
Le grandi sperequazioni e l'enorme diffusione della povertà in tutto il mondo ci pongono continuamente di fronte alla necessità di trovare soluzioni economiche ma ambientalmente sostenibili perché un ecosistema disastrato aumenta i problemi per i più deboli. È necessario per far raggiungere condizioni migliori a tutti far virare l'economia verso obbiettivi che guardano al solo profitto.
Un'attenzione la dovremmo dare alla cosiddetta economia circolare, anche se è difficile concordare con chi sostiene che l'economia circolare possa raggiungere risultati in termini di aumenti di Pil clamorosi rispetto all'economia tradizionale [1] e possa risolvere i due problemi di cui sopra. Li potrebbe raggiungere se il Pil misurasse valori come ambiente, condizioni dei lavoratori, livello della sanità pubblica… anzi, il Pil include voci che distruggono ambiente e ne fanno parte gli stessi sprechi che si vuole combattere.
Che cos'è l'economia circolare?
Per darne una definizione e per identificare i cardini di questo modello di produzione e consumo abbiamo fatto ricorso alle parole della John D. e Catherine T. MacArthur Foundation che dal 1978 sostiene varie organizzazioni senza scopo di lucro e destina centinaia di milioni di dollari per sovvenzioni e investimenti relativi all'Economia Circolare per diverse aree di finanziamento[2].
Economia circolare «è un termine generico per definire un'economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un'economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera».
Quello che fa un'economia circolare, rispetto ad un'economia lineare, è di pianificare le attività in maniera tale che si debbano riutilizzare i materiali nei successivi cicli di produzione, riducendo al massimo gli sprechi. Un approccio dirompente.
I capisaldi di un'economia circolare sono stati individuati, sempre dalla Fondazione in:
1. eco progettazione, il prodotto finito dovrà essere pensato per smontato o ristrutturato alla sua fine;
2. modularità e versatilità, per adattarsi ai cambiamenti esterni;
3. energie rinnovabili;
4. approccio ecosistemico, pensare al sistema nel suo insieme e considerando le relazioni causa-effetto tra le diverse componenti;
5. recupero dei materiali.
Evidentemente se tutte le aziende dovessero rispettare questi principi dovrebbero di fatto rinfondare se stesse riscrivendo modelli di business, processi e rivoluzionando le produzioni. Intanto l'Europa ha iniziato a lavorare per provare ad accompagnare le aziende verso un'economia circolare che «potrebbe generare risparmi per circa 2 mila miliardi di euro entro il 2030; un aumento del 7% del PIL dell'UE, con un aumento dell'11% del potere d'acquisto delle famiglie e 3 milioni di nuovi posti di lavoro supplementari» [2]. E su questo ci siamo espressi.
Il Parlamento europeo ha approvato lo scorso aprile “pacchetto sull'economia circolare” e che per esempio dà come obbiettivo il 65% di riciclaggio dei rifiuti solidi urbani al 2035, il 70% per entro il 2030 o l'obbligatorietà della raccolta differenziata per l'umido e gli scarti organici entro il 2023, i materiali tessili dal 2025 e i rifiuti pericolosi domestici, come le vernici, i pesticidi, gli oli e i solventi entro il 2022.
Sul fronte industriale è evidente che si parli molto di risparmi ed efficienze nei costi. L'Italia sotto questo aspetto è in buona posizione. Domenico Sturabotti, direttore di Fondazione Symbula (realtà importante per le aziende impegnate nella transizione da lineare a circolare), spiega per Eurostat «è materia prima seconda [costituite da scarti di lavorazione delle materie prime oppure da materiali ottenuti dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti, ndr] quasi un quinto (18,5%) del materiale utilizzato dal sistema produttivo italiano, ben davanti alla Germania (10,7%), unico Paese più forte di noi nella manifattura. […] siamo il più efficiente tra i grandi paesi europei nel consumo di materia dopo la Gran Bretagna […]. Siamo secondi dopo la Germania (59 milioni di tonnellate) per riciclo industriale […]» [3].
Si tratta di risparmi sulla bolletta, ma anche di costi più bassi in generale, minore dipendenza dall'estero e maggiori investimenti in innovazione con risvolti positivi sul fronte della concorrenza.
Il settore che meglio interpreta questo passaggio è quello del manifatturiero con una meccanica sempre più in grado di riutilizzare la materia come nel caso della Tonello che «grazie ai loro sistemi di riciclo continuo dell'acqua […]. Nell'abbigliamento c'è la Thermore, leader mondiale delle imbottiture termiche, […] con diverse linee da poliestere riciclato post consumo […]» o come la Valcucine che ha prodotto la «prima cucina al mondo completamente disassemblabile e al 100% riciclabile» [4].
Non va dimenticato che nell'economia circolare la condivisione dei prodotti tra più utilizzatori e il passaggio dalla proprietà del bene al suo utilizzo, sono altri snodi fondamentali di questa evoluzione verso il circolare.
Pasquale Esposito
[1] “Economia circolare: meno sprechi, crescita e più occupazione”, http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/536852/Economia-circolare-meno-sprechi-crescita-e-piu-occupazione, 6 giugno 2017
[2] Ilaria Donatio, “L'economia circolare mette d'accordo economia e ambiente”, http://temi.repubblica.it/micromega-online/l%E2%80%99economia-circolare-mette-d%E2%80%99accordo-economia-e-ambiente/, 21 maggio 2018
[3] Elena Comelli, “Prodotti da progettare per creare nuovi prodotti”, Il Sole 24 Ore, pag. 37
[4] Elena Comelli, ibidem.
L'immagine di copertina è un'elaborazione del sito www.economiacircolare.com
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