Da Furore a La caduta di Troia. Il teatro di Massimo Popolizio.

Massimo Popolizio
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Nell'arco di un mese sarà a Milano, prima con , poi con La caduta di Troia. È un'occasione ghiotta per dialogare con lui dei suoi spettacoli e della sua idea di teatro. Massimo Popolizio con la sua consueta generosità non si è negato.

È sempre un piacere ascoltarlo. È un di uomo di garbo e intelligenza.
È importante sentirlo rivendicare un teatro di qualità, e reclamare il rispetto dovuto al pubblico.
La prima di Furore allo Strehler l'otto Giugno, la prima de La caduta di Troia al Parenti il sei Luglio.
Perché hai scelto queste due letture?

furore massimo poplizio
Massimo Popolizio in Furore. Foto di Federico Massimiliano Mozzano

Non c'è un motivo. Poi Furore non è una lettura. Furore è uno spettacolo. Furore è uno spettacolo nato prima della pandemia, come cosa piccola, da poter portare in giro dopo Il nemico del popolo. In questa cosa dovevo essere da solo. Abbiamo scelto delle parti del libro in cui si poteva fare un lavoro da soli. Su quel libro non ho fatto la famiglia Joad. Non ho messo in scena il libro, ho messo in scena i materiali giornalistici che Steinbeck produsse nel 1936 per un giornale di San Francisco.
La Caduta di Troia è qualcosa che abbiamo già fatto negli anni passati.
Il teatro è molto cambiato in questo momento. Non si possono fare spettacoli grandi. Almeno fino al 22 non si potranno fare.
Intendi fino al 22 giugno?
No, il 2022. Non si possono fare per tanti motivi. Non si possono fare spettacoli con più di tre persone. Il contingentamento del pubblico ha reso impossibile mettere in scena molti spettacoli. Perché con mezza sala le compagnie private non possono fare nulla. Tutto ciò ha reso molto difficile realizzare spettacoli importanti.
Comunque questi spettacoli hanno un filo conduttore che li lega. Furore ha un filo conduttore che lo lega a Un nemico del popolo, a Ragazzi di vita. Se vuoi anche al secondo libro dell' che parla della presa di Troia con l'inganno dei Greci.
Furore parla di migrazioni interne. Il modo in cui hai gestito lo spettacolo con equivale a parlare dei nuovi schiavi della terra, dei lavoratori migranti nei ghetti come a Cassibile, a Castel Volturno? È possibile questa similitudine?
C'è, ma non è fatta apposta. Certo che c'è. C'è anche di più. La cosa commovente è che sembra costruita oggi, per oggi. Ma non sono Davide Enia che fa un testo sugli sbarchi a Lampedusa. Non è questo. Con la grande letteratura, la grande letteratura di un certo tipo, capisci che è universale. È commovente per questo. Non sono un attore che fa dei testi del presente. Non sono per il teatro civile. Sono per il teatro epico. C'è tutto un teatro epico, una letteratura epica, che come una tragedia greca è universale.
In questo senso i classici ci parlano ancora?
Certo ci parlano molto più del presente.
In modo diverso Furore e La caduta di Troia parlano del nostro sentirsi assediati? È paradossale perché in Furore si parla di migrazioni, di un andare, di popoli in movimento. Possiamo però trovare una similitudine nel senso che siamo assediati nelle nostre paure, nei nostri diritti fondamentali?
Se vuoi trovare qualcosa ce la trovi. E lo trovi anche nell'Eneide. È così talmente densa che c'è anche la paura. Ritrovi come la paura è uno strumento. La paura viene utilizzata come uno strumento. La paura è uno strumento per raggiungere determinati scopi. Sulla paura ci si sguazza dal punto di vista contemporaneo, così come contemporanea è l'Eneide.
Il cavallo di Troia è un inganno.
“Se voi non volete che questo dono sia funesto per voi dovete farlo entrare in città.”
È un inganno. Si gioca sulla paura.
È quello che dice anche: Attenzione a farli entrare perché una volta entrati non escono più e questi ci mangiano le nostre ricchezze. È un po' quello che sta succedendo adesso nel nostro contemporaneo. Dove sostanzialmente si dice “Questi sono venuti. Non c'è spazio per tutti.
In America veniva detto Non è vero che c'è spazio per tutti. La California è uno stato ricco, ma è ricco per noi ma non per tutti. Se arrivano gli altri non abbiamo più da mangiare.”

massimo popolizio
Massimo Popolizio. in Un nemico del popolo.
Foto Giuseppe Distefano

Mi sembra che cambino i tempi ma che le paure rimangono identiche, e che l'uomo non cambi molto.
Diciamo che è peggiorato.
Non mi sembri molto ottimista questa mattina. Ma è solo questa mattina o è in generale?
Come fai ad essere ottimista? Come fai ad essere ottimista se vedi un servizio sul Tg Mondo con i bambini che viaggiano, si buttano in acqua dal Marocco e vengono respinti dalla Spagna? Come fai ad essere ottimista? Il mondo è esploso. Come fai ad essere ottimista dopo che vedi un servizio su ciò che fa Israele agli arabi? Come si fa ad essere ottimista?

Quella di Massimo Popolizio è una domanda che si ripete, e sembra ripetersi all'infinito. Come fai ad essere ottimista?

Come fai ad essere ottimista? Si cerca di sopravvivere facendo al meglio possibile quello che devi fare, con passione. La passione che metti nel lavoro che fai ti rende sopportabile la vita.

Quali parti privilegerai nella lettura del secondo libro dell'Eneide e perché? Privilegerai la violenza, la pietas, Anchise, Astianatte, Andromaca?
Anche la pietas. Quello dell'Eneide è un racconto, abbiamo fatto dei cambi, qualche taglio l'abbiamo fatto. Comunque il libro viene letto tutto, dura un'ora e venti. L'Eneide è il primo serial, la prima serie di Sky. È fatta di campi lunghi, di primi piani. C'è il lato in cui si deve piangere, poi c'è il lato che riguarda i morti, poi ce la battaglia. Insomma è veramente una serie.
Con la musica abbiamo tentato di esaltare il racconto, e nel racconto di fare vedere attraverso la voce quello che la voce può far vedere. Io ho soltanto la voce, ma attraverso la voce ti devo far vedere le cose. Per cui con la voce tu vedrai un film. È un testo molto complesso. Però, la cosa principale è la voce che fa vedere.
Nell'Eneide non ci sono riflessioni. Ci sono atti, ci sono azioni, ci sono movimenti, descrizioni di cose. Non ci sono riflessioni, ci sono metafore, similitudini. Non è un testo intellettuale. Ci sono descritte delle cose, le cose che stanno succedendo. Anche nella descrizione dei fantasmi la cosa più bella è che quando Enea si trova in pericolo c'è sempre una visione che viene a salvarlo, che si materializza come un fantasma, che ci parla. In questo senso con l'Eneide si possono dire tante altre cose. È un testo molto complesso.
Parlavi della voce. Evocare attraverso la voce il tutto. Quanto la musica ti ha aiutato e quanto la musica è importante nei tuoi spettacoli?
Furore ha un percussionista straordinario e l'Eneide ha un terzetto di musica etnica e cantano in ladino, aramaico, ebraico e sabir, l'antica lingua del Mediterraneo. È importante perché non è un sottofondo. La musica è un contrappunto, ed è sempre una piattaforma per il racconto e per la parola. Però, sia Furore che l'Eneide durano esattamente sempre lo stesso minutaggio. Perché è come un'opera, come un'operina. È strutturata come un'operina. Quindi la musica conserva il suo linguaggio primordiale, non si trasforma in qualcosa di sottofondo, come in una lettura alla radio dove poi sotto metti la musica. In Furore e ne La Caduta di Troia la musica ha un ruolo preciso.
Mi sembra che tu vada in controtendenza. Scegli un gruppo musicale che avrà suoni e parole in lingue lontane, estinte. Non punti sulle ballerine e sui glitter ma su atti di intelligenza.
No, no. C'è tanta gente che fa questo lavoro. Tanta gente che fa lo stesso lavoro mio. Io, mi permetto di dire, lo faccio con più competenza dal punto di vista della parola, dell'uso della voce. Questo lo faccio fin da ragazzo. Quando mi è capitato di leggere all'aperto con i musicisti, specialmente d'estate, ho fatto cose con Fresu, Rava, Girotto, con Fabrizio Bosso. Sono nomi importanti, ho lavorato con orchestre, con la Scala. Ho fatto delle cose molto importanti. Quindi ho un'esperienza per quanto riguarda il rapporto voce musica sin da ragazzo.
In questo tuo sogno riesci a portarti dietro i grandi nomi della musica italiana e non solo. Quindi è una proposta che viene accolta bene.
Come è andata la collaborazione con Emanuele Trevi?
Bene. Emanuele è un uomo prezioso.

La voce di Popolizio si anima ancora di più, se possibile, nel ricordare l'amico e collaboratore.

Emanuele ha il dono di aprire un po' le cose. Di farti vedere le cose, di vedere e scoprire subito in un libro qual è il punto di vista su cui puoi lavorare. Non è facile prendere Furore e dire facciamo Furore così come Ragazzi di vita. Abbiamo costruito insieme un adattamento che chiaramente come ogni adattamento non è più il libro. È una cosa a sé. Si chiama Furore chiaramente, ma non c'è la famiglia Joad ad esempio. Anche quando abbiamo fatto Ragazzi di vita abbiamo dovuto scegliere quali parti lasciare. Quindi, diventa anche quella una cosa che non è il libro, viene dal libro. Usiamo soltanto parole del libro. Non abbiamo messo neanche una sillaba, una vocale, che sia nostra. Ma si lavora sul montaggio. Attraverso il montaggio costruiamo un'altra cosa. È sempre un tradimento un adattamento, un tradimento usando le parole del libro.
Tra l'altro mi dicevi che avete lavorato sulle interviste che erano state fatte da Steinbeck piuttosto che sul libro. Quindi, anche per questo è un Furore particolare.
C'è un librino particolare [ndr. The Grapes of Wrath], che contiene gli articoli di Steinbeck e ti fa capire da dove deriva Furore. Quindi noi da questo librino abbiamo scelto poi all'interno del libro una via da percorrere.

Parliamo un po' di teatro in generale.
ITsART. Hai avuto modo di visionare il portale della cultura promosso dal ministro Franceschini? Che cosa ne pensi?
Non l'ho visto. Mi sembra una fregatura e pare che non ci siano neanche i soldi.
Io l'ho guardato e mi è sembrato fatto male. Un'ammucchiata di roba messa lì a caso e per caso.
Felice che abbiano riaperto i teatri anche se in versione ridotta, con il pubblico contingentato?
Sono contento che li abbiano riaperti. Bisognerà cercare… Io ho fatto Roma, ho fatto Pavia, Pistoia, Velletri. Vedo che la provincia ha un atteggiamento molto più gioioso delle città. Le città sono un po' esplose. Roma è diventata veramente una città infernale. Già lo era prima. Nessuno prende i mezzi. Per andare da un posto all'altro ci vogliono due ore di macchina. È un vero inferno. Chi viene a teatro va premiato perché è talmente un atto di coraggio, d'amore.
Ancora per oggi siamo a Genova al teatro Gustavo con Furore. La prima è stata un tutto esaurito per i 300 posti che si possono avere. Nella situazione attuale, con il caldo, portare 900 persone per le tre repliche non è poco. A Roma abbiamo portato più di 2600 persone senza pubblicità. Il teatro non ha fatto pubblicità. Il teatro si occupa anche di questo. Non soltanto del prodotto da vendere, ma come fai a far sapere alla gente che c'è la possibilità di andare a teatro, di vedere lo spettacolo, di acquistarlo. Questo sarà terreno di conquista per i teatri, dovranno inventarsi qualcosa.
In questo a Milano Andrée Ruth Shammah, la direttrice del Parenti, è favolosa. È incredibilmente capace di attrarre consensi, spettatori, energie. È veramente un bellissimo personaggio.
Sì, sì. Lo so.
Le occupazioni dei teatri durante il lockdown hanno portato a qualcosa?
Le occupazioni?
A Milano hanno occupato il Piccolo per un lungo periodo. Questo movimento degli attori nel rivendicare i propri diritti porterà qualcosa o è solo un falso movimento?
Beh. Unita esiste già. Abbiamo fatto Unita, che è un'associazione. Mentre prima esisteva solo il sindacato ed era pubblico. Adesso c'è Unita, che raccoglie diverse migliaia di persone, e ha una credibilità un po' diversa, e che ha già lavorato per la modifica del contratto nazionale.
Le occupazioni sono sempre frutto di una rabbia momentanea. Il problema è continuare a lavorarci per i cambiamenti. Unita lo fa e si impegna in questo. Che cosa sia poi capitato al Piccolo non lo so. Adesso alla direzione del Piccolo è arrivato Claudio Longhi. Grazie a dio è arrivato lui piuttosto che altre persone.
Mi è sembrata una persona estremamente timida e riservata.
Sì. Sì, è una persona estremamente intelligente e colta, che nutre anche un grande credito tra gli addetti ai lavori e non solo. Quello dei direttori dei teatri è un mestiere infame. Speriamo che riesca, non dico a cambiare, ma perlomeno a offrire alla città dei prodotti decenti.
Non ti mettere a ridere sai chi ho trovato di molto interessante nell'ambiente del teatro? Le maschere. Sono dei critici teatrali splendidi.
Certo. Come anche il pubblico della domenica pomeriggio.
Trovi che la domenica pomeriggio ci sia un pubblico diverso?
Sì. Perché ci sono gli anziani o i ragazzi che bisogna coltivare. Ma i ragazzi non sanno. Quelli che hanno settant'anni vanno a teatro da un sacco di tempo. Non li freghi a quelli. Non gli freghi con il nuovo, con l'affermazione che il nuovo è bello. No. È bello se è bello, non perché è nuovo.

Sorride. Sa quello di cui parla.

Hanno visto un sacco di cose. Non li freghi. Hanno una capacità critica più di altri spettatori. I ragazzi invece sono entusiasti, è un pubblico che va coltivato. Ma i ragazzi sono facili da fregare perché se gli strizzi l'occhietto, metti due musiche rock, fai due cose strane, lo fai durare poco li convinci.

Vuoi aggiungere qualche cosa?
Queste aperture non devono essere, e finora non lo sono state e non so come andrà quest'estate la situazione, delle aperture simboliche. Perché non c'è nulla di simbolico nell'apertura. L'apertura è un fatto e deve corrispondere a dei fatti. La gente in scena deve essere all'altezza del coraggio degli spettatori che vengono a vederli. Andare a teatro non è una cosa simbolica. Andare a teatro è una cosa. Per cui tu ti siedi e vedi un'altra cosa. Non ti posso fare uno spettacolo simbolico.
Non ti faccio uno spettacolo in virtù del fatto che i teatri sono aperti. No. Lo spettacolo esiste a prescindere dal fatto che i teatri siano aperti o siano chiusi. Quindi, il pubblico merita una qualità. La stessa qualità che ci mette lui a venire a teatro.

Gianfranco Falcone

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