Fonti rinnovabili e comunità energetiche

Energie rinnovabili per abitazioni
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Secondo la direttiva UE 2018/2001, gli Stati membri devono provvedere affinché entro il 2030 almeno il 32% dell’energia prodotta in tutta Europa provenga da fonti rinnovabili, e per il raggiungimento di questo primario obiettivo i rispettivi governi devono sostenere, con contributi nazionali, tutti quei progetti che mirano all’autoconsumo [1].

Il riferimento alle comunità energetiche è palese e questo perché tali comunità si connotano per essere modelli innovativi di produzione e di distribuzione di energia esclusivamente da fonti rinnovabili; quindi energia pulita, accessibile a tutti e generata dal basso. Va detto che l’Italia si è impegnata forse più di altri Paesi nell’incentivare la costituzione di queste realtà che oggi sono sparse su tutta la Penisola, a differenza di quanto sta avvenendo nel resto d’Europa dove si stima circa un milione il numero complessivo degli aderenti a quello che non è esagerato riconoscere come un “movimento”.

A fornire un quadro esaustivo della reale situazione sul territorio, ha provveduto il Politecnico di Milano attraverso la presentazione del suo Electricity market report-  in pratica un anno dopo l’avvio della fase pilota di recepimento della Renewable Energy Directive (RED II) – dove si stima che entro il 2025 le “Comunità di Energia Rinnovabile” (REC) in Italia saranno circa 40 mila, coinvolgendo circa 1,2 milioni di famiglie insieme a 200 mila uffici e 10 mila piccole-medie imprese [2].

Notizie confortanti specialmente se rapportate ai tre sistemi principali nei quali si sta sviluppando il mercato delle comunità energetiche.
Il primo raggruppamento è quello conosciuto come “Enti pubblici e terzo settore” e si fonda sulla relazione diretta fra cittadini ed ente pubblico locale – che funge in questo caso da catalizzatore dell’iniziativa – e garantisce la possibilità di beneficiare di finanziamenti a fondo perduto o a condizioni agevolate. La finalità è quella di combattere la povertà energetica e nello stesso tempo di dare avvio a processi di valorizzazione economica del territorio.

Nel secondo gruppo d’intervento, invece, l’iniziativa nasce da un operatore del sistema energetico che si avvale generalmente dell’amministrazione comunale per la conoscenza del territorio e il rapporto diretto con la cittadinanza. L’esempio tipico e più diffuso, è quello di una impresa edile che costruisce nuove unità abitative conformi alla finalità dell’autoconsumo collettivo mettendo a disposizione il proprio know how. Qui saranno i condomini a sostenere l’investimento, usufruendo delle detrazioni fiscali riconosciute per gli interventi mirati all’efficientamento degli edifici. In questo caso per attivare una comunità energetica non serve molto, come spiega Katiuscia Eroe responsabile energia di “Legambiente”: ”Basta trovare i soggetti interessati  e un tetto o un terreno su cui installare l’impianto… A questo punto è fondamentale raccogliere da tutti i potenziali membri il consenso al trattamento dei dati e il numero della loro fornitura (il pod) e contattare il distributore di zona. Serve poi registrarsi come comunità energetica all’agenzia delle entrate o da un notaio… A quel punto si può procedere alla realizzazione dell’impianto richiedendo l’allacciamento al gestore principale” [3].

Il terzo gruppo di operatività è caratterizzato dalla totale presa in carica dell’investimento da parte dei privati cittadini e/o PMI che comunque possono sfruttare detrazioni fiscali o agevolazioni bancarie. Attualmente questa casistica è quella che conta meno adesioni in quanto, oltre al peso dell’investimento, rimane il problema di una corretta ed autonoma valutazione dell’intervento.

Un punto appare chiaro e incontrovertibile e cioè che la produzione di elettricità da fonti rinnovabili non potrà fare a meno del contributo delle comunità energetiche. Attualmente, pur confortati da un discreto avvio di questa innovazione grazie come abbiamo visto in precedenza alla c.d. direttiva RED II, c’è anche da constatare che uno dei maggiori limiti di questa normativa è quello di aver fissato la potenza complessiva che una comunità energetica può esprimere in un solo megawatt – che grosso modo corrisponde al fabbisogno annuo di circa 260 famiglie – e di aver stabilito come la connessione alla rete dovesse avvenire tramite una cabina secondaria che, notoriamente, copre una superficie territoriale molto limitata.

Inoltre si segnala da parte di molte associazioni, imprese e comunità energetiche stesse, un ritardo circa l’approvazione delle tabelle di previsione degli incentivi da parte dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) che sta determinando la mancata creazione o attivazione di molte realtà. Lo dice chiaramente “Legambiente”, tramite un suo portavoce, circa l’insoddisfazione degli operatori: ”Seppur soddisfatti dell’impianto generale predisposta da ARERA, non possiamo non sottolineare il grave ritardo che porterà ad avere delle regole definite entro fine anno, ovvero con ben sei mesi di ritardo rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. 199/2021” [4].
Ma non solo, perché il malcontento degli aderenti alla Rete delle Comunità Energetiche bloccate al palo, si focalizza anche su altri ritardi imputabili all’ARERA come la mancata individuazione dei criteri per ampliare i perimetri alle cabine primarie per i Comuni più piccoli, una migliore definizione dei destinatari degli incentivi ed infine – una richiesta non marginale – quella di predisporre un più attento meccanismo di scorporo nella bolletta.
Insomma è indubbio che si stia lavorando, seppur con alti e bassi, per ampliare la platea di produttori di energia pulita da fonti rinnovabili, ma il punto nodale non risiede unicamente nel prospettare un modo diverso di produrre e consumare energia perché non va perso di vista l’aspetto sociale di queste iniziative che, forse con un percorso in salita, stanno riportando nella giusta posizione il concetto di “comunità”.
Produrre un bene, in questo caso l’energia, significa abilitare le comunità locali alla loro funzione di attori principali, capaci di rispondere alle sollecitazioni che provengono dal territorio di appartenenza; significa, inoltre, riconoscere la loro idoneità a promuovere lo sviluppo locale.

Ed ecco perché uno dei temi ancora sul tappeto di notevole importanza è quello che riguarda il coinvolgimento dei Comuni con meno di 5 mila abitanti; nella pratica le realtà territoriali maggiormente attive come promotori di comunità energetica. In linea generale, ci sarebbe la possibilità di sfruttare la spinta fornita dal PNRR con i suoi 2,2 miliardi stanziati per sostenere l’auto produzione di energia, fissando addirittura il traguardo del 2026 come limite massimo entro cui si dovranno individuare famiglie e microimprese idonee a far partire una singola comunità energetica.

Questa previsione sembrerebbe al momento a portata di mano, secondo gli studi effettuati dalla società “RSE” (Ricerca sul Sistema Energetico ndr) – società di ricerca che fa capo al Gestore dei Servizi Energetici – che addirittura ritiene possibile entro un decennio l’installazione di nuovi impianti all’interno delle comunità capaci di produrre fino a 7 GW. Lo ha spiegato Matteo Zulianello, ricercatore della società “RSE”, in una sua pubblicazione dove accanto a questa previsione ottimistica non nasconde che l’obiettivo potrebbe fallire qualora, viste anche le dimensioni minimali di alcuni Comuni e l’assenza di specifiche nozioni, ci fosse uno scollamento fra politiche di strategia economica e interventi svincolati dalle esigenze dei cittadini e delle pubbliche amministrazioni. Infatti ammonisce senza mezzi termini Zulianello:
”Il legislatore nazionale deve rispettare obblighi precisi in termini di decarbonizzazione e penetrazione delle rinnovabili… Queste piccole realtà se decidono di impegnarsi attivamente, devono essere messe nelle condizioni di poter lavorare grazie ad una legislazione efficace… Per questo occorre la partecipazione di diversi soggetti: da quelli che abbiamo chiamato Community energy builder, alle Regioni, alle Comunità Montane fino all’ANCI” [5].

Il futuro, non ci sono dubbi, passa per queste iniziative; le uniche che possono garantire benefici ambientali con la riduzione delle emissioni di polveri sottili e di gas a effetto serra, e ragionevoli guadagni per i cittadini, la cui bolletta potrebbe essere decurtata addirittura dal 20 al 40%. Questo governo sarà in grado di sostenere questa direzione?

Stefano Ferrarese        

[1] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018L2001, art. 26, 21 dicembre 2018
[2] https://www.elettronews.com/es-group-polimi-presentato-lelectricity-market-report-2021/, 18 ottobre 2022
[3] Giulia Cimpanelli e Cecilia Mussi, https://www.corriere.it/tecnologia/22_settembre_26/comunita-energetiche-cosa-sono-crearle-dec40477-d6f0-4f05-b6d2-8a648d344xlk.shtml?refresh_ce, 26 settembre 2022
[4] https://www.legambiente.it/comunicati-stampa/autoconsumo-energia-elettrica-le-osservazioni-di-legambiente-e-di-altre-16-realta-agli-orientamenti-di-arera/, 29 settembre 2022
[5] Ilaria Sesana, https://www.legambiente.it/comunicati-stampa/autoconsumo-energia-elettrica-le-osservazioni-di-legambiente-e-di-altre-16-realta-agli-orientamenti-di-arera/, 22 dicembre 2021

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