Elezioni: l’ostinata resistenza al cambiamento.

Palazzo Chigi, sede del Governo

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Un altro giro di giostra inizia. La perenne “campagna elettorale” – tratto originale del “caso italiano” – entra nel vivo. I cittadini ritualmente coinvolti dall'ingombrante e costosa presenza mediatica e on the road del “ceto politico“. Un ceto, dalle svariate e disinvolte provenienze socio-culturali, da tempo annidato nelle Istituzioni, si è interposto tra esse e i cittadini, ha privatizzato l'autorità, ha intrecciato attorno a sé una robusta cintura di privilegi e si fa portatore di interessi specifici, indiscutibilmente in contrasto con quelli della società civile; basta leggere il Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020. Comparando la specificità delle élite in Italia in un confronto con quelle di altri paesi, si nota come il “ceto politico” si compatta per il tramite di programmi fotocopia e utilizzando un linguaggio allusivo, pubblicitario che promette, ma mai si preoccupa di spiegare il “come mantenere le promesse”.
Le consultazioni, europee, regionali e amministrative degli ultimi anni, hanno visto una partecipazione in continuo calo al voto (72,25%), dal 1987. Ci si chiede in che modo il ceto politico abbia operato e quali siano stati i suoi effetti da due punti di vista: quello del rendimento delle Istituzioni e quello della , il cui futuro in questo Paese appare più incerto e inquietante che mai, anche per l'ostinata resistenza al cambiamento opposta dal “ceto politico” che non ha ritegno sollecitando la partecipazione al voto il 4 Marzo.
Giovanni Dursi

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