
Fabio Sgroi parla con voce pacata della Palermo degli Anni ’80, della vita quotidiana dei giovani. Erano anni in cui la mafia imperava con un’annichilente potenza di fuoco. Io che me ne andavo quando Sgroi iniziava a fotografare nell’agenzia di Letizia Battaglia e Franco Zecchin per conto de “l’Ora”, quotidiano di Palermo.
Fabio Sgroi è nato a Palermo e vi risiede tuttora, ma il suo mestiere, la sua profonda curiosità e la sua arte l’hanno condotto in giro per il mondo.

Nel 2000 la sua attenzione e il suo sguardo si rivolge all’Europa, a quei paesi che credono in una identità comune nel Vecchio continente. Riesce a fotografare l’humus dei nove Paesi che entrano a far parte dell’Unione.
Sono scatti che immortalano un processo di identità che si avvia in un momento storico di ovvia euforia per quelle nazioni.

Nel 2017 pubblica “Past Euphoria Post Europa” un libro che attraversa il tempo dei cambiamenti avvenuti nelle società di 14 Paesi.
Fabio Sgroi mi racconta anche di Passage, viaggio fotografico tematico nato dopo la guerra balcanica da Istanbul a Belgrado. «C’erano interessi personali e storici verso Belgrado dove non era mai stato. C’è la ricerca di una visione intima e personale delle immagini, il cambiamento della Iugoslavia verso lo sfaldamento storico e atmosferico dopo Tito. Anticipando quello che si è creato anche in Polonia con i nazionalismi».

Gli chiedo da quali fotografi è stato influenzato e, sorridendo, mi risponde «i grandi del fotogiornalismo della Magnum Photos cioè Koudelka, Robert Frank, …».
Pensando alla sua fotografia mi ritorna alla mente una considerazione della scrittrice e filosofa, Susan Sontag che scriveva: “La nostra è un’epoca nostalgica e i fotografi sono promotori attivi della nostalgia. La fotografia è un’arte elegiaca, un’arte crepuscolare. Quasi tutti i suoi soggetti, per il solo fatto di essere fotografati, sono tinti di pathos.”

Torno ad osservare le sue foto. Mi cattura un’altra foto degli anni ’80. Saranno i miei ricordi di anni controversi a portare lo sguardo?
M’abbutta. Un termine che significa “mi scoccia” molto in voga tra gli adolescenti palermitani. Palermo era anche quello, una città stanca con le ferite ancora violentemente aperte dalla guerra e gloriosamente in mostra nelle zone popolose della città vecchia.
Con l’immobilismo che impone la criminalità mafiosa molto fiorente dove la cultura e l’arte si rannicchiavano su se stesse ghettizzate e compresse. Distanti dalla cultura popolare se non nella rappresentazione dei cosiddetti pupari in piccoli teatrini. La ”Vucciria” era ancora quella di Guttuso, lontana da quella turistica dei giorni nostri. La ricordo ancora come quel materasso che stancamente si allunga sulla città con la pigrizia di chi s’abbutta per non rialzarsi.

Di prossima uscita il libro “Palermo 90“, e gli chiedo cosa ci si aspetta. «È l’evoluzione della città di Palermo documentando i movimenti giovanili in quegli anni -cultura e vita quotidiana cercando l’atmosfera della città anche nella fascinazione notturna con effetto “movimento”, con flash “ Ho sempre fotografato la mia città – in ogni modo».
Maria Grazia Galatà
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