
Nell' ultimo romanzo di Federica Ciravegna – Il ragazzino che scelse il silenzio – il passaggio dall'infanzia all'adolescenza è particolarmente difficile e sofferto. Fulvio è un bambino romano di 11 anni, figlio unico per una coppia di genitori altamente conflittuale, costituita da una madre aggressiva, distante, svalutante ed un padre passivo e costantemente umiliato di fronte al figlio.
Il giovane protagonista vive con grande sofferenza e difficoltà la vita in famiglia, egli sembra un personaggio secondario rispetto al protagonismo dei genitori.
Inevitabile pensare che Federica Ciravegna abbia attinto a piene mani alla propria esperienza professionale di educatrice di minori a rischio proprio nella periferia romana. Il romanzo scorre fluido, una narrazione lineare che allo scorrere degli eventi affianca il percorso interiore di Fulvio: dalla sofferenza all'impotenza, fino alla sua decisione (sorprendente e inaspettata per i due genitori) di cessare ogni tipo di comunicazione verbale, nella speranza di attirare l'attenzione della madre e del padre. Il silenzio del bambino nasce probabilmente con l'intenzione di punire e scuotere i genitori; in effetti, esso compie – nell'ambito della famiglia – la funzione di un elettroshock relazionale, il quale (accompagnato da rocambolesche e impreviste situazioni) genera il reset di quelle che erano delle relazioni tossiche intra familiari, consentendo ripartire in maniera più sana.
Il silenzio di Fulvio nei confronti dell'ambiente esterno è accompagnato dal fiorire del mondo emozionale interiore di un adolescente alle prese con il germogliare di sentimenti nuovi che non vengono ostacolati in nessun modo dal suo mutismo. Una storia di ruvida tenerezza, una scrittura che scorre piacevole e chiara, ma nella quale si tocca tutto il coinvolgimento dell'autrice e l'amorevole vicinanza al mondo interiore di Fulvio, bambino spaventato e passivo che userà il silenzio per crearsi un bozzolo, come un bruco, dal quale uscirà non più bambino e con la consapevolezza di poter essere l'artefice attivo del cambiamento suo e di chi gli sta intorno
Federica Ciravegna ha risposto ad alcune domande.
Federica, oltre ad essere una scrittrice tu sei un'educatrice. ti occupi di bambini e adolescenti a rischio oltre che di disabilità ed hai anche un terzo progetto educativo su famiglie segnalate dai servizi sociali e dal tribunale per i minorenni che hanno bisogno di un supporto per avere una relazione proficua e funzionale con i propri figli: famiglie problematiche come quella di Fulvio, il ragazzino protagonista del tuo libro. Quanti Fulvio ha incontrato nel tuo percorso professionale? Quanto c'è di autobiografico nella tua storia?
Considera che io faccio questo lavoro dal 1999, quindi in quasi 25 anni di situazioni ne ho incontrate a iosa, sono davvero moltissimi i casi e purtroppo sono criticità anche che vanno a compromettere la crescita di questi bambini, perché è chiaro che basta un solo trauma per inficiare la vita adulta; figurati un po' quando hai traumi ripetuti, vivendo all'interno di famiglia di pregiudicati, con problemi di tossicodipendenza, di alcolismo, di violenza domestica.
Anche se non è strettamente autobiografica la prima parte in cui presento il bambino e la sua famiglia però c'è molto di quello che vivo quotidianamente nel mio lavoro. L'ambientazione è quella di Primavalle a Roma dove io lavoro e che frequento tutti i giorni.
Quindi mi stai dicendo che ti capita frequentemente di incontrare dei bambini così tutti i giorni, 6 giorni su 7, 8 ore al giorno. Però questa storia che ci racconti è una storia che ha un esito felice, perché alla fine Fulvio – grazie ad uno stratagemma – riesce a migliorare e sbloccare la sua situazione familiare e a fare uscire i suoi genitori dalla spirale di violenza nella quale la relazione tra di loro è intrappolata. Quindi una storia che dà speranza. Io ti chiedo – come operatrice del settore e da un punto di vista della tua esperienza personale – quanti sono i bambini e minori a rischio che riescono effettivamente a emanciparsi grazie a un qualche stratagemma personale o contando sulle proprie risorse personali da queste situazioni familiari.
Dal mio personale punto di osservazione posso dirti che quattro bambini su dieci su quelli seguiti hanno esiti positivi mentre gli altri, una volta terminato il progetto, tornano alle vecchie abitudini. Parliamo di bambini seguiti, ma io mi chiedo invece tra quelli non seguiti quante siano le chance che questi bambini o adolescenti riescano ad avere un percorso di crescita sano.
In questi casi la grande differenza è se sul territorio sono presenti strutture o no, in primis la scuola, il gruppo di pari, all'interno del quale il bambino o il giovane è inserito. Allo stesso modo è utile il doposcuola e tutti gli altri possibili centri di aggregazione dove siano presenti regole ed esempi positivi. Sapessi quanto ci aiutano, oltre alla scuola, le chiese, le parrocchie e le loro attività indirizzate a bambini e ragazzi. Sono fondamentali in una nazione di servizi sociali discontinui; se noi non avessimo la chiesa, il terzo settore, il volontariato, gli scout… Queste sono le realtà che fanno la differenza e che ti salvano! Perché quando tu frequenti tutti i pomeriggi un oratorio dove se vuoi stare lì a giocare non devi dire le parolacce, ti devi comportare bene, non devi alzare le mani, questo fa tantissimo nei processi di crescita e formativi dei minori a rischio. Quelli sono gli insegnamenti che restano ai bimbi.
Ecco perché io dico sempre che bisogna mettere risorse sul territorio: scuole, biblioteche, centri di aggregazione. Sono questi i luoghi che ti permettono di crescere sano anche se hai avuto la sfortuna di nascere da una famiglia problematica, disfunzionale e fanno sì che si possa avere uno sviluppo ed una crescita con esito positivo
Ti faccio una domanda scomoda: alcuni giorni fa c'è stato l'omicidio a Napoli da parte di un sedicenne di un giovane, Giambattista Cutolo, musicista napoletano di 27, freddato da tre colpi per una lite sul parcheggio di un motorino. Un episodio che ha infiammato l'opinione pubblica, tanto che sulla stampa e sui social abbiamo letto valanghe di dichiarazioni affinché il sedicenne venga considerato alla stregua di un maggiorenne e come un maggiorenne giudicato e punito, ritenendo che in questi casi sarebbe impossibile il recupero. Parliamo in questo caso, però, di una persona che ha vissuto in un contesto di grave disagio familiare e sociale, la Napoli dell'arte e della legalità contrapposta alla Napoli della criminalità.
Tu ritieni che a sedici anni un ragazzo che non ha avuto la possibilità di essere recuperato attraverso le strutture che dicevamo prima o di essere tolto alla famiglia ed inserito in un contesto più sano possa essere giudicato così come un adulto?
Purtroppo, questi sono figli della loro cultura; questo ragazzo che ha armato la propria mano e ha sparato era figlio della camorra, gli apprendimenti, i modelli comportamentali dai quali lui ha appreso ed è cresciuto sono stati quello dell'arroganza, delle uccisioni, delle “stese”, come le chiamano a Napoli. Da questo ambiente doveva essere tolto immediatamente. Adesso, questo ragazzo a 16 anni va nel carcere minorile. Io mi auguro che ci sia nel carcere – attraverso gli educatori – un progetto di recupero; se avrà fortuna, potrà fare un percorso di crescita diverso, sano. In questo caso il carcere minorile gli dà una possibilità e potrebbe essere recuperato ugualmente. Mi piace ricordare le parole di Fabrizio De André nella canzone Via del Campo: «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
Adelaide Cacace
Federica Ciravegna
Il ragazzino che scelse il silenzio
Il Seme Bianco, 2023
pagine 176
€ 17,50
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie