
La formazione triangolare, chitarra, basso e batteria è la quintessenza della musica rock. Il triangolo può essere isoscele, quando in cima alla cuspide c'è una stella che risplende più delle altre due, l'Experience con Jimi Hendrix, la band di Rory Gallagher, i Groundhogs di Tony McPhee. Altre volte il triangolo è equilatero, quando tutti e tre i lati e i tre angoli concorrono a formare la perfezione: i Cream (ricordando il grande Jack Bruce scomparso recentemente), i Motorhead, gli Ash Ra Tempel del primo disco. Qualche volta può essere anche scaleno come nell'esordio dei Meat Puppets o nel disco perduto dei misconosciuti S.F. Shiver.
Gli Earthless sono la santa trinità odierna del rock. Tre californiani di San Diego: Isahiah Mitchell, Mario Rubalcaba, Mike Eginton. Tenete a mente questi nomi, non diventeranno mai famosi come gli U2 o i Pearl Jam, ma continueranno ad irrorare il mondo con il sacro verbo del blues psichedelico. Tre dischi in nove anni, nove pezzi incisi, se guardate sulla loro pagina Facebook alla voce genere musicale la definizione è: space jams. Jam session, fonte Garzanti: riunione di musicisti che suonano improvvisando su un tema prestabilito. Perfetto. Durata, da zero all'infinito. Da zero allo spazio.
Atene. An Club. Interno notte. Ore 22.30. Sul palco, la Fender Stratocaster color avorio, il basso Rickenbacker e la batteria Ludwig sono in stato d'allerta, mentre gli amplificatori Marshall sono al punto giusto di saturazione per iniziare il decollo di questo viaggio interstellare. Il riff lento ed inesorabile di Uluru Rock si fa strada fra i riverberi, ma per dieci minuti siamo ancora dentro la stratosfera terrestre. Ad un certo punto, un'occhiata fra i tre e la velocità aumenta per lasciarci alle spalle tutto ciò che ci lega a questo pianeta. Qualcuno inizia ad agitarsi, comincia ad alzarsi la temperatura, ma i più rimangono stecchiti, ipnotizzati da questo fascio di radiazioni elettriche che li investono. Ormai la musica è un magma indescrivibile senza soluzione di continuità, lanciata verso chissà dove. Il passaggio a Violence of the Red Sea avviene fra larsen furiosi, Rubalcaba non smette di suonare neanche per bere od asciugarsi il sudore, bisognerebbe abbatterlo per fermarlo. Fin qui, il fantasma di Jimi Hendrix ride compiaciuto. Dopo circa trenta minuti-luce, congiungiamo le mani e alziamo gli occhi all'infinito. La maratona astrale di Sonic Prayer, la preghiera sonica, ci proietta in un buco nero spazio temporale e ci ritroviamo alla fine degli anni sessanta sull'asse che rimbalza fra la California dei Quicksilver e la Germania del freak'n'roll , tra traiettorie lucenti di meteoriti impazzite, mentre il ritmo aumenta e si fa quasi insostenibile, i motori dell'astronave sono al massimo tanto che non ci resta che pensare “Oddio, questi sono pazzi, e vogliono far diventare pazzi anche noi!”. Tutto sembra deragliare fuori controllo, i musicisti sono tre entità separate in un tutt'uno, li potresti isolare nel loro perpetuo assolo e sarebbe lo stesso. Solo dopo aver dato libero sfogo a tutta la potenza creativa al massimo fulgore (e bevono solo acqua!!!), i tre argonauti stellari alzano lo sguardo e incrociano le menti per dire che è il momento di aprire il paracadute e di tornare sulla terra. L'atterraggio è lento e lancinante, quasi per attutire l'impatto con la dura realtà. Gli inevitabili bis sono tre canzoncine, al cospetto del monumento sonoro cui abbiamo assistito, due cover dei Groundhogs, Mistreated e l'immortale Cherry Red e Come On di Jimi Hendrix tanto per restare in famiglia.
Che dire, Isahiah Mitchell è uno degli ultimi guitar hero veramente tali; senza gli esibizionismi di tanti guitti, va dritto al nocciolo della fusione nucleare. Mike Eginton erige un muro possente che regge tutta la musica degli Earthless e Mario Rubalcaba è davvero un'esperienza a sé stante: potenza, fantasia, velocità, per lunghi attimi sono rimasto a bocca aperta a guardare solo lui, tamburi, piatti, crash, vertiginosi cambi di ritmo, rullate spericolate, briglie completamente sciolte. Benedico l'An Club, la sua organizzazione perfetta e le ragazze greche.
E ora che in aereo, sulla via del ritorno, sono davvero al di sopra delle nuvole, realizzo appieno l'avventura che ho vissuto.
Mario Barricella
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