
Ambientata nel degrado della periferia palermitana, a contrasto con un’eleganza formale in cui lo spazio esterno assume un rigore quasi geometrico, Daniele Ciprì adotta il registro tragicomico per raccontare una vicenda amarissima, così trasformandola in una sorta di moderna commedia shakespeariana.
La scelta registica di trasformare una storia fortemente connotata in maniera realistica – quella appunto descritta nell’omonimo romanzo di Roberto Alajmo – in una tragicommedia è stata dettata da una duplica esigenza: quella di scongiurare il pericolo di scivolare nella retorica delle classiche storie siciliane già tante volte portate sullo schermo e quella di dar voce a tutto un immaginario personale fatto di visi, situazioni, ambienti capaci di aderire ed interpretare al meglio l’idea che Ciprì ha della sua terra e delle sue tante contraddizioni. Così, quella che potrebbe essere un’ordinaria vicenda di mafia e delle sue conseguenze nel destino dei singoli, si trasforma nella parabola discendente di un illusorio riscatto sociale, tanto più fallimentare ed effimero quanto più affidato alla seduzione ingannevole per eccellenza: quella della ricchezza.
Le giornate della famiglia Ciraulo vengono raccontate a posteriori da un personaggio situato per l’appunto in un tempo futuro rispetto ai fatti avvenuti: si tratta di Busu, un signore dall’aria mesta e remissiva e dall’aspetto assai dimesso – la maschera di una sconfitta, ben indossata da Alfredo Castro, già notato nella pellicola argentina Tony Manero – che trascorre le sue giornate all’interno di un ufficio postale distraendo con i suoi racconti ed aneddoti i clienti in attesa del proprio turno. Nel grigiore di una mattinata invernale come tante si apre così lo scenario sulla famiglia Ciraulo composta da Nicola (uno splendido Toni Servillo), sua moglie Loredana, i figli Tancredi e Serenella, ed i nonni Fonzio e Rosa (genitori di Nicola). Una famiglia che tira a campare, come si suol dire, ricavando e rivendendo il ferro dalle navi in disuso, non priva tuttavia dei suoi momenti lievi e delle sue giornate spensierate.
Tutto cambia in una tragica domenica al ritorno da una giornata trascorsa al mare: la piccola Serenella viene colpita a morte da una pallottola vagante tra bande rivali e la famiglia precipita nella disperazione più nera, almeno fino a quando non intravede la possibilità di ottenere un ingente risarcimento in denaro da parte dello stato come vittime della mafia, così che lo spiraglio di un miglioramento economico accende nuovamente la speranza in tutti loro. Nell’attesa di ricevere la somma, data per certa, i Ciraulo cominciano intanto a spendere e a spandere, finendo con l’indebitarsi fino a dover ricorrere all’aiuto di uno strozzino; Ciprì ricorre alla farsa, non priva tuttavia di un certo mordente, per accennare alla sequela delle varie lungaggini burocratiche del nostro paese e al sistema dell’usura, avvalendosi anche qui di una serie di personaggi-maschere dotate di una mimica straordinaria e capaci di dar vita a scenette di un sapore unico in una mescolanza di toni ed atmosfere che virano dal dramma all’ironia e che, pur trasfigurando la realtà in maniera parodica, ne restituiscono tutta l’amara veridicità sociale.
Dopo varie peripezie e detratte le somme già spese e dovute allo strozzino, quel che arriva e resta finalmente nelle mani della famiglia Ciraulo è ormai ciò che basta per l’esaudirsi di un qualche desiderio di tipo consumistico, non certo quel miraggio intravisto inizialmente di uno stravolgimento di vita in meglio. Bisognerà allora compiere la scelta giusta: acquistare qualcosa che non solo soddisfi tutta la famiglia, ma che valga al contempo il riscatto della propria dignità e onore; un qualcosa che sia palesemente ed inequivocabilmente simbolo della ricchezza da esibire al pari di una carta d’identità per ottenere il riconoscimento sociale perché nel loro quartiere – e la famiglia Ciraulo, con procedimento di astrazione dal particolare all’universale diviene paradigma di una condizione umana – la ricchezza è l’unico status che la gente rispetti. L’oggetto da acquistare dovrà quindi assolvere tutte queste funzioni e su di esso andranno a pesare le aspettative di ognuno di loro, caricandosi di una valenza ben oltre la reale portata dell’oggetto stesso. La tragedia che ne scaturirà rivela e mette amaramente a nudo la vera natura dei singoli personaggi, la cui umanità iniziale, tirata via come uno smalto di facciata, rivela l’agghiacciante opportunismo che sempre è figlio della sottomissione al dio denaro.
Rita Ciatti
Titolo: È stato il figlio – Produzione: Alessandra Acciai, Giorgio Magliulo, con Carlo Degli Esposti – Genere: commedia – Durata: 90′– Regia: Daniele Ciprì– Sceneggiatura: Massimo Gaudioso, Daniele Ciprì, Miriam Rizzo – Attori Principali: Toni Servillo, Giselda Volodi, Alfredo Castro, Fabrizio Falco – Fotografia: Daniele Ciprì, Mimmo Caiuli – Montaggio: Francesca Calvelli – Costumi: Grazia Colombini – Suono: Angelo Bonanni – Musiche originali: Carlo Crivelli – Distribuzione Italia: Fandango Distribuzione
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