
A parte la pandemia, gli anni che stiamo vivendo sono caratterizzati a livello globale dalla presa di coscienza sul cambiamento climatico: è una sfida che l'umanità deve affrontare con successo per mantenere l'attuale livello di sviluppo. Il prezzo dell'insuccesso sarebbe appunto un'ineluttabile regressione della nostra società a livelli oggi impensabili e, con ogni probabilità, l'estinzione di un considerevole numero di altre specie viventi.
In questo contesto, l'energia gioca un ruolo fondamentale, sia diretto, in quanto produzione e distribuzione generano un'impronta molto pesante sul pianeta, sia indiretto, attraverso consumi lungi dall'essere efficienti e limitati. Non potrebbe essere diversamente, d'altro canto: proprio la disponibilità di grandi, enormi, quantità di energia – e la capacità di controllarla- sono il fattore fisico/tangibile che distingue l'era pre-industriale dai nostri tempi.
Si spiega così la crescente attenzione verso tutto ciò che concerne l'energia, considerata invece del tutto scontata per decenni.
Ecco perché tutti guardiamo con grande attenzione e favore le fonti considerate “pulite e rinnovabili” e non ci soffermiamo con le dovute attenzione e cautela sul prezzo, comunque non trascurabile e anche alquanto evidente, che paghiamo affinché almeno non venga direttamente aumentata la quantità di anidride carbonica in atmosfera.
L'idroelettrica è tra quelle la più rilevante in termini di produzione e impatto. È anche la più “antica”; le prime applicazioni risalgono infatti a circa 140 anni fa, in un'epoca in cui il paradigma agostiniano (Dio ha creato la natura a servizio dell'uomo) dominava ancora la cultura.
Il “sistema tecnico” idroelettrico non ha subito sostanziali mutamenti di configurazione in tutto questo tempo. Esso è quindi altamente “maturo” dal punto di vista tecnologico ed è ormai elevatissima la sua efficienza nella conversione in elettricità dell'energia dell'acqua, che cade naturalmente dall'alto verso il basso. Di conseguenza, la redditività degli investimenti è molto alta, sia rispetto a tutte le altre fonti di energia, sia rispetto ai rischi tecnici connessi a installare e gestire gli impianti.
Per i motivi di cui sopra, dall'approccio culturale alla operatività quotidiana, chi gestisce gli impianti è estremamente interessato a massimizzare i profitti, aumentando la produzione (cioè sfruttando la maggior quantità di acqua possibile) e diminuendo i costi con l'automazione degli impianti, trascurando la manutenzione del territorio e degli stessi impianti, talvolta anche alzando lentamente i livelli di rischio correlati. Le conseguenze di queste modalità di operare sono tuttavia devastanti.
Le nuove mega centrali in Amazzonia e sull'Himalaya hanno un impatto rilevante addirittura sul cambiamento climatico globale, oltre che sull'ambiente dei territori circostanti e su quelli rivieraschi, contigui ai fiumi, per migliaia di chilometri, fino al mare come dimostrano studi e realtà quotidiana del Mekong, ad esempio.
Nei nostri territori, anche il cosiddetto mini-idroelettrico sta invadendo le valli, ormai fino alle quote più elevate per sfruttare persino i ruscelli che fluiscono dai ghiacciai (quello che ne resta…). Eppure chi progetta e realizza gli impianti sa perfettamente che il cambiamento climatico incide sempre di più al crescere della quota.
Questo assalto indiscriminato ha conseguenze significative a qualsiasi livello di dimensione dell'impianto e a qualsiasi latitudine del globo.
A prelievi sostanziali di acqua dal corso naturale per quasi tutto l'anno non possono che corrispondere peggioramenti dello stato dei terreni che quindi ci espongono a rischi geologici crescenti. Dal punto di vista biologico, sia fauna che flora sono messe a rischio di sopravvivenza: basta una qualsiasi interruzione nella catena alimentare (dai microorganismi alle aquile) per destabilizzare ciò che, non a caso, si chiama ecosistema ambientale.
Ma non è tutto; ancora non abbiamo esaminato gli impatti che un impianto idroelettrico produce sulla società umana che abita le zone direttamente toccate dagli impianti e quelle circostanti. In realtà, sono decisamente di segno negativo. Senza arrivare ai livelli del Sudamerica o della Cina dove non è fuori luogo parlare di morte, devastazione e schiavismo, possiamo dire che anche qui, in Europa e in Italia abbiamo sistematicamente situazioni ben poco edificanti.
Il caso italiano è lampante: l'idroelettrico, quello “grande”, è stato sviluppato dal Ventennio fascista fino agli anni sessanta, quando l'espansione si è sostanzialmente fermata, sia per la tragedia del Vajont, sia per l'esaurimento della disponibilità di “location” redditizie.
Ebbene, in quell'arco di tempo, la popolazione nazionale è sostanzialmente raddoppiata. La popolazione dei territori montani, invece, si è decimata. Certo, la causa non è soltanto la realizzazione degli impianti idroelettrici. Tuttavia, l'energia elettrica può essere trasportata in pianura, dove è più conveniente sviluppare l'industria e offrire lavoro; ecco perché questo sistematico approccio ha quindi più che favorito l'abbandono delle montagne, che un tempo ospitavano fiorenti comunità.
Ma – dicono i Gestori Idroelettrici – noi paghiamo compensazioni a decine di milioni all'anno per ogni impianto! A parte che, spesso, essi si oppongono (a torto o a ragione, con grandi avvocati in tutte le possibili sedi…) a compensazioni supplementari dovute per prolungamenti delle concessioni, si può affermare che la parte del valore aggiunto generato dalla vendita dell'energia che rimane sul territorio è davvero piccola: secondo l'esperienza di alcune nostre province montane e anche di studi di livello internazionale, mediamente inferiore al 20 %. Insomma, non siamo a livello dei diamanti insanguinati, ma, di certo, tra costoro e la filantropia… scorre un bel po' di acqua.
Per contrastare questo stato delle cose, nei territori interessanti sono nati e cresciuti negli anni movimenti, associazioni, comitati – e io stesso sono attivo in quello valdostano (Giù le mani dalle acque e dalla Compagnia Valdostana delle Acque [1]) – che operano a livello locale e, al massimo, regionale. Realtà che lavorano per sollevare sia l'attenzione degli stakeholders di riferimento sia per ottenere risposte concretamente operative.
Riconoscendo che le problematiche locali sono sostanzialmente simili, dalle Alpi alle Madonie, sta crescendo un livello di aggregazione più alto, che si concretizza attraverso un Coordinamento Nazionale finalizzato a supportare le azioni locali e ad interagire a livello centrale, del quale sono uno dei partecipanti: Coordinamento dei Comitati dei Territori Montani per l'Idroelettrico [2].
L'obiettivo finale non è certo quello di “abolire” l'idroelettrico, bensì quello di renderlo compatibile con l'ambiente. Si tratta di correggere la priorità nello sfruttamento della risorsa acqua, anteponendo le esigenze dell'ambiente, poi quelli dell'uso umano e per le attività agricole-zootecniche a quella della produzione elettrica.
Ciò nonostante, se questa prima fase venisse completata, la produzione sarebbe ancora sufficiente a ottenere rapidamente un obiettivo veramente molto ambizioso, se fosse dedicata al territorio anziché al beneficio di altre entità economiche.
La maggior parte dei territori montani interessati dall'idroelettrico, potrebbe infatti fruire di una sostanziale indipendenza energetica, situazione strategicamente invidiabile a livello planetario, anche se non bene accetta al Copasir che in un suo rapporto [3] contesta gli “interessi localistici”.
Il vantaggio strategico potrebbe concretizzarsi in pochi anni realizzando nei territori montani italiani la transizione ecologica completa, rendendo all-electric tutti i consumi energetici, industria, trasporti, riscaldamento beneficiando l'intero ecosistema ambientale, ma soprattutto la salute della popolazione e l'economia, anche con lo sviluppo di un turismo davvero sostenibile.
Ezio Roppolo
[1] https://www.facebook.com/comitatoacquevda/
[2] https://www.facebook.com/Idroelettrico-sostenibile-e-trasparente-104689141702214
[3] https://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/commissioni/bicamerali/copasir18/Relazione_Copasir_sicurezza_energetica_BOZZA.pdf
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