
Le manifestazioni legate alla filosofia hanno conosciuto in questi ultimi anni un non banale consenso in termini di presenze e di attenzione critica. L'offerta di un dibattito filosofico fuori dei luoghi accademici, il rapporto con altre forme della ricerca e dell'espressione, la costruzione di momenti di coinvolgimento aperti anche a un pubblico non specialista, sono alcuni dei fattori di questo successo.
Resta però da chiedersi quale sia l'esigenza o la domanda che sta alla base di questo fenomeno.
Il radicamento sul territorio, la capacità di dialogare con le istituzioni locali e con il pubblico, la precisa scelta dei temi da seguire, sono alla base del successo di “Filosofia al Mare” (8-14 luglio) lungo la costa abruzzese, nell'ormai tradizionale sede di Francavilla, e, a partire da quest'anno, anche ad Ortona.
Filosofi e pensatori del calibro di Remo Bodei, Nicla Vassallo, Salvatore Natoli, Gianni Vattimo e tanti altri si confronteranno attraverso le “Conversazioni sulla vita”.
Sul senso di queste proposte filosofiche, sulla loro organizzazione e sulle loro finalità, abbiamo dialogato con Carlo Tatasciore, direttore scientifico di Filosofia al Mare.
Da qualche giorno è disponibile nelle librerie italiane un volume che racchiude alcuni testi di Jean-François Lyotard, il pensatore francese il cui nome è legato a La condizione postmoderna.
Il titolo scelto per l'edizione italiana della raccolta è Perché la filosofia è necessaria (Raffaello Cortina Editore; pagine 78; € 9,50).
Possiamo intendere questo titolo come una sollecitazione o una provocazione e trasformarlo, quindi, in una domanda: perché la filosofia è necessaria?
Si tratta di quattro lezioni di propedeutica filosofica, che Lyotard tenne alla Sorbona nel 1964. Anziché rispondere alla solita domanda “che cos'è la filosofia?”, egli tentava di giustificare il bisogno umano di filosofare. “Perché filosofare?”: questo era il suo interrogativo di partenza, al quale è rimasto più fedele il titolo dell'edizione francese. Ma la sostanza non cambia, perché riscoprendo con la psicoanalisi le dinamiche del desiderio e con le teorie marxiane le esigenze dell'agire, direi che il risultato porta giustamente ad affermare una “necessità” della filosofia. Certo, questo riferimento sarebbe fuorviante se fosse interpretato come una sorta di determinismo causalistico.
La stessa centralità del desiderio (del philein), e in particolare – con la filosofia – di un desiderio “riflesso”, cioè di un “desiderio che si desidera”, lascia intuire come l'attenzione degli studenti venisse focalizzata sul fatto che nel desiderio qualcosa è presente già nella forma dell'assenza. Infatti Lyotard rispolverava, dopo qualche significativo passaggio hegeliano, l'esigenza marxiana di trasformazione del mondo, ma per avvertire che “se il mondo è da trasformare, è perché ha in sé l'aspirazione ad altro”, cioè che “l'umanità è anche ciò che essa non è ancora”, che “c'è del senso che serpeggia nelle cose, nei rapporti tra gli uomini”, un senso che si tratta dunque di “liberare”.
E anche se la filosofia può apparire, ma anche essere realmente, “un passatempo per signorine di buona famiglia”, resta il fatto che essa “è o può essere anche il momento in cui il desiderio che è nella realtà viene a se stesso, e la mancanza di cui soffriamo, come individui e come collettività, si nomina e nominandosi si trasforma”.
In tal senso ritengo che se la filosofia, dopo aver “lavorato a casa” (per dirla con Lyotard), esce anche all'aperto delle piazze senza snaturarsi (almeno troppo) permette solo di evitare banali e inutili obiezioni. Del resto – è ancora lo stesso Lyotard a dirlo nella sua conclusione – non si può “voler essere bruti”, perché il silenzio assoluto non esiste, perché il mondo parla già, sempre, e non si può uscire dalla comunicazione.
Senza addentrarci in distinzioni tra scuole, correnti di pensiero e grandi nomi, si può serenamente prendere atto del successo – gli esempi sono tanti – delle iniziative che portano “la filosofia” fuori dei luoghi tradizionali.
Come si può interpretare questo fenomeno e questa richiesta d'incontri “filosofici” su di un terreno più aperto e con una comunicazione per un pubblico più vasto?
Direi che ormai è un fatto con cui bisogna fare i conti: diciamo pure che è una moda che riguarda la filosofia, con cui però, proprio per questa ragione, la filosofia deve confrontarsi. Se è vero che c'è un bisogno sociale di filosofia, questo va preso sul serio e non certo assecondato superficialmente. L'importante è cioè che in queste occasioni sia offerta filosofia autentica, e non una filosofia “addomesticata” dalle necessità di una comunicazione “mediatica”. In tal senso, l'incontro con lo stile veramente filosofico, con l'argomentazione razionale, con l'uso critico e dialettico del pensiero, può suggerire qualche antidoto al modello unico di comunicazione che potrebbe prevalere. Questa fiducia anima il nostro lavoro e le nostre proposte. La finalità non è il puro successo di pubblico, e il pubblico non deve accontentarsi di aver partecipato a un evento culturale, ossia semplicemente di esserci stato. Molto opportunamente, Fulvio Papi ha osservato una volta che il discorso filosofico è sempre rivolto a chi voglia capire e non è mai un messaggio teso a creare un soggetto collettivo.
Tutti gli autori che saranno presenti hanno, nelle loro opere, nel loro percorso, nella loro formazione, accettato e alimentato il rapporto con linguaggi altri e seguito le linee di confine fra territori lontani o vicini; da quello letterario a quello artistico; da quello psicoanalitico a quello scientifico.
Il discorso filosofico sembra in grado di rinnovarsi e di comunicare con un pubblico più ampio, quando accetta fino in fondo la sfida del definire le crisi e i momenti di trasformazione e quando accetta il confronto con gli altri linguaggi. Le sembra plausibile questa riflessione?
Credo (e mi è stato spesso confermato) che l'uscita dai luoghi istituzionali eviti al discorso filosofico una certa ritualizzazione, e la diversa situazione comunicativa, com'è data dalla presenza di un pubblico più ampio e non “esperto”, da una parte impone positivamente al filosofo la ricerca di un'enunciazione davvero adatta, dall'altra ha anche significative ripercussioni sulla scelta tematica. Tutta la faccenda si può certo interpretare anche in termini di linguaggi; non a caso, nel programma proponiamo anche momenti di riflessione con un noto filologo e due affermati scrittori.
Nel panorama delle manifestazioni legate alla filosofia e alla parola filosofica, quale ruolo può avere una proposta come quella di Filosofia al mare? E con quale impostazione?
Poiché, come accennavo, ho ben presenti i rischi che si corrono effettivamente quando si cerca di rispondere a una domanda sociale di filosofia, la prima precauzione, a mio avviso, è quella consistente nel coinvolgere sempre filosofi abituati ad affrontare iniziative di questo tipo con risultati positivi già consolidati. Perciò l'esistenza di un “panorama” di manifestazioni simili rappresenta un contesto che apprezziamo e dal quale intendiamo differenziarci solo limitatamente a quelle in cui prevalesse il puro stile dello spettacolo. E dando solo una semplice scorsa al programma, chi conosce le forze in campo oggi nella filosofia italiana, si accorge subito che qui il pubblico non sarà certo “accontentato” in modo puramente retorico.
L'orizzonte della memoria. Foto Enzo Papa
Allontaniamoci per adesso dalla riflessione sul rapporto fra filosofia e pubblico e occupiamoci degli aspetti organizzativi. Com'è nata e come si è andata strutturando l'idea della manifestazione?
Insieme con i colleghi soci della sezione SFI (Società filosofica italiana), ogni anno (dal 1997), durante l'inverno e la primavera, organizziamo un ciclo di conferenze rivolto soprattutto agli studenti liceali e con il sostegno della Fondazione Carichieti.
Quest'anno la scelta del tema è caduta su quello della vita. Come l'anno scorso per “filosofia e passioni”, abbiamo poi deciso di conservare la stessa tematica anche per la IV edizione di “Francavilla Filosofia al Mare”, che a sua volta è la prosecuzione del “Salotto di Sofia”, un'analoga iniziativa realizzata negli anni precedenti a Pescara su sollecitazione dell'allora sindaco Luciano D'Alfonso.
Il proporre, poi, delle “conversazioni” rientra un po' nel nostro “stile”: ecco come nasce, dunque, il titolo “Conversazioni sulla vita”.
E' vero: come Lei ha osservato, l'intento è di creare un richiamo “diretto” al pensiero su ciò che ci è più prossimo anche nel contesto estivo caratterizzato dal mare. Per me la spiaggia (d'estate solo in alcune ore del giorno) ha sempre avuto un appeal “filosofico”…
La manifestazione coinvolge quest'anno, oltre alla ormai tradizionale sede di Francavilla, anche la nuova proposta di Ortona: quale rapporto avete stabilito con le istituzioni locali?
Il mio ruolo è quello di creare il programma e cercare i sostegni per realizzarlo. Nel corso della nostra attività abbiamo sempre scelto di riferirci a istituzioni pubbliche. Quest'anno ho avuto una piacevole sorpresa: il nuovo assessore alla Cultura del Comune di Ortona, Valentino Di Carlo, mi ha interpellato perché interessato a inserire un'iniziativa di carattere filosofico nel programma della sua amministrazione e ha quindi accettato, insieme col suo sindaco Vincenzo d'Ottavio, con vero entusiasmo di estendere a Ortona quella già organizzata fino all'anno scorso a Francavilla al Mare. Così è nato questo abbinamento che mi fa molto piacere, perché sono convinto che creare sinergie, col tempo, possa fornire la soluzione di molti dei problemi che ci affliggono, fra cui naturalmente anche la realizzazione di eventi culturali che meritino realmente investimenti finanziari, comunque non molto elevati. E poi Ortona è legata a Francavilla non solo territorialmente, ma storicamente e culturalmente, e ha dei luoghi molti belli, come la piazza-terrazza sul mare, su cui affaccia il restaurato Teatro “F.P. Tosti” e dove si svolgeranno gli incontri nelle quattro serate di luglio. Altrettanto significativi sono stati, a Francavilla, l'iniziale incoraggiamento venuto dalla precedente amministrazione del sindaco Nicolino Di Quinzio e la convinta e immediata conferma espressa dal'ex assessore alla Cultura Pina Rosato e poi dal neo-assessore Andrea Di Peco, insieme con il sindaco Antonio Luciani, quali amministratori dell'attraente cittadina che vanta una lunga e meritata tradizione turistica. Insomma, l'iniziativa è nata davvero sotto i migliori auspici e nel contesto relazionale più stimolante.
Per concludere, la invito a riassumere lo spirito della manifestazione e anche il modo in cui Lei affronta il suo ruolo di direttore scientifico.
In queste occasioni c'è indubbiamente la volontà di “ritrovarsi”, sia nel senso più intimo sia in quello più “pubblico”, ma esse sono anche un grande momento di accoglienza, di quella accoglienza che sicuramente anima tutto il nostro territorio abruzzese.
Dopo gli inviti rivolti ai relatori, la maggioranza dei quali conosco personalmente da anni, ho con loro definito i titoli e concluso i preparativi. La SFI nazionale, di cui sono uno dei due Vice Presidenti, non è direttamente coinvolta, ma la sezione locale https://web.archive.org/web/20160712164643/ mi sostiene meritoriamente in vario modo. L'attività che svolgo come insegnante liceale si completa, dunque, non solo con lo studio e la ricerca (in primis sull'idealismo tedesco), che è stato per me il primo tramite con il mondo universitario, ma anche con questo lavorare ad avvicinare tutti al modo filosofico di affrontare i problemi.
Antonio Fresa
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