Repubblica democratica, ricordando le parole di Pietro Nenni

Repubblica italiana 2 giugno 1946

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Scriveva il 2 giugno 1964 sul suo diario Pietro Nenni, Vicepresidente del consiglio del I Governo Moro e leader indiscusso del PSI, anche se da poco non più segretario perché sostituito da Francesco De Martino:

Trascorso il diciottesimo anniversario della Repubblica nella pace di Formia, lontano dalle celebrazioni ufficiali e dalle risse. Che giudizio dare della Repubblica? Che essa era più bella sotto la monarchia quando era soltanto un'aspirazione o addirittura un sogno. Ma sarebbe un giudizio sommario e tutto sommato superficiale. Tale quale è, e malgrado le deficienze della sua classe politica, rappresenta pur sempre la prima forma di potere e di conquista popolare a un secolo dalla Unità. Non è poco.

In queste poche frasi s'intravedono molte delle caratteristiche personali e politiche di uno dei principali artefici della Repubblica e del centro-sinistra d'inizio anni Sessanta. In quel 2 giugno Nenni non poteva sapere che il 26 giugno Moro si sarebbe dimesso, dopo che il suo governo era stato messo in minoranza alla Camera il giorno prima su un capitolo del bilancio dello Stato che prevedeva uno stanziamento di 149 milioni di lire per le scuole private. Si sarebbe così aperta una delle crisi più lunghe (quasi un mese) e inquietanti della storia repubblicana. Il centro-sinistra, già minato da tensioni interne tra democristiani e socialisti ma anche all'interno dello stesso PSI, sarebbe rinato ma, con Antonio Giolitti non più Ministro del Bilancio e Riccardo Lombardi sostituito alla direzione dell'Avanti!, su presupposti programmatici meno radicali che Nenni scelse di accettare dopo aver vissuto un intenso travaglio interiore. Il 26 luglio, sull'Avanti!, l'uomo che aveva combattuto il nazifascismo dentro e fuori dai confini nazionali, perdendo ad Auschwitz l'amata figlia Vittoria nel 1943, spiegò che se il centro-sinistra non fosse stato ricostruito la giovane italiana sarebbe stata in serio pericolo, più di quanto non lo fosse stata quattro anni prima con il Governo Tambroni, che stava per aprire le porte a soluzioni “clerico-fasciste”, per usare un'espressione dello stesso Nenni.

Nel 1967 un'inchiesta giornalistica de L'Espresso avrebbe scoperto l'esistenza del Piano Solo, messo a punto dal Comandante generale dei carabinieri, Giovanni De Lorenzo, con il beneplacito del Capo dello Stato Antonio Segni. Un autentico progetto di colpo di Stato? Un'indebita pressione sul quadro di governo per limitare lo spazio di manovra del PSI e del repubblicano Ugo La Malfa? Una sorta di bluff per intimorire i fautori delle riforme di struttura, a cominciare dalla programmazione e dalla riforma urbanistica, vista con paura dagli speculatori edilizi? Dopo quasi sessant'anni non tutto è stato ancora chiarito e forse mai lo sarà. Sappiamo però che l'obiettivo, proprio di buona parte della corrente dorotea della e della destra economica, oltre che dell'informazione conservatrice e reazionaria, di limitare la spinta riformatrice del primo centro-sinistra fu raggiunto e che Nenni, che raccolse varie critiche per la scelta di adeguarsi, letta anche da alcuni esponenti del suo stesso partito e del PSIUP come un deleterio “cedimento”, aveva respirato un'aria pesante. Aveva avuto la conferma che la Repubblica democratica era debole e che le deficienze della classe politica forse non erano il problema principale. Forse c'era qualcuno che contava di più dei parlamentari e che, avvalendosi di sponde anche in Europa, voleva indirizzare gli eventi con l'obiettivo di “sgonfiare” un programma avanzato di modernizzazione dell' concepito durante il miracolo economico, nella fase di massima espansione dell'economia, pur in presenza di forti contraddizioni e crescenti squilibri nel modello di sviluppo.

Il 12 dicembre 1969, con la strage di Piazza Fontana a Milano, sarebbe iniziata la strategia della tensione in chiave anticomunista ma anche antisocialista e, più in generale, concepita per alterare il clima nel paese, mirando a creare prima le condizioni per un colpo di Stato di stampo fascista e poi, con la costante collaborazione dei servizi segreti deviati, per una stabilizzazione in senso moderato del quadro di governo. Ma l'Italia democratica seppe resistere, sia pure con fatica. Proprio in quella delicata fase, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta, vennero approvate riforme epocali attese da molti anni, come lo Statuto dei Lavoratori, il divorzio e l'ordinamento regionale. Si poteva fare meglio? Forse sì, considerato anche il prezzo enorme che fu pagato in termini di vite umane, in un decennio (gli anni di piombo) durante il quale la violenza politica, indirettamente favorita pure dai troppi ritardi dell'azione di governo negli anni precedenti, condizionò pesantemente le dinamiche interne alla società civile e il quadro politico. Ma la salvaguardia della democrazia, figlia della partecipazione popolare e dell'impegno della maggior parte del mondo politico-sindacale (anche dell'opposizione comunista), non fu un dettaglio.

Oggi gli attacchi alla democrazia sono di altro tipo, ma rimangono pericolosi. Anche in questa stagione è bene rimanere vigili e avere coraggio: la Repubblica democratica deve essere tutelata da tutti i cittadini, non soltanto il 2 giugno quando si festeggia ma anche nel resto dell'anno, quando ci si distrae facendosi avvolgere da una normalità sempre più tetra che allontana dalla coscienza e dal senso critico. Le parole pronunciate da Nenni nel 1964 ci ricordano quest'urgenza anche alla luce di un contesto internazionale ormai da tempo caratterizzato da enormi squilibri socioeconomici e politico-culturali, che richiederebbero un'attenzione maggiore da parte delle classi dirigenti di tutti i continenti per la giustizia sociale, senza la quale non ci possono essere libertà e sviluppo duraturi.

Andrea Ricciardi

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