
Da “Sangue e cenere”, con l'ingresso di Jono Manson in fase di produzione, i Gang non hanno sbagliato più un colpo, non che prima ne avessero sbagliati molti. “Ritorno al fuoco”, oltre a registrare il record assoluto del crowdfunding in Italia, segna un altro passo decisivo nella carriera dello storico gruppo folk rock marchigiano dei fratelli Severini.
Un disco impegnato, come sempre schierato, sanguigno e pieno di poesia. Un disco che ripercorre una storia speciale degli anni di piombo con il rock de “La banda Bellini”, che guarda alla nuova povertà con la ballata “Via Modesta Valenti”, che torna al rock chitarristico e barricadero con “Rojava libero”, e che apre anche all'amore con la splendida “Amami, se hai coraggio”, colorata da una sezione fiati meravigliosa. “Un treno per Riace” omaggia il sindaco dell'accoglienza Mimmo Lucano con atmosfere tex-mex che arrivano da Jono. “A volte” è, a parere mio, il capolavoro del disco. Meno impegnata di altre, ma qui tutta la poesia di un cantautore (anche se lui odia questa definizione) di razza come Marino Severini, forse l'ultimo grandissimo rimasto in Italia, viene fuori con un brano commovente. “El Pepe” è ovviamente una dedica carica d'amore per José Alberto Mujica Cordano, il presidente povero dell'Uruguay. “Concetta” è un valzer, la storia pazzesca di disperazione di Concetta Candido, che si è data fuoco nel 2017 in un ufficio dell'Inps a Torino. Un fatto di cronaca passato quasi sottotraccia, che i Gang non vogliono far dimenticare, giustamente. “Dago” è una canzone sulla memoria, su quando gli immigrati erano gli italiani, e venivano massacrati a New Orleans a fine ‘800. “A pa'” è l'unica cover del disco, brano lento ed epico di Francesco De Gregori dedicato a Pasolini. L'album si chiude con “Azadi”, libertà, una toccante preghiera etnica per gli oppositori del nazionalismo in India.
“Ritorno al fuoco” è il più bel disco uscito in Italia negli ultimi anni, pieno di quella grande musica dalle radici americane che amiamo da sempre e di quelle idee che abbiamo sempre propugnato contro ogni sopruso. Da Marino e Sandro Severini non ci si poteva aspettare altro, il loro grido ormai è un marchio di fabbrica da decenni. Una delle pochissime voci fuori dal coro in un paese tristemente omologato a una dittatura culturale devastante. Resta il grande desiderio di vederli tornare presto sul palco a sfornare un nuovo repertorio che dal vivo promette scintille.
Marco Quaroni Pinchetti
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