
Già da alcuni giorni la Corte Costituzionale si è espressa nel merito delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia, riguardo al tema di accesso al beneficio penitenziario per il condannato all'ergastolo ostativo che non abbia collaborato con la giustizia.
Ancor prima, a riguardo, si è pronunciata la Corte di Strasburgo che ha stabilito la necessità, che il nostro Paese, riformi quella parte della Legge 26 luglio 1975 n. 354 che regola nella sua interezza l'ergastolo ostativo.
Prima della Corte europea e ancor prima di quanto stabilito dall'art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pena o trattamenti inumani e degradanti”, la Costituzione della nostra Repubblica all'art. 27 ha disposto: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Un attimo dopo l'uscita pubblica del pronunciamento della Consulta, una lunga fila di commentatori politici di professione si è aggregata alla stampa scritta, parlata o urlata (Dio ci salvi), per assolvere il diritto/dovere di informare.
Una fila variopinta e composita che ha affiancato una minoranza di qualificatissimi giuristi con la riuscita intenzione, di mettere tutto in discussione dimentichi, magari, di aver dichiarato i giorni innanzi che “i pronunciamenti della Magistratura si possono valutare ma non si devono mai e poi mai mettere in discussione”.
Ovviamente l'informazione sul pronunciamento è passata in secondo piano mentre è diventato preminente il dibattito capzioso. Un dibattito non degno a mio parere, se non per la parte affidata ai giuristi, di essere riportato se non per questa dichiarazione, apparsa su Adnkronos, di un noto esponente politico: “Permessi a chi ha massacrato? Col ca… che gli do il permesso”.
Così organizzato il circo mediatico, le valutazioni giuridiche sul pronunciamento con il quale i Giudici costituzionali hanno deciso che vanno ammessi ai benefici anche i condannati all'ergastolo ostativo che non collaborano con la giustizia e il come potranno accedervi, è diventato un refuso quasi insignificante e ingombrante.
Molto meglio dare in pasto alla pubblica opinione ignara e oggi, purtroppo, non colpevolmente lieta di essere traghettata dai nuovi Caronte, il messaggio secondo il quale lo Stato si appresta a dare il liberi tutti di giovanile memoria, a orde di assassini e malviventi.
Ebbene non è e non sarà così.
Le dichiarazioni rilasciate a riguardo dall'ex Procuratore della Repubblica e Consigliere di Cassazione dott. Gherardo Colombo ne sono qualificatissimo riferimento: “La decisione della Consulta riguarda soltanto la possibilità (certo non il dovere) del giudice di concedere i permessi premio: è lui che decide; chi non ha fatto un percorso riabilitativo, non risulta che abbia reciso i vincoli associativi, si può prevedere che possa riallacciarli, cioè chi è ancora pericoloso non può averne”.
A queste dichiarazioni lucide ed esaustive occorre consapevolmente riferirsi nell'assoluta certezza, mai venuta meno, che i magistrati di sorveglianza e tutti gli uffici, di cui si avvalgono, come sempre, continueranno a tenere alto il livello di attenzione sulle valutazioni che, dopo un percorso lungo negli anni e oltremodo impegnativo e selettivo, potrebbero portare alcuni di questi esseri umani mai più invisibili, a ottenere il beneficio previsto per il loro stato.
Un percorso valutativo che, se necessario, può essere adeguato alle nuove esigenze dal Parlamento della nostra Repubblica. Adeguato nel rispetto della Costituzione che nulla concede e deve concedere alla mafia, aberrante in tutte le sue manifestazioni così come tutte le forme di criminalità. Adeguato così come compete a un grande Popolo socialmente e moralmente avanzato; un Popolo che ambisce a salvarne uno di mille e festeggiare dopo averlo fatto.
Guido Peparaio
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