
Leggendo e rileggendo il titolo della mostra collettiva, Fragile, a cura di Christian Caliandro presso Monitor Gallery a Roma, mi è venuto in mente il mito di Davide e Golia.
Davide era apparentemente Fragile di fronte al brutale Golia. Eppure, la sua identità umana gli ha permesso di trovare il modo e di sconfiggere la brutalità che minacciava di schiacciarlo.
Penso che, nel caso della mostra, Golia sia metaforicamente rappresentato dalla brutalità che può derivare da una dimensione di isolamento a cui, effettivamente, siamo stati costretti durante gli ultimi mesi.
Tuttavia, in Fragile non ho trovato depressione ma vitalità. Rinascita. Idee nate dal rapporto interumano.
Quello che mi ha colpito nelle opere delle artiste in mostra è stata la loro forza.
Forza con cui hanno saputo reagire e rispondere alla crisi determinata dalla pandemia.
Crisi che si è tradotta in carenza di rapporti, più pesante per gli artisti la cui creatività vive anche nel continuo confronto con l'altro.
Nella mia personale visione, più che fragilità ho percepito delicatezza. Un saper entrare e proporsi, in punta di piedi ma con decisione, proprio come le danzatrici classiche che, dietro la leggiadria del gesto, celano la massima forza e consapevolezza.
Confesso poi che questi elementi mi hanno colpito specialmente nelle opere di due artiste, che stimo per la loro ricerca creativa e per la loro identità umana e femminile: Emanuela Barilozzi Caruso e Laura Cionci.

Emanuela Barilozzi Caruso, romana, oggi vive a Palermo, città in cui ha trovato fonte di ispirazione e creatività. L'artista ha presentato il progetto Senzazioni. “Un'opera collettiva fatta di idee, risate, silenzi, imbarazzi, incontri e separazioni” per usare le sue parole. A marzo 2021, appena il DPCM lo ha reso possibile, Emanuela Barilozzi Caruso – nel pieno rispetto del regolamento anti-Covid – per 11 giorni ha accolto a pranzo, colazione e cena, 25 persone, due alla volta, senza sparecchiare mai la tavola. Così, ha dato vita ad un'opera basata sulla fiducia, sul rapporto interumano, costruendo una vera e propria poetica del quotidiano. Perché, per usare un'altra volta le parole dell'artista, che condivido a pieno: “alla base della vita e dell'arte ci sono i rapporti umani, capaci di far ammalare ma anche in grado farci guarire”.
La tavola, su cui giorno dopo giorno si sono accumulate stoviglie e avanzi, è il soggetto delle fotografie di Emanuela Barilozzi Caruso.
Personalmente leggo ogni immagine come una sorta di ritratto segreto in cui l'artista dipinge le persone catturando le sensazioni nate dal rapporto e riflesse poi nell'approccio con le cose.
Ritratto segreto perché solo l'artista conosce il chi, il come e il perché di quelle fotografie.
L'artista ha trasformato l'esperienza vissuta in arte senza svelare nulla del rapporto profondissimo posto in essere con i suoi ospiti. Le fotografie rivelano alcuni dettagli proteggendo l'intimità del momento, in nome della fiducia su cui si basa l'intero progetto. Anche perché, amplificando i significati, in quel particolare contesto, la ricerca di una propria dimensione sulla tavola, si può leggere anche come metafora della vita, in cui trovare il proprio spazio tra i resti di ciò che è venuto prima, consapevoli che i propri movimenti rimarranno impressi per chi verrà dopo, non è banale ma neppure impossibile, perché, come dimostrato dall'artista, è sempre possibile creare nuovi e poetici equilibri, che si traducono poi in nuovi inizi.

La tovaglia è la testimonianza viva di questo progetto e, più che a una “sindone”, mi fa pensare ad una “vela” capace di condurci verso il nuovo e lo sconosciuto. Una vela che dimostra come sia possibile superare le tempeste, utilizzando come bussola le sensazioni interne e come carburante segreto un tocco di leggerezza ed ironia che aiutano a volare un po' più in alto e a guardare la realtà attraverso diverse prospettive.
Le sensazioni sono protagoniste anche nell'altra opera esposta di Emanuela Barilozzi Caruso, un disegno del 2020, dal titolo: “Un vero Incontro”, in cui l'artista riesce a rendere, nell'istante di un fugace abbraccio, l'intensità e la pienezza di un rapporto tra un uomo e una donna. Non serve conoscere la storia, perché il tratto deciso di Emanuela Barilozzi Caruso ci rivela non solo ciò che vogliamo sapere ma, forse, anche qualcosa che stiamo cercando.

L'abbraccio ci riporta all'opera di Laura Cionci, artista e performer romana, cosmopolita per vocazione che, forte delle esperienze vissute a contatto con culture diverse da quella occidentale, ha focalizzato la sua ricerca artistica sulla catalizzazione delle energie in relazione alle potenzialità di ciascun individuo e ai luoghi di riferimento, in una visione olistica per cui tutto è connesso.
In mostra presenta l'azione Stringersi – Ciò che rimane, accompagnata dai bozzetti, idea di ciò che accadrà.
Stringersi – Ciò che rimane è un'azione, performance, installazione tanto semplice quanto toccante, in cui l'artista mette alla prova sé stessa e il visitatore, recuperando i due gesti fondamentali delle relazioni umane: la stretta di mano e l'abbraccio. Tali atti sono mediati da un foglio di carta che, per usare le parole dell'artista: “assolve una duplice valenza: quella di proteggere il contatto e di ricordarlo.” Ogni foglio diventa “memoria” dell'esperienza vissuta, andando subito a far parte di un'opera più grande, al centro della sala, testimonianza del momento condiviso tra l'artista e il visitatore.
Come nell'opera di Emanuela Barilozzi Caruso, anche qui la fiducia è una componente essenziale del lavoro perché abbraccio e stretta di mano, oggi, rappresentano atti eclatanti e sorprendenti. Gesti che negli ultimi mesi sono stati completamente estromessi dal “vocabolario comportamentale” e con cui l'artista ci porta a familiarizzare nuovamente. Come affermato da Laura Cionci, concordo sul fatto che si tratta di “un'azione rischiosa”, dal momento che restituisce all'emotività ciò di cui ha bisogno – il calore e il contatto umani – e, nello stesso tempo, va contro le convenzioni imposte dalla pandemia, per cui la fisicità è per lo più demonizzata. Inoltre, secondo me, al di là della Covid, il rischio dell'azione sta proprio nel suo altissimo impatto emotivo, nella misura in cui l'abbraccio è veicolo di numerose energie, positive e negative.
Per quanto mi riguarda: emozione, gratitudine, gioia, affetto. Ecco quello che ho provato abbracciando Laura Cionci. Ho recuperato una dimensione dell'infanzia. La bambina che è in me, tra le braccia dell'artista ha tirato un sospiro di sollievo. Mi sono sentita sollevata, ho percepito l'energia… E la carta, più che “protezione o barriera”, è diventata subito traccia. Memoria colorata dall'esperienza vissuta.
Così, ai miei occhi, il cumulo di fogli sul pavimento, in un attimo, si è trasformato in poesia. Le pagine sono bianche, è vero, ma scritte dai corpi che le hanno stropicciate non hanno bisogno di parole per descrivere emozioni.

Fiducia e coraggio di lascarsi andare pienamente al rapporto con l'altro, dunque, caratterizzano in maniera diversa questi due progetti così intensi, pieni, forti e complessi. In Emanuela Barilozzi Caruso questi elementi vivono e si sviluppano in una dimensione intima e privata; mentre in Laura Cionci si impongono con audacia in una dimensione di condivisione pubblica.
Ludovica Palmieri
FRAGILE
fino al 23 luglio
a cura di Christian Caliandro
Thomas Braida • Anna Capolupo • Emanuela Barilozzi Caruso • Laura Cionci • Serena Fineschi • Oscar Giaconia • Marta Roberti • Serena Semeraro
Monitor
Palazzo Sforza Cesarini
via Sforza Cesarini 43a
00186 Roma
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