Gianni Mura, ci piace pensare…

Gianni Mura
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In un frangente così tragico per il mondo intero, nel pieno di una pandemia mondiale che sta mietendo un numero di vittime inaspettato e probabilmente modificando in maniera definitiva i nostri stili di vita, sono a commemorare una delle poche persone scomparse per altri motivi: il maestro del giornalismo sportivo italiano Gianni Mura.

Era uno dei membri credo anche tra i fondatori del club dei “SenzaBrera”, dedicato al suoi amico e maestro Gianni Brera, collega degli ultimi anni a la Repubblica. Adesso qualcuno dovrà fondare il club dei “SenzaMura”.

Mi piace pensare che non sia proprio casuale la cronologia della sua scomparsa: questo doveva essere un week-end di grande ciclismo con la disputa della classica che introduceva l’Italia e tutto il mondo delle due ruote nella bella stagione, partendo dalla piovosa Milano ed arrivando all’assolata riviera ligure, in quel di Sanremo. Ecco, mi piace pensare che Mura abbia pensato di potersene andare anche perché la Sanremo non si disputa.

Non so molto della sua vita privata ma dal punto di vista professionale ha certamente vissuto una delle vite che ho visto da lontano con una certa invidia. È stato un meraviglioso ed originalissimo giornalista di calcio e ciclismo, riuscendo da questo punto di partenza a costruire una rubrica di vera e propria critica di costume, iniziando quasi sempre da episodi connessi allo sport e giungendo persino parlare di politica internazionale o di poesia dialettale. L’ho invidiato, confesso di fronte alla fine di questo meraviglioso giornalista. L’ho invidiato perché basterebbe leggere i pezzi inviati dal Tour de France per comprendere quanto se la sia goduta alla grande.

Di ciclismo ne capiva eccome ma i suoi pezzi sembravano una specie di guida alla bella vita in giro per la Francia; poi ad un certo punto attaccava con la cronaca della tappa del giorno precedente ed anche se l’avevi seguita tutta in diretta e pensavi di averne compreso tutti i risvolti sapeva fornirti una qualche chiave di lettura ulteriore di ciò che era accaduto. La sue cronache dalla Francia erano davvero memorabili; inseriva nel racconto le sue passioni, quelle di un uomo colto che amava a pieni polmoni la sua vita ed il suo lavoro, dono davvero prezioso per un essere umano. Si partiva dal racconto delle meravigliose cene delle sere antecedenti, caratterizzate da contrappunti sulla storia delle tipicità di ciascuna città e regione attraversata dalla Grande Boucle, si proseguiva con cenni storici sui luoghi attraversati, con il contestuale racconto di qualche meraviglioso pezzo musicale di sottofondo alla discrezione dei passaggi della Francia, transumando con la mastodontica carovana gialla.

Solo chi gode così pienamente di ciò che fa può produrre dei pezzi così meravigliosi come quelli che Gianni Mura pubblicava per la Repubblica. Li attendevo davvero con ansia e con passione, li leggevo con il piacere che si ha quando si va a fare una bevuta con un vecchio amico che non vedi da tantissimo tempo ed hai mille cose da dirti, anche se tu in realtà non dici nulla, ascolti e basta.

Credo, invece, che negli ultimi anni il calcio gli piacesse sempre meno. Aveva continuato il suo rito annuale con il pezzo assurdo costruito in avvio di campionato, penso sia la cosa più breriana che facesse e forse lo continuava proprio in omaggio al suo amico e maestro. Credo che il calcio lo deludesse sempre di più per la mancanza di qualsiasi forma di romanzo popolare costruibile in ragione dell’onnipresenza del dio denaro e del potere. Restava, dunque, il pezzo nel quale consultava la palla di lardo, divenendo un aruspice che prova ad indovinare le sorti della più popolare e famosa lotteria nazionale: il campionato di calcio. Siccome in questa lotteria le epopee inattese divengono sempre più rare e le sorti da indovinare sempre più rare, la sua passione mi sembrava decisamente scemata.

È stato il più onesto cantore del più grande campione che lo sport di questo paese abbia mai avuto: Marco Pantani. Lo aveva definito Pantadattilo, un fossile riapparso all’improvviso nel ciclismo moderno. In una sola parola era riuscito a ricostruire le emozioni e la rarità di un campione davvero unico e straordinario. In un mondo dello sport dove le imprese e i campioni sono sempre più costruiti al computer riappare, dal fondo di qualche oceano del tempo, un ciclista che possiamo datare all’epoca di Coppi e Bartali, che compie imprese davvero uniche nel suo genere che non si vedevano in quelle forme e modalità da tempo immemorabile. Al Tour de France riesce a vincere una tappa di montagna nella quale cade nella prima discesa, accumula un discreto ritardo, appare sul punto di ritirarsi, poi inizia a recuperare e nell’ultima salita supera una sessantina di corridori e vince da solo, per distacco. Chi altro potrebbe fare una simile impresa nel ciclismo moderno? Lo ringrazio per il modo mai assolutamente tenero ed affettuoso con il quale ha raccontato la triste parabola pantaniana. Non è mai stato morboso nel racconto di quella vicenda e non ha mai dimenticato di avere di fronte a se la figura di un meraviglioso ed unico Pantadattilo. Forse proprio questa vicenda così complicata, dolorosa ed ingiusta lo ha condotto alla passione per il giallo, alla scrittura di un libro che è anche un bell’omaggio all’isola di Ischia.

Penso di aver condiviso con Gianni Mura un certo distacco nel guardare il ciclismo nel post Pantadattilo. Non che non ci fosse più amore per quello sport; certo ci siamo appassionati per le imprese dello Squalo dello Stretto, soprattutto per la Sanremo vinta qualche anno fa davvero inaspettatamente con un numero che costituisce un mix tra Chiappucci e Bartali, ma questa passione è stata vissuta con maggior distacco, come le passioni che può vivere un uomo di una certa che torna bambino solo per qualche momento. La storia di Pantani è stata davvero troppo dolorosa ed ingiusta per tutti coloro che amano questo sport; eppoi dopo aver visto Pantadattilo cosa può avvicinarsi a tale inarrivabile scoperta, dove lo troviamo un altro fossile così (anche se l’impresa dell’altr’anno di Chris Froome al Colle delle Finestre ci ha riconciliato col ciclismo e regalato definitivamente un grande campione sia pur dell’era moderna, non un fossile).

Ho invidiato fortemente la sua passione per la cucina, di tutte le latitudini, la sua straordinaria competenza in fatto di formaggi e vini. In questo senso non era esattamente un salutista, gli piaceva mangiare, bere e fumare, godendone a pieno palato e polmoni. La rubrica condotta con la moglie per il Venerdì di Repubblica di recensione di ristoranti, condotta in giro per l’Italia era una delle cose che maggiormente mi ingolosiva. Ricostruiva pietanze, abbinamenti, storicità e tipicità di un territorio ma soprattutto, rispetto ai tecnici della cucina, brillava nella ricostruzione delle storie degli esseri umani che ci sono dietro la costruzione di pietanze e menu. L’essere umano è un fattore per la splendida riuscita di un luogo dedicato al cibo ed al piacere e questo fattore viene troppo spesso dimenticato: qui risiede la differenza tra un formidabile narratore di storie ed un tecnico di un qualche settore.
E veniamo a “Sette giorni di cattivi pensieri”, la rubrica domenicale di Gianni Mura su la Repubblica. Mi è sempre piaciuto leggere il quotidiano della domenica perché quell’edizione lì del quotidiano, anche prima della crisi di questo formato giornalistico scavalcato nella tempistica dal continuo susseguirsi di notizie ed agenzie ed ormai totalmente da ripensare come costruzione, non era una vera propria riproposizione delle notizie del giorno prima ma piuttosto una riflessione sulla settimana ed in generale sui tempi che viviamo. La rubrica di Mura era in fondo al giornale ed usavo tutte le cautele per godere appieno di quel piacere nella lettura, spesso la rimandavo al lunedì mattina per incominciare bene la settimana. Lo spunto era sempre legato a qualche evento sportivo anche se con gli anni se ne era allontanato sempre di più. Come definire questa rubrica, una piccola lezione di etica dei nostri tempi?
Raccontava di eventi accaduti nelle serie inferiori, davvero inferiori, facendole divenire modelli di comportamento sportivo negativo o positivo; riprendeva le più strampalate dichiarazioni di personaggi pubblici fornendone una lettura davvero originale. La ricostruzione della mappa dei voti ironicamente affibbiati a questo o quel personaggio ricostruisce un percorso per definire un’etica, quanto meno sportiva, dei nostri tempi. Negli ultimi mesi si era anche dato alla poesia, anche seguendo la complessità delle forme dialettali.

Mi mancherai davvero tanto, non potrò più invidiare la tua meravigliosa capacità di vivere amando ciò che si fa. Che ti sia lieve la terra.

Vittorio Fresa

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