
Premesso che ho un debole per il Seicento, ricco di eccessi e contraddizioni. E che, in particolare, non resisto di fronte al Barocco romano, opulento, d'orato. Devo ammettere che la mostra di Lucio Fontana a Villa Borghese, mi ha emozionato enormemente.
Del resto, come sarebbe possibile non amare un luogo concepito per essere un “villa di delizie“? Scipione Caffarelli-Borghese, il suo ideatore, ai miei occhi, è il padrone di casa perfetto per accogliere con tutti i crismi una mostra che si snoda agilmente tra passato e presente, con raffinatezza, armonia ed eleganza.
La mostra, Lucio Fontana. Terra e oro, a cura di Anna Coliva, si inserisce perfettamente nel contesto della Galleria Borghese, che per la prima volta apre le porte all'Italia del Novecento. Del resto, Fontana (1899 – 1968) è un genio indiscusso del secolo scorso che dialoga con disinvoltura con tutti i maestri del passato. E l'intreccio è sempre fluido, armonioso tanto da risultare naturale. Il percorso espositivo, composto da un corpus di circa cinquanta opere, realizzate per la maggior parte tra il tra il 1958 e il 1968, si snoda senza forzature tra il primo e il secondo piano della Galleria.
Ciò che caratterizza questa mostra è proprio la “spontaneità” con cui Fontana si muove nel Museo. Quello che viene a crearsi è un vero e proprio rapporto tra due entità: l'artista e la Villa, nella sua interezza. Lucio Fontana rivive attraverso le sue opere che, nello spazio complesso e articolato della Galleria, entrano magistralmente in contatto con i capolavori che ne costituiscono la mostra permanente.

Veduta dell'installazione, 2019 Ph. Niccolò Ara
© Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2019
Al piano terra, il Concetto Spaziale in rame, 1964, trova la sua collocazione di fronte al Ratto di Proserpina, 1621-1622, del Bernini. Le differenze tra le due opere – di epoca, forma, materiali e dimensioni – vengono annullate dalla visionarietà dei due maestri che assume un valore assoluto, al di là del tempo e dello spazio. Anche l'accostamento tra Fontana e Raffaello proietta lo spettatore in una dimensione universale. In cui i dettagli della Dama col liocorno, 1505-1506, del maestro rinascimentale, riecheggiano nell'opera di Fontana sotto forma di vetri delle stesse sfumature.
Spettacolari sono i Concetti Spaziali collocati nella Sala delle Pitture dell'Orizzonte, in cui – a mio parere – culmina il percorso espositivo. Sulle pareti opposte trovano posto rispettivamente, Concetto Spaziale, Venezia era tutta d'oro, 1961; Concetto Spaziale, 1961 e Concetto Spaziale 1963-64. Tra loro Amor Sacro e Amor Profano, 1515, di Tiziano scandisce lentamente lo spazio. Si tratta di opere estremamente ricche, in cui non solo il taglio, ma anche l'opulenta materia contribuisce alla creazione della terza dimensione.
Insomma, tutti gli incontri di Lucio Fontana alla Galleria Borghese non si traducono mai in violenti “corpo a corpo” ma piuttosto in movimenti, che danno vita a delle danze, sempre ritmicamente calibrate a ciascun interlocutore. D'altronde nella ricerca di Fontana lo spazio è protagonista. Per lui bucare la tela non è mai stato un gesto distruttivo ma, al contrario, costruttivo. “Il taglio, il buco, non sono distruzione del quadro […] ma un gesto informale per creare una dimensione al di là del quadro, oltre la tela, un gesto di libertà nel concepire l'arte attraverso qualunque forma. L'arte non è solo pittura o solo scultura, l'arte è una creazione libera dell'uomo che può trasformare qualunque cosa in qualcos'altro.”
Ecco, questo discorso nella mostra a Villa Borghese si amplifica ulteriormente, perché le opere pittoriche presentate sono quelle in oro che, oltre ad inserirsi perfettamente nella ricchezza del contesto espositivo, sfondano lo spazio terreno per aprire ad una componente metafisica. Del resto l'oro, per la sua proprietà di rimodulare lo spazio e definire la luce, storicamente è stato utilizzato per rappresentare l'immanenza della divinità.
Dunque se bucando la tela, Fontana supera la pittura per entrare nella dimensione della scultura ed arrivare a toccare l'infinito, a villa Borghese questo percorso raggiunge il suo acme nella misura in cui il rapporto con i grandi maestri crea davvero una dimensione atemporale, universale, assoluta.

Veduta dell'installazione, 2019 Ph. Niccolò Ara
© Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2019
Infine, devo aggiungere un commento sulla prima sala della mostra che ospita le opere in ceramica. Si tratta di una serie si sculture in cui Fontana interpreta e riflette liberamente sul concetto del crocifisso. Volutamente affronto alla fine dell'articolo questo corpus di lavori, perché li ho compresi solo al termine del percorso espositivo (come se inizialmente fossi riuscita semplicemente a “vederli” e solamente dopo ad “osservarli”) . Al di là di una difficoltà personale con il tema di quelle sculture, non ho potuto che ammirare la massima libertà di Fontana nel restituirlo. Sempre in maniera diversa, dinamica, con una grazia immensa. Ai miei occhi è riuscito a trasformare quello che per la religione cristiana è un simbolo di sofferenza e martirio in qualcosa di nuovo estremamente vitale, dinamico. In altre parole, è come se Fontana fosse riuscito a condensare in quelle singole opere l'essenza del concetto di Trinità. I Crocifissi di Fontana abbandonano la loro durezza, per ammorbidirsi in una forma fluida, leggera, che si reinventa ogni volta. Personalmente potrei dire di aver colto una sorta di metamorfosi in atto. Come se quelle opere fossero in procinto di librarsi nell'aria.
Ludovica Palmieri
Lucio Fontana. Terra e oro
a cura di Anna Coliva
Galleria Borghese, Roma
22 maggio – 28 luglio 2019
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