
Il clima nell'isola caraibica resta pesante. Le manifestazioni e le conseguenti richieste di elezioni sono un sintomo della condizione della popolazione che per una larga fetta è semplicemente disumana.
Il 14 dicembre scorso dopo mesi di proteste popolari continuate fino a questi giorni si dimetteva il Primo ministro Laurent Lamothe e una decina di giorni dopo il Presidente Michel Martelly, nominava il nuovo premier nella persona di Evans Paul.
Haiti, Port-au-Prince residenti in un accampamento di fortuna. Foto di Katie Orlinsky – Caritas, 19 gennaio 2010
Solo l'11 gennaio, un giorno prima della scadenza del Parlamento e del triste anniversario del terremoto del 2010, si addiveniva ad un accordo tra il presidente Martelly e alcuni partiti di opposizione per mettere fine ad una crisi politica che ha duramente colpito il vivere democratico. La mancata convocazione delle elezioni, da quelle dei sindaci a quelle dei deputati a quelle dei senatori, è un fenomeno che è iniziato nello stesso anno della catastrofe. Le proteste sono esplose a ottobre quando fu arrestato il procuratore generale, André Michel dopo aver scoperto casi di corruzione di uomini del governo e dopo l'ennesimo rinvio delle elezioni previste il 26 ottobre. Haiti resta sempre uno dei dieci paesi al mondo con il più alto indice di corruzione.
Il giornalista haitiano Gotson Pierre, uno dei cento eroi dell'informazione secondo Reporters sans Frontière, ha detto che questo ritardo del governo nell'indire elezioni «rappresenta una grave lacerazione per la vita democratica. Stiamo avviandoci verso un esecutivo che governerà per decreto. Una strada che porta alla dittatura» [1].
Questo accordo dovrebbe portare a libere elezioni attraverso la formazione di un Governo di unità nazionale che dovrà nominare un Consiglio elettorale composta da nove membri della società civile con rappresentanti delle religioni, del settore agricolo, dell'imprenditoria, dell'Università, dell'universo femminile, dei sindacati e della stampa.
La crisi politica ad Haiti è lo specchio di una grave situazione economica e sociale solo attenuata dagliaiuti, grazie ad una gara di solidarietà mondiale, per fronteggiare il cataclisma che nel 2010 fece 230.000 vittime, feriti gravi e oltre 1.500.000 di sfollati.
Nella scorsa primavera J.P. Stedile, leader del Movimento dei Senza Terra brasiliani e di Via campesina, l'organizzazione internazionale che raggruppa movimenti e lavoratori agricoli aveva girato l'isola quando si era recato per portare aiuto e così scriveva: «Nelle regioni rurali non ci sono scuole. Il 70% degli haitiani vive nelle campagne. L'analfabetismo tocca il 65% della popolazione. Non c'è energia elettrica nell'interno del paese. C'è unicamente a Port-au-Prince. […]. Più del 65% di tutti gli alimenti sono importati o arrivano nella forma di donazioni, di cui si appropria una borghesia commerciale negra che sfrutta la popolazione» [2].
L'economia haitiana è concentrata nella capitale e manca di quegli investimenti che potrebbero farla uscire dalla sua condizione fallimentare e metterla in cammino per lo sviluppo. Gli aiuti sono una parte rilevante delle disponibilità finanziarie tanto che qualcuno parla di Repubblica delle Ong.
Haiti, Père Chadic direttore Caritas Haiti a Leoganne. Foto di Michelle Hough – Caritas, 17 gennaio 2010
Gli aiuti hanno indubbiamente fatto qualcosa. «Dal 2010 nel paese sono stati spesi 14 miliardi di dollari per gestire l'emergenza, molti gestiti da ONU e dalle grandi Ong come Medici Senza Frontiere, Oxfam, Cesvi. Un flusso di denaro importante che ha attirato associazioni umanitarie di ogni tipo, tra volontariato e azione missionaria. […] Tra le tante contraddizioni però le statistiche mostrano che l'intervento della cooperazione ha dato alcuni frutti. Dei 1,5 milioni di sfollati, solo 80mila vivono ancora in tende. Migliaia di nuove case sono state costruite, la polizia haitiana è stata ricreata, nuove scuole e nuove ospedali costellano il territorio dell'isola. Anche le epidemie, inclusa quella controversa di colera, che ebbe come pazienti zero dei caschi bianchi ONU nepalesi, sono oggi sotto controllo» [3].
Come ha spiegato Raffaele K. Salinari di Terre des Hommes il maggior successo è delle associazioni no-profit è stato il saper coniugare, in diversi casi, interventi materiali alla ricostruzione della società civile che permetterà una migliore e autonoma crescita. Uno dei motivi più importanti di un successo totale è l'instabilità politica di cui approfittano le potenze regionali che si contendono la leadership di Haiti. Una situazione che ha radici fin dagli anni dell'indipendenza, «da allora la Francia non ha mai rinunciato adire la sua, naturalmente contrasta dagli Usa […] Il terremoto ha moltiplicato il protagonismo degli attori regionali che con la motivazione della solidarietà, hanno cercato di piazzarsi sull'isola espandendo le loro aree di potere. Non solo gli Usa e la Francia dunque, ma anche Cuba, il Brasile e via via scendendo di livello tutti i donatori internazionali» [4]. Il risultato è stato una maggiore difficoltà dell'arrivo degli aiuti ma soprattutto l'inefficienza della loro gestione tanto che restano ancora tanti danni da riparare.
Il caso degli Usa è particolarmente eclatante. In una lettera indirizzata al Congresso degli Stati Uniti, un gruppo di haitiani e haitiano-americani scrive che nel 2004 favorirono il golpe che cacciò l'allora Presidente Jean-Bertrand Aristide dal potere, e nel 2010, i marines con il pretesto di portare soccorso dopo il terremoto hanno occupato il paese, «tuttora, gran parte degli edifici pubblici, compresi aeroporti e palazzi del governo, sono occupati dalle forze armate USA, le quali hanno dislocato centinaia di mezzi blindati, accampamenti e arsenali in tutta l'isola, creando inizialmente contrasti con le forze dell'ONU. I marines appartenenti all'esercito statunitense ammontano a 10.000 unità con il solo compito di pattugliare la zona. […] l'atmosfera che si respira adesso ad Haiti, con la violazione eclatante dei diritti umani ed il terrore e l'intimidazione perpetrati contro l'opposizione,” è diventata insopportabile» [5].
Pasquale Esposito
[1] Nadia Angelucci, “La piazza insorge: «Macerie senza fine, meglio la guerra civile»”, il manifesto, 13 gennaio 2015, pag. 16
[2] João Pedro Stedile, “Haiti ha bisogno di solidarietà, non di soldati”, traduzione di Serena Romagnoli, 4 aprile 2013
[3] Emanuele Bompan, “Haiti, 5 anni dopo il terremoto”, www.lastampa.it, 12 gennaio 2015
[4] Raffaele K. Salinari, “Haiti anno zero”, il manifesto, 13 gennaio 2015, pag. 16
[5] Roberta Casillo e Patrick Boylan, “Haiti: Elezioni Fittizie sotto l'Occupazione Americana”, www.peacelink.it 15 novembre 2014
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie