
Per me la stagione teatrale si conclude con il Milano Flamenco Festival, che si tiene ogni anno al Piccolo Strehler a fine di giugno. Quest'anno il titolo era Aqui y Ahora, parole che già indicano la direzione seguita dalla direttrice artistica Maria Rosaria Mottola, esplorare il presente del flamenco senza dimenticare la tradizione, e lanciando lo sguardo verso il futuro.
Nella prima serata ho avuto il piacere di ammirare Fernández Montoya Farraquito nello spettacolo Íntimo. Farraquito, erede di una illustre famiglia di bailaores, è stato presentato come il re del flamenco. Non stento a credere che sia così. Mi ha ammaliato con la sua capacità tecnica e l'energia inesauribile. Il suo baile è percorso da innegabile sensualità e bellezza. È impressionante il ritmo convulso che riesce a imprimere ai piedi, che battono ritmicamente sul tavolato dello Strehler, elegante l'intreccio delle braccia che scolpiscono l'aria rimanendo distanziate dal corpo. Non è stato da meno il figlioletto Juan el Moreno di soli dieci anni. Nonostante la giovane età sembrava divorare il palco con una sicurezza da artista consumato.

Pregevoli i duetti con il padre.
Attento Farraquito! Tra dieci anni o anche meno troverai in casa un temibile concorrente, quello splendido artista che sei riuscito a coltivare con passione. È stata questa la domanda che ho rivolto al termine dello spettacolo a Maria Rosaria.
Come si crea questa sinergia tra un bambino e un consumato artista come il padre?
È lo stesso che è successo a Farraquito con il nonno. Sono come gli artigiani che si tramandano l'arte di generazione in generazione. Quando vediamo questo tramandare, questo passare il testimone di padre in figlio siamo sempre affascinati. Conservano un tesoro che gli appartiene.
Anche Farraquito ha ripreso il tema del rapporto con il figlio.
Juan mi ha chiesto “come ho ballato?” Non so se hai ballato bene o male gli ho risposto. Però credo che al pubblico sia piaciuto e questo è importante. Ripeto sempre che niente è mai sufficiente, perché il flamenco è molto difficile. Il flamenco è esprimere la parte più profonda di sé stessi senza parole, facendo si però che tutto il mondo possa conoscere la tua persona, e sentirsi identificato con te attraverso il movimento e l'espressione del baile. L'importante è sentire sempre questa emozione con la consapevolezza e l'umiltà che si può sempre migliorare un po'. Quando smetti di ballare non sai ciò che è caduto. È un bene perché è il segnale che sei entrato in uno stato di concentrazione necessaria.
Ho trovato interessante la danza di Farraquito. Però devo però ammettere che non mi ha colpito al cuore. Per quanto fosse pregevole il suo a solo, mancava del dialogo con il femminile. Non era sufficiente la presenza della pur brava María Vizárraga col suo canto per farlo sentire. María Vizárraga è dotata di una voce potente, straordinariamente educata, ma forse in questo eccesso di potenza risiede un limite. Dà sì la possibilità a Farraquito di mettere in mostra la sua straordinaria abilità, di dialogare con il corpo. Purtroppo arriva la tecnica, pur superba, non la femminilità.
Così ho chiesto a Fernández Montoya Perché hai scelto questo modo di raccontare o non raccontare il femminile.
Se Maria sente questa domanda si arrabbia. I canti eseguiti da Maria hanno alle spalle una lunga tradizione. Sono stati cantati da donne che hanno definito il ruolo del femminile nel flamenco.
Le note del piano a sipario ancora da aprire mi hanno accolto per il secondo spettacolo. Bailes Colaterales della compagnia José Manuel Álvarez mi ha convinto. Le tre bailaoras che accompagnavano Jose Emanuele Alvarez erano magiche nelle movenze che le facevano assomigliare a delle parche, in una rappresentazione ipnotica che riecheggiava toni sacri. Erano straordinarie nel loro assecondare coreografie in cui i corpi si intrecciavano, e ogni minima fibra dell'essere sembrava danzare. Davano così credito all'affermazione con cui Maria Rosaria Mottola aveva presentato l'artista “danzare per sentirsi”. Ma se questa è la danza, se questo è il baile flamenco secondo Álvarez, il sentire non è soltanto quello dei danzatori. È anche quello del pubblico. Ed è anche ciò che cerco nel festival.

Si è trattato di uno spettacolo vibrante, intenso, forse un po' troppo sperimentale e distaccato dal classicismo flamenco. Comunque in scena ho visto sicuramente qualcosa di pregevole. Ho assistito a uno spettacolo nato da improvvisazioni trasformate poi in una tessitura organica, come ha raccontato a conclusione Alvarez. Artista che nonostante una fisicità da pivot, magro, slanciato e alto, è capace di esprimeva sulla scena una gioia di vivere, un'armonia di movimenti interessante, in cui le danzatrici facevano da meravigliose comprimarie ai passi del bailaor di Barcellona, che sulle sue danzatrici si è espresso nei seguenti termini «amo lavorare con le donne perché la donna mi piace. Non so, è qualcosa che mi è piaciuto fin da piccolo. La mia maestra è Eva la Yerbabuena. Avevo molto chiaro in mente che volevo lavorare con le donne. La mia idea era di lavorare una danza, un flamenco allungato, come lo chiamo, un flamenco ricco di danza. E in questo caso avevo bisogno di tre ballerine che avessero il linguaggio flamenco e allo stesso tempo avessero il linguaggio della danza spagnola».

E con il terzo e ultimo spettacolo però che si è riempito il cuore. I pensieri sono volati trascinati dai passi di una splendida bailaora, bella e sensuale. Se Friedrich Nietzsche l'avesse vista probabilmente avrebbe smesso di interrogarsi sull'eterno femminino. Il flamenco quando è vero e pieno flamenco, quando è arte, trascende sé stesso. Nel flamenco di Lucía Álvarez La Piñona – Insaciable ho trovato erotismo, sensualità, magia. Il suo è un flamenco ipnotico, in cui il corpo, i passi, tutto danza. Le mani disegnano nell'aria arabeschi perfetti con gesti minuti e ampi, con gesti che sembrano disegnare note e armonie nell'aria, per parlare dell'anima e della sensualità della vita, con una fame di senso, con la fame di sperimentarsi, che è insaziabile così come dice il titolo stesso dello spettacolo. In questo rito, in cui la bailaora diventa officiante, la sensualità e l'erotismo sono mostrati a un livello talmente alto che in esso riesco a ravvisare pienamente il divino. Perché quando i corpi si scagliano uno contro l'altro nel cercarsi, nel volersi, nel domandarsi, allora li c'è il sacro. Così come c'è il sacro nella metaforica tauromachia, che recitata ad arte da Lucia Alvarez e Jonatan Miró, esprime desiderio e impossibilità dell'incontro. Sembra di vivere fremiti e tremori della mela mangiata in scena dai due artisti, insieme, quasi a ricordare il tradimento primigenio nel giardino dell'Eden, in un gioco dei sensi e seduzione che insieme all'acqua spalmata dal Bailaor sul viso di lei trascina.

La Piñona è in scena insieme a Jonatan Miró, partner possente che riesce a farsi leggero e calcare la scena in modo fluido. Lucía Álvarez è elegante, raffinata, in possesso di una tecnica che strega lo spettatore, a questa unisce un'interpretazione coinvolgente, appassionata. Quando il flamenco è questo diventa poesia. Di questa poesia sono goloso, la cerco. Golosità, insaziabilità, sono termini che appartengono al vocabolario de La Piñona. Le sono grato per questo spettacolo, mi fa capire che quando la danza diventa rito è un linguaggio che parla direttamente, e non ha bisogno delle parole, spesso incerte. Ma alle parole la bailaora non si sottrae. Di Insaciable parla nei seguenti termini.
Mi piace descrivere questo spettacolo come un atto di scoperta emotiva, corporale e artistica. E in effetti, per me è una riaffermazione di come sono come persona, della ballerina che sono, dell'artista che sono. È una confessione condivisa, perché è uno spettacolo in cui racconto sottilmente molti aspetti di me. Il titolo è Insaciable, perché è un termine da cui mi sento rappresentata. Fa vedere la persona che sono. C'è molto di Mister Hyde. Per me è necessario, e credo che lo sia per tutti gli esseri umani, tirare fuori tutto ciò che si è, non solo una parte. Non reprimerla è molto più salutare. L'insaziabilità di cui parlo è un'insaziabilità intesa come insoddisfazione spirituale.
Jonatan Miró si rivela un partner all'altezza della grazia di Lucía Álvarez. In scena non ha un ruolo ben definito. Non è amico, non è marito, non è amante, è tutto e niente. Ma d'altronde i due artisti hanno costruito uno spettacolo partendo dall'energia che si è creata tra loro, creando un universo dove c'è amore, ammirazione, rispetto e soprattutto dove scorre molto energia. I due hanno creato uno spazio magico in cui si avverte che si sentono perfettamente a loro agio.
La bailaora Lucía Álvarez ha spiegato chiaramente che cosa rappresenti per lei il suo partner in scena.
Ci sono momenti in cui lo vedo e sento come un padre che mi protegge. A volte sento che è un padre che mi abbandona, a volte sento che è il mio amante. Altre volte è una coppia stabile, altre volte un figlio, altre volte qualcuno che sto per sfidare o con cui sto giocando o competendo. È una figura che per me rappresenta molte cose. La bailaora ha poi aggiunto che
Nella costruzione del mio personaggio ci siamo ispirati a diversi personaggi importanti per me, a Patty Smith, a Rocío Jurado, Lola Flores, Chavela Vargas, tutte donne che hanno rotto gli schemi rispetto all'immaginario che la loro epoca aveva delle donne.
Ancora una volta Maria Rosaria Mottola mette in piedi un festival che è un piccolo prodigio di capacità organizzativa, di selezione della qualità esistente nel flamenco. Ma una traduzione più puntuale delle conversazioni a fine spettacolo sarebbe stata in grado di valorizzare meglio il pensiero degli artisti, rendendo il pubblico maggiormente partecipe del dibattito. Se il sapere non è condiviso diventa forma di potere che separa chi sa da chi non sa, e si trasforma in privilegio.
Piccolo Strehler – Milano
26 GIUGNO – ore 20.30 – 70 minuti
FARRUQUITO / INTIMO – Prima nazionale
Danza: Juan Manuel Fernández Montoya Farruquito y Juan el Moreno
Cante: María Vizárraga, Ezequiel Montoya, Ismael de la Rosa El Bola
Chitarra Manuel Valencia
Percussioni Paco Vega
28 GIUGNO – ore 20.30 – durata 75 minuti
Compagnia JOSÉ MANUEL ÁLVAREZ / BAILES COLATERALES – Prima Nazionale
Danza José Manuel Álvarez, Miranda Alfonso, Carmen Muñoz, Marina Paje
Cante Pepe de Pura
Chitarra José Almarcha
Piano Max Villavecchia
Percussioni Lucas Balbo
30 GIUGNO – ore 20.30 – durata 80 minuti
Compagnia LUCÍA ÁLVAREZ LA PIÑONA – INSACIABLE – Prima Nazionale
Danza Lucía Álvarez La Piñona, Jonatan Miró –
Chitarra Ramón Amador –
Cante Ezequiel Montoya, Manuel Pajares –
Percussioni José Delgado
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