del 90% per coloro che hanno guadagnato nel settore dei combustibili fossili, ci sarebbero state risorse a sufficienza per un aumento considerevole degli investimenti nell'ambito delle fonti di energie rinnovabili (che potevano salire del 31%)»[2].

Questa stringata conclusione ci obbliga a ricordare anche che i profitti societari delle grandi aziende hanno registrato degli incrementi notevoli almeno negli ultimi 10 anni, ma ora in alcuni settori dell'economia stanno raggiungendo picchi sempre più elevati contribuendo all'ulteriore crisi del caro-vita e alla spirale inflazionistica. Proprio su questo punto «il Fondo Monetario internazionale ritiene che l'aumento dei profitti spiega il 45% dell'aumento dei prezzi in Europa nel 2022» [3].

Ma anche il Presidente della BCE, Christine Lagarde, si è spinta a prospettare l'ipotesi di un rialzo inflazionistico dovuto a quella che ha chiamato «inflazione da avidità» o, con termine anglosassone, «greedflation»; cioè «il tentativo di alcune imprese di ottenere opportunisticamente un vantaggio dall'inflazione, incrementando i prezzi ben oltre i costi di produzione senza che ciò sorprenda i consumatori vista l'inflazione generale» [4].

Nella pratica, la giustificazione classica per l'aumento dell'inflazione è che questa si verifica quando la domanda supera l'offerta con la conseguente spinta al rialzo dei prezzi. Ma nel momento storico che stiamo vivendo, considerando anche le conseguenze della guerra russo-ucraina che ha determinato l'aumento dei costi dell'energia e del grano, molte aziende – come temuto dalla Lagarde – quando i costi per l'approvvigionamento del bene diminuiscono, i guadagni conseguenti vengono ridistribuiti agli azionisti e non ai consumatori sui quali grava il peso dell'aumento dei prezzi. Per fare un esempio che ci tocca quotidianamente da vicino, questo è uno dei motivi per i quali si possono avere prezzi del petrolio in calo mentre alla pompa il prezzo rimane inalterato. Ed ecco il motivo per il quale extraprofitti o semplici profitti mal ridistribuiti soffocano di fatto i salari.

Dove però emerge con chiarezza e in tutta la sua drammaticità che la è direttamente proporzionale alla crescita estrema della ricchezza, è nell'aggravamento del livello della fame nel mondo.

Già nel 2015, quindi appena 8 anni addietro, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno adottato la famosa «Agenda 2030» prevedendo un piano di azione comune per ottenere un mondo in cui ci fosse pace, e in cui tutte le persone godessero dei loro diritti e buone condizioni di vita, fissando come pilastro principale la sostenibilità sociale raggiungibile solo attraverso la sostenibilità ambientale ed economica[5].

Ma sembra che questi pilastri si stiano velocemente incrinando se, ad esempio, nel settore alimentare cioè del food and beverage «soltanto le prime 18 grandi aziende hanno realizzato nel biennio 2021-2022 oltre 14 miliardi di dollari di extraprofitto. Una cifra equivalente a oltre due volte il gap di finanziamento di 6,4 miliardi di dollari indispensabile per fronteggiare la tremenda crisi alimentare che in Africa Orientale – tra Etiopia, Kenya, Somalia e Sud Sudan – rischia di far morire per fame 1 persona ogni 28 secondi nei prossimi mesi»[6]. Questo spiega perché non è azzardato definire il problema della fame una crisi immorale; perché va tenuto conto del fatto che quelle popolazioni che vivono già in condizioni di estrema povertà, soffrono più di altri l'aumento dei prezzi dei beni alimentari perché sono costrette a spendere circa i due terzi delle loro risorse per il cibo.

Di questa drammatica situazione, poi, a pagarne le conseguenze maggiori sono donne e ragazze che rappresentano il 60% della totalità delle persone in sofferenza alimentare come riportato già nel 2020 dall'organizzazione umanitaria World Food Programme (WFP), la più grande agenzia delle Nazioni Unite impegnata a combattere la fame nel mondo[7].

In questa strozzatura globale, che tocca in forme diverse sia i Paesi più poveri quelli cioè c.d. in via di sviluppo che quelli più avanzati, afflitti da un'inflazione al momento inarrestabile, direi che una timida voce cerca di aprire un varco per arrivare ad una soluzione; soluzione che, guarda caso, è individuata nell'aumento della tassazione da parte dei governi nei confronti dei gruppi multimiliardari. La particolarità non risiede nella domanda ma nel fatto che la stessa provenga da un'associazione composta solo da miliardari, la «Patriotic Millionaires». Fondata negli Stati Uniti nel 2010, gli aderenti spinti da un senso di equità e buon senso sostengono la ormai necessaria applicazione di una patrimoniale sul patrimonio netto dei più ricchi. Come afferma uno degli associati «L'1% più ricco dei britannici detiene una ricchezza superiore a quella complessiva del 70% più povero della popolazione. Avere così tanti soldi da non avere più bisogno di un'azienda funzionante, lo vedo come un problema. Il Paese ha bisogno che i super ricchi paghino una quota adeguata di tasse» [8].

Anche se questa può apparire una voce isolata, è indubbio che dai governi ci si attenda l'adozione di politiche redistributive capaci di ricucire gli strappi socio-economici che si stanno dilatando, proprio favorendo modelli economici più inclusivi. E su questa linea si è sviluppato l'intervento di Mikhail Maslennikov, responsabile delle politiche su giustizia fiscale e lotta alla disuguaglianza di Oxfam Italia, il quale ha affermato:«E' innegabile che i profitti siano oggi i veri vincitori nel conflitto distributivo, mentre i salari – che cambiano meno in fretta dei prezzi, riflettendo i ritardi nei rinnovi e la debolezza contrattuale dei lavoratori – sono tra i perdenti. L'esito è profondamente iniquo con una sola categoria, i lavoratori, lasciata a sostenere il peso della crisi del caro-prezzi. Ed è anche profondamente inefficiente, visto che i salari alimentano la domanda di beni e servizi delle stesse imprese» [9].

In un contesto simile urge il coraggio di assumere l'unica decisione possibile e cioè l'applicazione di una imposta straordinaria sugli extra profitti con un'aliquota oscillante fra il 50% e il 90% che potrebbe portare nelle casse pubbliche quei miliardi di dollari da ridistribuire come supporto alle fasce di popolazione più fragile.
Stefano Ferrarese

[1] https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2023/01/Report-OXFAM_La-disuguaglianza-non-conosce-crisi_final.pdf, gennaio 2023
[2] Ilaria Bucataio, https://www.letterainternazionale.it/news/oxfam-e-actionaid-il-report-sugli-extraprofitti-aumentano-le-diseguaglianze.php, 8 luglio 2023
[3] Luca Martinelli, https://ilmanifesto.it/mille-miliardi-di-extraprofitti-nel-mondo-e-un-quarto-sono-fossili, 7 luglio 2023
[4] Umberto De Giovannangeli, https://www.unita.it/2023/07/07/cosa-e-la-greedflation-la-cosiddetta-inflazione-da-avidita-il-nuovo-male-del-turboliberismo/, 7 luglio 2023
[5] https://unric.org/it/agenda-2030/, 7 luglio 2023
[6] https://valori.it/inflazione-extraprofitti-oxfam-actionaid/, 6 luglio 2023
[7] Sul programma e sugli interventi del WFP vedi https://www.wfpusa.org/women-are-hungrier-infographic/, 7 luglio 2023
[8] Sophie Charara, https://www.wired.it/article/tasse-piu-alte-ricchi-patriotic-millionaires/, 6 luglio 2023
[9] https://greenreport.it/news/economia-ecologica/in-due-anni-2-000-miliardi-di-extra-profitti-la-corsa-dellinflazione-parte-da-qui/, 7 luglio 2023

 

 

 

 

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