Fate la scienza, non fate la guerra

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Prendi ottomila persone provenienti dalle più disparate regioni del globo, appartenenti a tradizioni, culture e religioni agli antipodi. Abbi particolare cura di non tralasciare esponenti dei popoli più intransigenti, chiusi ed identitari al mondo. Confinali tutti dentro uno spazio ristretto di sedici chilometri quadrati per una decina d'anni. Quale potrebbe essere il risultato? Guerra, morte, devastazione? Non necessariamente. Potremmo aver appena ottenuto un centro accademico di rilevanza planetaria.

King Abdullah University of Science and Technology

La King Abdullah University of Science and Technology, o semplicemente “il KAUST”, non è solo la prima Università al mondo per numero di citazioni ricevute dalle pubblicazioni scientifiche dei suoi Professori [1]. Ma è anche, direi soprattutto, uno straordinario laboratorio sociale attraverso il quale la migliore fetta del globalismo moderno viene calata dentro i confini difficilmente valicabili di uno dei Paesi più conservatori al mondo. Entro quei sedici chilometri quadrati, le donne, Saudite e non, da anni si vestono come vogliono, guidano, lavorano a contatto col pubblico e in generale godono degli stessi diritti riservati agli uomini. Addirittura maschi e femmine frequentano gli stessi corsi, eresia che in fase di progettazione fece accapponare la pelle a molti autoctoni, convinti che una scelta del genere non avrebbe potuto che degenerare in una Gomorra accademica tra sfrenati baccanali e viziosi riti pagani. Anche da quelle parti, evidentemente, i più erano pessimisti sull'esito della nuova enclave multiculturale. Ma dieci anni più tardi, non scorgendosi alcuna deriva dissolutista all'orizzonte, anche le teste più dure hanno dovuto arrendersi all'evidenza che un mondo diverso sia possibile. Gli studenti formatisi in questo ambiente, una volta tornati alle proprie famiglie, potranno forse dimenticarsi qualche teorema, ma porteranno con sé ben altre lezioni.

Proprio al KAUST, pochi giorni prima che mi accingessi a scrivere queste righe, Romain Murenzi, Direttore Esecutivo dell'Accademia Mondiale delle Scienze (acronimo inglese TWAS), ha parlato del ruolo di scienza e tecnologia come strumento per ridurre le distanze, anche economiche, tra il Nord e il Sud del mondo.
Murenzi che tra le altre cose, sebbene Ruandese con una brillante carriera accademica negli USA, oggi vive a Trieste, perché è lì che ha sede il quartier generale della TWAS. Trieste, Italia. Patria di navigatori non-governativi e di santi talvolta evocati dai governanti, ma anche di scienziati visionari. Tra i quali, in questa storia, spicca Paolo Budinich, citato dallo stesso Murenzi per aver fondato nel 1964 il Centro Internazionale di Fisica Teorica (altro acronimo inglese: ICTP) di Trieste insieme al Premio Nobel Mohammad Abdus Salam, grande scienziato di origini Pakistane. Sì, proprio «un Mohammad», come talvolta qualcuno dice irriguardosamente per indicare un islamico a caso. L'ICTP aveva ed ha, tra le sue missioni fondative, quella di dare la possibilità a studenti provenienti dal terzo mondo scientifico, che non a caso coincide col terzo mondo economico, di ricevere una formazione di livello internazionale e portarsi «a casa loro» pezzi di un futuro negato. È su questo terreno fecondo di visioni solidali che nacque anche la TWAS. Sempre a Trieste, Friuli Venezia Giulia, a pochi passi da quei duecento chilometri di confine sloveno che, mentre scrivo, si possono ancora attraversare senza scavalcare.

Romain Murenzi al Kaust

L'idea alla base di questi progetti, straordinariamente ambiziosa nella realizzazione, è assai lineare nei principi: non c'è senza e non c'è conoscenza senza confronto. Come in una sorta di sconfinato oceano culturale, è necessario che le correnti dei popoli si mescolino e si contaminino, affinché la conoscenza si propaghi termodinamicamente dalle regioni più scaldate dall'energia dello sviluppo a quelle dove i bollenti raggi del sole subequatoriale riescono tutt'al più ad imperlare le fronti aggrottate di maestri di scuola semi-analfabeti. I quali, come ricordava Murenzi, vantano come unico talento professionale la capacità di maneggiare un bastone. Una condizione sventurata alla quale sarebbe più facile sottrarsi una volta respirata l'aria di un mondo diverso, del quale piantare i semi nel proprio orto domestico, di ritorno da un'avventura migratoria scientifico-culturale che può valere un nuovo inizio non solo per chi l'ha affrontata. Invitarli a casa nostra per aiutarli a casa loro sembra suonare come il corto circuito definitivo in un momento storico di barricate manicheistiche. E d'altra parte non ricordo che alcun problema sia mai stato risolto a suon di insulti creativi.

Ma se Murenzi parlava di come la scienza possa costruire ascensori sociali per chi è rimasto ai piani bassi dello sviluppo, proprio il KAUST testimonia l'altra grande missione implicita nell'impresa scientifica. La scienza, in quanto difficilmente discutibile almeno nei risultati provenienti dai suoi ambiti cosiddetti «forti», rappresenta l'unica verità che travalica qualunque credo e cultura. Persino la Verità rivelata, quella tramandata con la «V» maiuscola, risente di tradizioni e latitudini. Il Verbo che nessuno oserebbe discutere a Roma potrebbe essere considerato alla stregua di una bizzarra opera di fantasia a Pechino. Viceversa, due più due fa quattro tanto all'ombra della Lupa, quanto nel nido del Dragone. È questa la cifra, per l'appunto, di un linguaggio universale che diventa interesse comune quando l'economia globale vira sull'innovazione, e chi non parla la lingua dei numeri perde il treno dello sviluppo.

King Abdullah University of Science and Technology

Così, persino l'Arabia Saudita, paese dotato delle più grandi riserve petrolifere al mondo, e per questo in grado da un giorno all'altro di farlo letteralmente smettere di girare, per mantenere il suo benessere non può fare a meno di aprire spiragli verso chi magari professa una visione diversa dell'esistenza, ma che a scuola ha imparato le tue stesse tabelline. Che poi sono quelle coi numeri arabi. E così lo straniero può aiutare a diversificare l'economia, ad incrementare le risorse idriche, a comprendere la ricchezza biologica di un mare leggendario come quello che bagna anche il KAUST. Ma non solo. Le armi della conoscenza possono incentivare una società a diventare più aperta, più moderna, più sostenibile. Nelle parole stesse di King Abdullah: «Senza dubbio i centri scientifici che abbracciano tutti i popoli sono la prima linea di difesa di fronte agli estremismi». Parole che, accompagnate dalla più alta sovvenzione finanziaria al mondo per una singola struttura universitaria, rivelano mire ambiziose di uno sviluppo economico che passa per l'ammodernamento sociale. O forse addirittura viceversa, mi piace pensare.

«I campi del Siam non possono essere arati in un giorno solo», disse il sovrano della moderna Thailandia, chiamato a spiegare il motivo di una condanna a morte comminata ingiustamente. Ma se «Anna e il Re del Siam» era un romanzo di fantasia, l'enorme attrito che si oppone ad ogni cambiamento è invece qualcosa di prepotentemente reale. Le transizioni culturali pacifiche avvengono in ripida salita, un'idea alla volta. Un cambiamento che si può agevolare solo con la disponibilità ad esserne parte. Con l'apertura al dialogo, lasciando persino inspiegato ciò che non trova posto nei cassetti mentali della propria cultura e focalizzandosi invece sui punti, o ponti, comuni. Concentrandosi su ciò che ci rende simili, come l'impresa scientifica, e mettendo da parte ciò che ci divide, come i dogmatismi. E a furia di ripetere questo esercizio di incontro tra diversità, potremmo ritrovarci un giorno a guardarci allo specchio e scoprirci uguali. È questo il messaggio di cui la scienza dovrebbe farsi veicolo, approfittando della sua inarrestabile potenza penetrativa. Dovrebbe offrire su un vassoio d'oro, piuttosto che dentro un cavallo di legno, la strada del cambiamento.

Ciccio Napolitano
Research Scientist
King Abdullah University of Science and Technology

 

[1] Classifica di QS World University Ranking, indice “Citations per Faculty”.

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