Elvio Fassone, Fine pena: ora

Elvio Fassone Fine pena
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Nemmeno tra due amanti, ammette l’autore, è pensabile uno scambio di lettere durato ventisei anni.

Elvio Fassone dona ai lettori non un romanzo d’invenzione, bensì la storia vera di un giudice che nel 1985 è chiamato a celebrare un maxi processo nei confronti di 242 imputati della mafia catanese. Un processo che durerà due anni riuscendo ad assumere anche i caratteri di una battaglia fatta di violenza e sangue e che sfocerà in numerose condanne all’ergastolo.

Tra gli imputati è compreso Salvatore, uno dei giovani capi, che sarà condannato all’ergastolo per quindici omicidi e con il quale il giudice, presidente della Corte d’Assise, stabilirà un rapporto di rispetto attraverso i numerosi colloqui al termine delle udienze e al quale, il giorno successivo alla sentenza, invierà una lettera accompagnata a un libro che in una delle ultime pagine riportava una frase di Siddharta: «Mai un uomo, o un atto, è tutto samsara o tutto nirvana, mai un uomo è interamente santo o interamente peccatore». Un gesto questo, com’è scritto nella breve presentazione, non di pentimento per la condanna inflitta né di solidarietà impossibile, teso a testimoniare vicinanza umana verso chi dovrà scontare in carcere il resto della sua vita.

Tutto ciò avrà un seguito profondo; un seguito racchiuso in una busta giallognola contenente una lettera che per ventisei anni, con cadenza regolare, contribuirà a scandire la vita di questo magistrato e ad accompagnarlo fino alle vicinanze dell’ultimo viale.

Lettere in cui Salvatore si rivolgerà al giudice che ha legittimamente segnato la sua vita, con la formula rispettosa del Lei; quel Lei negatogli per consuetudine, così come a ogni altro recluso che fa il suo ingresso in un istituto penitenziario, da quando si trova in carcere.
Lettere che scandiranno anche la vita di questo ergastolano.

Una vita, incredibile solo immaginarlo, colma di obiettivi raggiunti (….adesso la faccio ridere, qualche parola d’inglese la dico, anche se prima dovrei imparare meglio l’italiano.) o mancati, speranze faticosamente realizzate o improvvisamente scomparse, stati d’animo contrastanti e contrastati, rinunce sopportate (a giugno se sarò pronto, ci saranno gli esami di terza media, e mi auguro di riuscire, perché devo rinunciare a tante cose, anche allora d’aria mattutina e la ginnastica e altro, ma pazienza, se sarò promosso meritava la pena), di un amore a lungo invisibilmente vissuto e quindi perso (Caro presidente, è dura ma supererò anche questa. E ora cambiamo discorso, non voglio macchiare il foglio con le mie lacrime) e al fine segnata dalla ricerca dell’unica libertà possibile (L’altra settimana ne ho combinata una delle mie: mi sono impiccato. Mi scusi.).
Quella libertà possibile che dà il titolo Fine pena: ora.

Guido Peparaio

Elvio Fassone
Fine pena: ora
Sellerio Editore, 2015
pagg. 192
€ 14,00

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