
Il 24 e 25 giugno a Genova si svolge Game Happens! il festival dedicato al game design e alla realtà virtuale. Con molti ospiti internazionali si terranno seminari e workshop per unire la creatività all’industria e al mercato. Tra gli altri è attesa la presenza di Eric Zimmerman, padre del game design moderno e fondatore del Game Center alla New York University che “ parlerà di come essere game designer non si traduca solo in una professione, ma anche in un modo di interpretare il mondo”. Interessante anche il tema che analizzerà Niki Smit (fondatore di Monobanda PLAY): i giochi che non prevedono regole.
Ci sarà anche un concerto gratuito di musica elettronica per i nostalgici dei suoni a 8-bit.

Del festival e di alcuni suoi aspetti abbiamo parlato con il direttore Federico Fasce già fondatori dello studio di sviluppo indipendente Urustar Srl e insieme a Marina Rossi inventore del festival
Come nasce e con quale obbiettivo il festival Game Happens? Il pubblico del festival è cambiato e se si come?
Game Happens! nasce con un duplice intento: da una parte quello di aggregare professionisti, studenti e studentesse che si muovono nel mondo del game development o stanno per farlo, e dall’altra quello di mostrare al pubblico l’industria dei videogiochi e alcuni dei sui lati più nascosti. Ci piace l’idea di offrire spunti e idee sia a chi è già professionista, sia a chi vuole diventarlo. Con il tempo stiamo cercando di aprirci a territori vicini a quello del game development, come l’interaction design e la realtà virtuale, per cercare di costruire ponti verso altre discipline.
Lei è un game designer, come si svolge suo lavoro dal momento dell’idea creativa a quello della realizzazione?
È un lavoro di ricerca lungo e complesso. Si tende a pensare che il game designer sia la persona che ha l’idea del gioco, ma questo non è che il primissimo passo. Un buon game designer deve sapere far lavorare bene insieme il resto del team, e parallelamente costruire prototipi, documentare lo sviluppo e prendere tutte le decisioni relative all’esperienza di chi poi proverà il gioco. Si tratta di un lavoro di continua rifinitura e analisi.
Ci anticipa alcuni elementi della presentazione di Matteo Bittanti e Pietro Righi Riva relativa al nuovo master universitario interdisciplinare?
Il nuovo master ) ci sembra estremamente interessante, perché va esattamente nella direzione di Game Happens!: trattare il gioco come un’attività culturale degna di nota, come una forma espressiva che insieme è antichissima e modernissima, e porre l’accento più sul processo creativo che sul software. Nel master, per la prima volta in Italia, professionisti da tutta Europa parleranno di un modo di giocare profondo, di un nuovo modo di vedere il medium videoludico. Alcuni nomi particolarmente interessanti sono la game writer Meg Jayanth e il duo Tale of Tales (incidentalmente anche ospiti di Game Happens!). A questo è stato affiancato anche un programma di partecipazione ai più importanti festival indipendenti a livello internazionale come A.MAZE, Independent Games Festival, IndieCade e Fantastic Arcade.

Può spiegarci i motivi che concorrono alla diffusione e al successo di giochi come Basketball Stars e quale ruolo assume nell’economia del successo il cellulare?
Oggi tutti hanno in mano uno smartphone. Rispetto alle console e in certa misura anche ai computer, hanno una diffusione e una base installata colossale. In più sono accanto a noi in momenti di transizione tra un’attività e l’altra, come nel percorso da casa al lavoro. Per questo riteniamo che il panorama mobile offra un tipo di esperienza differente, più legato all’accessibilità e a momenti di gioco veloci e parcellizzati. Il medium è il messaggio. Capire questo tipo di dinamiche sta alla base del successo di un buon gioco mobile. E la qualità e l’attenzione del design non è mai da sottovalutare, come dimostra Basketball Stars di Miniclip.
Rachele Morselli
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