Elezione del Presidente della Repubblica: Berlusconi insiste, Draghi si candida

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La procedura per eleggere il Presidente della Repubblica è stabilita dalla Costituzione – e da una serie di procedure che si sono consolidate nel tempo – all'articolo 85, che avrà pratica attuazione non appena allo scoccare dei trenta giorni dalla scadenza del mandato del Capo dello Stato cessante, il Presidente della Camera “convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica”.
Dato che il mandato di Mattarella scadrà il 3 febbraio, il Presidente della Camera entro il 4 gennaio convocherà il Parlamento in seduta comune e per le consuetudini a cui facevo riferimento prima, tale seduta avrà luogo nei 15/20 giorni successivi per permettere ai consigli regionali di nominare i loro tre rappresentanti. Quindi, seguendo l'iter di questo percorso è possibile supporre che la convocazione possa avvenire entro il 22 di gennaio.

L'elezione del Capo dello Stato, è un momento importante e di estrema delicatezza proprio per i compiti che la Costituzione gli affida ed ecco perché provo un certo fastidio nell'ascoltare termini come “corsa per il Quirinale”, “totonomi”, “Quirinal game” ecc., come se si trattasse di una gara di mezzo fondo podistico o di qualunque altra manifestazione ludica sulla quale scommettere e poter confidare agli amici “io l'avevo detto”, confinando con una terminologia poco appropriata uno dei momenti più alti della vita democratica del Paese, in un luna park delle occasioni.

Purtroppo, ricevo ultimamente l'impressione che alcuni dei personaggi più in vista della nostra vita vedano l'elezione del Presidente della Repubblica più come una competizione che possa celebrare le loro glorie politiche – e dipende sempre dai punti di osservazione – che un servizio alla Nazione. È ricorrente e tambureggiante il nome di come leader del centro-destra alla candidatura per la prima carica dello Stato.

Il leader di Forza , Silvio Berlusconi crede di avere tutte le carte in regola per poter ambire all'incarico; già Presidente del Consiglio per quattro volte, Presidente e Segretario politico del suo partito, fondatore di Mediaset, insomma un curriculum che a suo dire e non solo, permetterebbe di spingere in un buio sottoscala l'esistenza di sentenze di condanna, procedimenti giudiziari ancora aperti, conflitto di interesse, approvazioni di leggi c.d. “ad personam”, in breve, un assortito, pesante ed ingombrante bagaglio che dovrebbe sbarrare ormai per sempre ogni velleità elettiva.
A parte i problemi fisici e l'età, non certo la più adeguata per quell'incarico di sette anni, credo che la sua elezione al Quirinale genererebbe una paurosa frattura all'interno delle forze parlamentari e di conseguenza una spaccatura a metà del Paese, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in un momento di emergenza pandemica.
Il paradosso di questa elezione si riscontra nel fatto che, forse per la prima volta nella storia repubblicana, il candidato con maggiori chance esiste ed è ma “nella maggioranza che sostiene il governo prevale l'ostilità all'idea che il premier si sposti da Palazzo Chigi al Quirinale” [1], e forse l'idea non è fuor di luogo se pensiamo che in definitiva abbiamo un governo che potremmo chiamare di unità nazionale che, spaccandosi sul voto ipotetico a Berlusconi, non avrebbe poi la forza per ricompattarsi come se nulla fosse accaduto, allargando ancora di più la diffidenza della popolazione nei confronti dei partiti e della politica in generale.
Come potrebbe quel parlamento giustificare alla comunità nazionale l'elezione di Berlusconi dopo i sette anni di Mattarella, spesi tutti al servizio della Nazione? Avrebbe la forza di infliggersi un colpo di quella portata, autolesionistico, offrendo uno spettacolo avvilente che incoraggerebbe solo i già propensi all'astensione al voto? Problema non da poco che il Segretario del PD, Letta sembra abbia voluto affrontare senza giochi di parole affermando che “nella storia della Repubblica italiana non è mai successo che un leader di partito sia diventato poi Capo dello Stato” [2], un punto fermo sul quale sembrano aggregarsi per fare blocco comune sia i 5 Stelle che Leu. E siccome non esiste al momento una regia comune fra i partiti, Letta, nel rispetto del principio che il presidente della Repubblica deve essere una personalità che riceva la più ampia condivisione possibile, ha ufficialmente aperto il confronto con l'opposizione di Fratelli d'Italia, forse il partito di centro destra meno convinto sull'appoggio da dare a Berlusconi. Mossa tattica azzeccata' Forse, ma il volenteroso Letta si dovrebbe esser fatto spiegare bene, ma molto bene, cosa intenda Giorgia Meloni quando afferma che per il Quirinale ci vuole un “patriota”.

Mentre si è attenti alle parole e alle iniziative di Berlusconi, c'è pure chi come Giorgetti quasi in punta di piedi – forse per spostare i riflettori sul leader di Arcore – suggerisce la prospettiva di eleggere Presidente proprio Draghi, assicurandogli nel contempo la possibilità di poter continuare a guidare l'esecutivo.
Giorgetti, che comunque non ha insistito più di tanto, non può non sapere che quel suggerimento buttato come un sasso nello stagno, ha un nome ben preciso ed è il semi-presidenzialismo, sistema del tutto ignorato a buon ragione dalla nostra Costituzione ma molto caro a Licio Gelli e ai suoi sodali, che non lo camuffava per nulla nel “Piano di Rinascita democratica” cavallo di battaglia della P2 nel lontano 1981.

Insomma, comunque la si voglia vedere, Berlusconi rimane un personaggio altamente divisivo e, per quanto mi riguarda, assolutamente non proponibile. Proviamo anche ad immaginare lo stupore che sicuramente colpirebbe i rappresentanti della Comunità Europea per non parlare di quelli internazionali. Ora che faticosamente si sta riacquistando un minimo di credibilità e centralità specialmente in Europa dopo l'uscita di scena della signora Merkel, l'elezione di Berlusconi ci farebbe additare come un Paese schizofrenico, paradossale, e i riconoscimenti confermati dall'apertura alla collaborazione con il nuovo Cancelliere Scholz, verrebbero vanificati all'istante.

Se la candidatura di Berlusconi appare come la più discussa e discutibile, certo non si può dire la stessa cosa per Mario Draghi anche se non è immune da responsabilità presenti e passate. Sta di fatto che Draghi, con relativa facilità, potrebbe incassare i voti di preferenza sia da destra che da sinistra. Il punto debole di questa possibile elezione, risiede nel fatto che in sostanza si stravolgerebbe l'attuale equilibrio politico – rischio che comunque si correrebbe anche con l'elezione di Berlusconi – segnando di fatto la fine della maggioranza con un ricorso alle elezioni anticipate. Rischio evitabile se si convincono i parlamentari che vorrebbero arrivare alla fine della legislatura non solo per difendere il lavoro fatto finora ma anche per difendere la pensione che arriverebbe in caso di conclusione naturale della legislatura.

Il diretto interessato fino ad ora ha mantenuto un composto silenzio, ma nella conferenza stampa di fine anno buona parte degli analisti ha letto le sue parole come una sorta di auto candidatura quando ha detto, complimentandosi con il suo operato per quanto svolto, “abbiamo creato le condizioni perché il lavoro sul PNRR continui. Il governo ha creato queste condizioni indipendentemente da chi ci sarà“, come dire che non è necessaria la sua presenza a Palazzo Chigi. E questo nonostante Draghi rimarchi sempre un certo distacco come quando ricorda un episodio di qualche mese fa: ”Io non immagino il mio futuro all'interno o all'esterno delle Istituzioni, e l'ho detto una volta rispondendo ad una domanda fatta da alcuni ragazzini al punto luce di Torre Maura. L'importante è vivere il presente e farlo al meglio possibile”. [3]
Draghi comunque si è smarcato dall'accerchiamento soffocante dei giornalisti ribadendo un principio sacrosanto e cioè che la responsabilità di ogni decisione è necessariamente nelle mani delle forze politiche.

Forze politiche ancora tese a sostenere queste due candidature, Berlusconi da una parte e Draghi dall'altra, alternandole con nomi tante volte buttati lì come in un grande tritacarne – Casini, Amato, Cartabia – facendo apparire l'elezione del Presidente della Repubblica ancora una volta come un gioco di furbizia e non l'esercizio più alto della funzione stessa della politica, dimostrandosi poco interessata a proporre nomi di uomini e/o donne provenienti dalla società civile.
La candidatura di una donna, non lo nascondo, sarebbe la risposta più appropriata che la politica potrebbe offrire alla comunità. Le ragioni sono tante, non ultima quella di inviare un segnale preciso anche ai Paesi europei molti dei quali attraversati da vergognose ondate di legislazioni oscurantiste proprio nei confronti del mondo femminile. Basta ricordare la antiscientifica e brutale legge polacca, in aperto contrasto con la legislazione europea, che restringe la possibilità di poter interrompere la gravidanza.
Abbiamo molte donne che da anni lavorano e lottano per una equiparazione dei diritti femminili e penso subito alla sociologa Chiara Saraceno, da tempo impegnata negli studi sulla famiglia ed in particolare sulla condizione femminile. Affianco a lei mi piace immaginare anche una presenza maschile come quella del giurista Gustavo Zagrebelsky, professore di diritto costituzionale e strenuo difensore delle libertà previste dalla Carta.
Avrà la politica il coraggio di staccarsi dal servaggio degli interessi particolari e proiettarsi verso una visione alta del proprio mandato, capace di recepire le istanze di una società molto più matura di quanto possano immaginare? L'elezione del Capo dello Stato offrirà a breve questa opportunità.

Stefano Ferrarese

[1] Francesco Bei, “Quirinale: sei leader in cerca di un Presidente”, repubblica.it, 22 dicembre 2021
[2] Alberto Falci– “Quirinale, l'altolà di Letta a Berlusconi”, corriere.it, 15 dicembre 2021
[3] Tommaso Coluzzi, “Cosa ha detto Draghi sul suo futuro da Presidente della Repubblica o del Consiglio” fanpage.it, 22 dicembre 2021

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