
Eccoci alla fine.
Dopo tre serate si è concluso al teatro Strehler la dodicesima edizione del Milano Flamenco Festival, dal titolo: Identidad: La libertad de ser (Identità: La libertà di essere). Filo conduttore del festival è stato il tentativo di gettare uno sguardo sull’identità femminile e sulla libertà di essere.
C’è un’unica parola per descrivere quello che è accaduto sul palco: magia.
Manuel Liñán ha aperto le danze il 25 giugno con il provocatorio e ironico Viva!
Il giorno dopo Maria Moreno ci ha ammaliati con il suo De la conception.
Invece venerdì Patricia Guerrero ci ha trascinato nella sua assoluta Distopia.
Abbiamo avuto il privilegio di assistere a tre spettacoli trascinanti, coinvolgenti e… gli aggettivi potrebbero sprecarsi.
I tre spettacoli rappresentavano modi diversi di intendere il flamenco. Ma quanta bellezza. Ma quanta intelligenza, che arrivava dritta al cuore e alla mente.
La compagnia Manuel Liñán & Friends, composta da soli uomini, ci ha trascinati in un gioco ironico attraverso cui guardare al femminile, alle sue tensioni e battaglie, sparigliando le carte.
La precisa assoluta definitiva appartenenza ai generi, maschile e femminile, veniva ogni volta mescolata, confusa, dissolta.
Solo uomini in scena, ma quale potenza, quale femminilità. Tanto da poter dire ma che belle quelle donne sul palco.
Nel gioco delle provocazioni Manuel Liñán ha scelto alcuni ballerini dalle caratteristiche fisiche sorprendenti, due in particolare sembravano pivot di squadre di basket, sembravano dover lottare con i loro corpi, con la forza di gravità. Scommessa assolutamente vinta grazie alla sensualità delle loro movenze che al cuore dello spettacolo facevano dimenticare le differenze di genere e pensare che in scena c’erano solo bailaores/ballerini, e che ognuno di loro diventava una mujer bailaora/una ballerina.
In questa dimenticanza riscoprivamo di quanto a volte la dicotomia maschile femminile sia illusoria, quanto in definitiva ogni elemento della contrapposizione non sia altro che l’immaginario di uno dei due termini. Così il maschile è l’immaginario del femminile e il femminile è l’immaginario del maschile. Un immaginario in cui la realtà può e deve essere reinventata ogni volta. Reinventata come fa Liñán accolto ripetutamente dai boati di un pubblico che era tutto per lui, per le sue coreografie, e la sua capacità di innovare con coraggio il mondo del flamenco.
Grazie a Manuel Linan & Friends che hanno reso onore alle parole d’apertura del loro spettacolo:
Libre como el aire, libre como el
viento, como las estrellas en el
firmamento, libres somos libres, libre
como el viento.
Liberi come l’aria, liberi come il vento,
come le stelle nel firmamento, liberi
siamo liberi, liberi come il vento.
Non ci sembrava possibile e invece è accaduto.

Lo spettacolo della sera seguente è stato altrettanto affascinante, se non di più, in un crescendo da togliere il respiro.
Maria Moreno, con la compagnia che da lei prende il nome: Compagnia Maria Moreno, ha ripercorso con noi e con passione alcuni elementi della sua biografia. Ma non è possibile fare reali confronti con quanto accaduto la sera precedente. Ognuno degli artisti ha interpretato il mondo del flamenco con una lettura particolare, con una sua prospettiva personale. Non possiamo fare confronti. possiamo solo inchinarci all’arte di Manuel Liñán prima e a quella di Maria Moreno poi.
Volendo usare degli aggettivi per la performance di Maria Moreno riportiamo quelli che ci vengono in mente per primi: raffinata, potente, femminile.
Per un momento la Moreno, con il suo spettacolo De la Concepcion, ci fa intuire che cosa sia l’eterno femminino, l’assoluto femminile.
L’abbiamo colto per un momento nelle sue movenze, nell’eleganza dei suoi passi. L’abbiamo intuito ma non possiamo renderlo a parole perché Maria Moreno è da vedere.
Sono solo le figure del mito che possono restituirci in minima parte Il femminile che l’artista ci rimanda. La Moreno con il linguaggio del flamenco, che è linguaggio di passioni, narra delle Erinni, delle Baccanti, di Ezra Fitzegerald, di…
Abbiamo ammirato l’artista giocare con disinvoltura con un superbo scialle bianco dalle lunghe frange, lei avvolta in uno splendido traje de flamenca rosa, il tipico abito della mujer bailaora. Quello scialle fluttuava nell’aria, impalpabile, leggero, diventava vela al vento di un albero maestro che era Maria Moreno. Diventava ali di gabbiano, piume di cardellino. Diventava arte, bellezza. Diventava suggestione che insieme ai passi ritmati tipici di questa danza ci trascinava a Siviglia, al Barrio di Santa Cruz, al sole a picco sulle piazze spagnole calcinate dall’afa, alla terra rossa di Spagna, al fiume Guadalquivir, alla resistenza contro Franco, alla cultura moresca di Granada con i suoi minareti, i suoi mosaici preziosi.
Maria Moreno ci portava in un gioco di evocazioni e di misteri collettivi, ma anche individuali. Come quando rievoca i desideri di un padre che si sognava torero e sarà marinaio. Si tratta di un padre rievocato attraverso un ballo vorticoso, grazie alle banderillas mosse con disinvoltura e che ci rimandano alla corrida.
Maria Moreno è sollecitata dal canto. Il canto la invita: Baila Maria.
Allora Maria balla, balla con gioia, con potenza, con allegria, con femminilità. Balla per se stessa. Balla per noi. Balla per le donne, per gli uomini.
Baila Maria.

Ma la magia si ripete anche la terza sera, come in tutte le fiabe che si rispettano.
È la volta della compagnia Patricia Guerrero e del suo Distopia.
È un lavoro sperimentale quello della Guerrero. Felice commistione di stili e strumenti diversi, che stanno in felice equilibrio tra loro e non creano quella fastidiosa cacofonia tipica di tanta sperimentazione mal riuscita. Dello spettacolo proposto dalla Guerrero ammiriamo l’assoluta padronanza degli strumenti espressivi e delle figure della danza, che vanno dal flamenco, alla breakdance all’attenzione per la gestualità, alla cura per la recitazione. La Gurerrero nel suo spettacolo coinvolge anche la musica lirica, riuscendo a dialogare splendidamente a ritmo di danza con i vocalizzi e i gorgheggi di un’eccellente soprano.
Quella che prende vita sul palco è una felice mescolanza di linguaggi, capaci di restituire la radice più profonda del flamenco, un flamenco fatto di passioni, di gioie e dolori.
Patricia Guerrero si cambia più volte in scena, andando al di là degli abiti consueti indossati da una mujer bailaora. Indossa vestaglie, soprabiti rossi sgargianti, mantelle e altro ancora per accompagnare al meglio e sottolineare le prove di maschere e bailaores.
Ma su tutto e in apertura domina un ossessivo metronomo che sottolinea quanto le nostre vite possano essere stravolte da meccaniche che ci sovrastano. Ricordate Charlie Chaplin inghiottito dalle ruote dentate delle macchine. Ecco in apertura e in continuazione Patricia Guerrero ci ricorda come le nostre vite possano essere stravolte. Ce lo ricorda in modo ossessivo. Ce lo ricorda con le mani che si muovono meccanicamente in un ritmo ipnotico come in un automa. Ce lo ricorda con corpi che si avvinghiano. Ce lo ricorda attraverso un titolo dello spettacolo, quanto mai appropriato: Distopia, il contrario di utopia. Una distopia che solo a tratti lascia spazio al bene e alla felicità. Ma che alla fine sembra vincere su tutto.
È uno spettacolo che non fa sconti quello di Patricia Guerrero. Accolto con calore e entusiasmo da un pubblico che alla fine la premia con applausi a scena aperta, e si lascia travolgere dalla proposta di un’artista che sembra sia in grado di poter fare qualsiasi cosa sia nei suoi desideri con gli strumenti espressivi e gli oggetti di scena a sua a sua disposizione. Sembra poter fare ciò che vuole quando disegna arabeschi e intrecci prodigiosi con lo strascico della sua traje de flamenca, oppure quando fa roteare i corpetti, o viene attratta e respinta da una magica forza di attrazione e repulsione dai suoi ballerini. Gli stessi da cui sembra non potersi staccare, a cui vuole avvinghiarsi, ma da cui non può trarre salvezza.

Tre spettacoli d’eccezione quelli allo Strehler.
Spettacoli su cui domina un cuore di legno, ferro e corda: la chitarra gitana, che accompagna tutti e tre gli artisti: Liñán, Moreno e Guerrero.
Una chitarra di volta in volta percossa, blandita, pizzicata, accarezzata.
Ecco il vero cuore: un cuore di legno, ferro, corda per un linguaggio dichiarato patrimonio immateriale dell’umanità: il flamenco.
Gianfranco Falcone
https://www.disaccordi.it/
Piccolo Teatro Strehler
martedì 25 giugno 2019, ore 21
¡Viva!
Prima Nazionale
Compagnia Manuel Liñan & Friends
ballo e coreografia Manuel Liñán, Manuel Betanzos, Jonatán Miro, Hugo López, Miguel Heredia, Víctor Martin (su concessione del Ballet Nacional de España), Daniel Ramos (su concessione del Ballet Nacional de España)
canto David Carpio e Ismael De la Rosa “El Bola”
chitarra Francisco Vinuesa
violino Victor Pitarch
percussioni Kike Terrón
organizzazione e direzione artistica Maria Rosaria Mottola per Punto Flamenco www.puntoflamenco.it
Piccolo Teatro Strehler
26 giugno 2019, ore 21
De la concepción
Prima Nazionale
Compagnia María Moreno
ballo María Moreno
drammaturgia e regia Eva Yerbabuena
sceneggiatura e direzione musicale Andrés Marín
chitarra Oscar Lago
canto Enrique “El Extremeño / Pepe De Pura
percussioni Javier Teruel
palmas Roberto Jaén
organizzazione e direzione artistica Maria Rosaria Mottola per Punto Flamenco www.puntoflamenco.it
Piccolo Teatro Strehler
28 giugno 2019, ore 21
Distopía
Prima Nazionale
Compagnia Patricia Guerrero
danza e coreografia Patricia Guerrero
danza Ángel Fariña /Rodrigo García Castillo
chitarra Dani de Moron
canto Sergio Gomez “El Colorao”
canto lirico e recitazione Alicia Naranjo
basso e contrabbasso José Manuel Posada “Popo”
percussioni Agustín Diassera
regia e drammaturgia Juan Dolores Caballero
organizzazione e direzione artistica Maria Rosaria Mottola per Punto Flamenco www.puntoflamenco.it
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