
L’economia del mondo non gode di buona salute e il 2023 sarà «più duro dell’anno che ci lasciamo alle spalle». A dirlo, durante un’intervista alla Cbs, è la direttrice generale del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva. Il primo livello di spiegazione è che «le tre grandi economie – Stati Uniti, UE e Cina – stanno tutte rallentando contemporaneamente» e, sempre nelle parole della Georgieva, «per la prima volta in 40 anni, la crescita della Cina nel 2022 sarà probabilmente pari o inferiore alla crescita globale».
Il redattore capo della rivista The Economist Zanny Minton Beddoes in suo articolo, al di là di certi distinguo, sostiene che ci sarebbero
«molte ragioni per cui il 2023 sia un anno cupo e potenzialmente pericoloso» e come recita il titolo dell’articolo stesso economicamente in una inevitabile recessione. Le ragioni sono collegate al combinarsi di tre shock: «Il più grande è geopolitico. L’ordine mondiale del dopoguerra guidato dagli americani è stato messo in discussione, in modo più evidente da Putin, e in modo più profondo dal persistente peggioramento delle relazioni tra l’America e la Cina di Xi Jinping. […] La guerra in Ucraina, a sua volta, ha portato sia al più grande shock delle materie prime dagli anni ’70 sia a un rapido rimodellamento del sistema energetico globale. […] L’impennata dei prezzi dell’energia, a sua volta, ha esacerbato il terzo shock, la perdita di stabilità macroeconomica. I prezzi al consumo stavano già accelerando all’inizio del 2022, poiché la domanda alimentata dallo stimolo ha incontrato i vincoli di offerta post-pandemia. Ma con l’impennata dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari, l’inflazione è passata dall’apparire temporaneamente elevata a un problema persistente a due cifre» [1].
Kay Daniel Neufeld, direttore e responsabile delle previsioni del Centre for Economics and Business Research (Cebr) afferma che:
«è probabile che l’economia mondiale affronterà la recessione il prossimo anno a causa degli aumenti dei tassi di interesse in risposta all’aumento dell’inflazione. Le banche centrali sono state molto lente nel rendersi conto della portata dei problemi inflazionistici di cui avevamo avvertito e, di conseguenza, gli aumenti dei tassi di interesse e la decelerazione monetaria sono stati bruschi. La buona notizia è che l’inflazione dovrebbe scendere piuttosto rapidamente, la cattiva notizia è che in molti paesi ci vorrà una recessione perché ciò accada» [2].
Chi va oltre le previsioni di “semplice” recessione è Nouriel Roubini, professore emerito alla Stern School of Business, New York University. Roubini deve la sua fama anche al fatto che aveva previsto la crisi del 2008, partendo da un’analisi del debito a livello mondiale che è diventato il 350% del PIL mondiale rispetto al 200% del 1999. Il debito pubblico di fatto non serve tanto
«a finanziare degli investimenti produttivi, ma per l’essenziale a coprire delle spese di consumo al di sopra dei redditi, tipico ingrediente di fallimento. La conseguenza è che ci sono numerosi debitori zombie tenuti sino ad oggi in piedi dai bassi tassi di interesse. Ma ora, con la crescita di questi ultimi, ci troviamo di fronte ad un duro colpo, mentre l’inflazione riduce i redditi dei debitori in difficoltà e il valore dei loro attivi. Intanto assistiamo al ritorno della stagflazione e a una serie continua di choc d’offerta negativi, come la perturbazione dell’offerta di beni e di lavoro creata dalla pandemia, la guerra con le relative conseguenze sui prezzi delle materie prime, infine lo zero Covid cinese. L’atterraggio sarà rude, avremo una recessione profonda e prolungata insieme ad un crisi grave finanziaria. Le banche centrali dovranno abbandonare la lotta contro l’inflazione di fronte al crack che si minaccia, i costi reali e nominali del prestito saliranno molto. La madre di tutte le crisi del debito stagflazionista può essere rimandata, ma non evitata» [2].
Torniamo ai numeri, alle previsioni fatte per l’economia mondiale. Lo scorso ottobre il FMI aveva tagliato le previsioni di crescita del PIL mondiale, portandole da un +2,9% al +2,7%. Se si escludono il 2008, anno della crisi finanziaria, e il 2020 anno dell’inizio della pandemia, si tratta della crescita più bassa dal 2001. L’eccezione, non marginale, è data dall’India (+6,1% nel 2023) che «supererà la Cina per diventare il paese più popoloso del mondo nel 2023, sarà un altro punto luminoso, sostenuto dal petrolio russo scontato, dai crescenti investimenti interni e dal crescente interesse degli stranieri desiderosi di diversificare le loro catene di approvvigionamento lontano dalla Cina» [4].
La Commissione europea prevede una crescita del PIL dei paesi dell’eurozona, dove dal 1 gennaio 2023 si è aggiunta la Croazia, del 3,2% nel 2022 che invece per il 2023 si fermano ad uno striminzito + 0,3%, con diversi paesi Italia inclusa che entreranno in recessione.
Tutti questi numeri non dicono nulla del fatto che continuerà a soffrire di povertà e disuguaglianze una larga fetta della popolazione mondiale. Insistiamo nel valutare le condizioni dei paesi del mondo con il PIL, il prodotto interno lordo, che non misura la qualità delle vite delle popolazioni. L’unico messaggio positivo che questa crisi, in particolare quella energetica, potrebbe inviarci, e sottolineo il potrebbe, è quello di un’accelerazione nella dismissione delle fonti fossili che provocano immani disastri.
Pasquale Esposito
[1] Zanny Minton Beddoes, Why a global recession is inevitable in 2023, 18 novembre 2022
[2] La mappa mondiale del Pil: ecco come è andato il 2022 e come andrà il 2023, 31 dicembre 2022
[3] Vincenzo Comito, Tra il 2022 e il 2023: ombre e chiavi di volta, 27 dicembre 2022
[4] Zanny Minton Beddoes, ibidem
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie