Francia: il lavoro con sempre meno diritti

Parigi Assemblea nazionale francese

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La legge sul , per un'ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro, voluta dalla Ministra e dal Primo Ministro in vedrà due momenti importanti a partire da domani quando inizierà l'iter parlamentare con la Ministra stessa difendere il testo davanti alla Commissione degli Affari sociali dell'Assemblea nazionale. Il  secondo momento è la giornata di mobilitazione di giovedì 31 quando sindacati e studenti scenderanno in piazza dando seguito alle manifestazioni del 9 e 24 marzo. Quest'ultima, con scontri violenti e danni alle cose e con la polizia che non si è affatto tirata indietro.
Se è pensabile un qualche aggiustamento in favore dei lavoratori, è difficile pensare che la riforma si possa fermare non essendoci in Francia e nel resto del mondo una tendenza politica, teorica e di prassi, in grado di rimettere il lavoro prima del capitale e l'uomo prima del profitto.

Prima di esaminare alcuni aspetti di questa legge che più volte a Parigi e altrove è stata accostata al di Matteo Renzi, va detto che l'attacco al modello lavorativo e ai diritti dei lavoratori è iniziato da tempo. Infatti come spiega chiaramente Federico Bassi sono  già due anni  che il processo va avanti «[…]». Un accordo che non fu firmato da due dei principali sindacati, la Confédération Générale du Travail (CGT) e Lutte Ouvrière (LO) e che di fatto non è servito ad altro che a «mettere in discussione la sovranità degli accordi presi in fase di contrattazione collettiva, ampliando lo spazio di intervento degli accordi di natura aziendale su retribuzioni, tempo di lavoro e » [1].
L'attacco è iniziato da tempo anche al , un'istituzione francese di fronte alla quale si possono presentare lavoratori o imprese che si considerino lesi nei loro diritti. Il consiglio è composto da un numero uguale di giudici, datori di lavoro e dipendenti assicurando «imparzialità e equilibrio dei punti di vista». Un istituto democratico per il quale mancano sempre più risorse e «i datori di lavoro hanno ottenuto numerose deroghe al diritto, organizzando una iper-» [2].
Il progetto di legge sul lavoro del governo di Hollande prevede vari cambiamenti.
Sul tema dell' si passa dalle 10 alle 12 ore di lavoro massimo in un giorno e all'interno della regola delle 35 ore medie il lavoratore potrebbe dover lavorare 60 ore invece delle attuali 48, fermo restante che restano validi gli accordi aziendali per cui il datore di lavoro non può aumentare l'orario unilateralmente. Le ore di straordinario saranno pagate meno.
Con la riforma sarà più facile licenziare senza reintegro perché aumenta le casistiche in cui i licenziamenti possono rientrare  come per esempio una diminuzione delle vendite o degli ordini per un certo numero di trimestri, un calo di produttività, per una riorganizzazione aziendale, per un cambio di attività dovuto a nuove tecnologie. Non sarà possibile comunque scaricare in Francia problemi presenti in filiali in giro per il mondo.
Il progetto prevede il “conto personale di attività” che in caso di cambio del lavoro dovrebbe trasferire tutti i propri diritti acquisiti da quelli previdenziali a quelli sanitari senza passare per vie traverse come nel caso del Jobs act per il quale «il sostegno a chi perde l'occupazione passa attraverso l'Anpal, l'Agenzia nazionale per il lavoro, e i percorsi dei centri per l'impiego, un disegno che a un anno dalla riforma rimane ancora al palo nella sua attuazione» [3]. A proposito di differenze sui controlli dei lavoratori, «se in Italia il Jobs act ha permesso all'impresa di monitorare gli strumenti elettronici (pc, tablet, smartphone aziendali) usati dal dipendente, il progetto di legge francese va in direzione opposta. L'idea del governo è di salvaguardare diritto alla disconnessione, cioè la garanzia di non essere subissati di mail lavorative all'infuori dell'orario prestabilito» [4].
Dalla riforma sarebbero previste anche misure per la formazione e sussidi economici per tutti i giovani fino a 26 anni.

Di questa riforma non sono contenti le associazioni industriali, grandi come la Medef e piccole e media come Cgpme che avrebbero voluto che il testo fosse, come nella versione prima delle proteste, più dirompente rispetto alle loro necessità. Dall'altro lato troviamo la CGT, FO e altre sigle sindacali insieme alle forze politiche a sinistra del Partito socialista e ai dissidenti (capeggiati dai deputati Christian Paul et Laurent Baumel) del Partito socialista stesso che vorrebbero il ritiro della legge.
Prima di chiudere un invito alla lettura dell'articolo di Federico Bossi che con dati alla mano e grafici dimostra come di fatto questo continuo distruggere diritti dei lavoratori e le loro retribuzioni non produce nessun risultato concreto circa occupazione e crescita.
Pasquale Esposito

[1] Federico Bassi, “Francia, arrivano le riforme strutturali”, http://sbilanciamoci.info, 16 febbraio 2016
[2] Hélène-Yvonne Meynaud, “Dal diritto del lavoro al lavoro senza diritti”, le Monde diplomatique – il manifesto, marzo 2016, pag. 16
[3] Stefano De Agostini, “Jobs act, la Francia presenta riforma come quella italiana: licenziamenti facili e meno potere ai giudici”, http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/09/jobs-act-la-francia-presenta-riforma-come-quella-italiana-licenziamenti-facili-e-meno-potere-ai-giudici/2529811/,  9 marzo 2016
[4] Stefano De Agostini, ibidem

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