
Lo so. Vorrei raccontare tutte le storie del mondo ma mi devo arrendere all’evidenza. Questo non è possibile. Però c’è una storia che voglio raccontare. Quella di Gino Campanella e Massimo Milani detto Massimona. Gino ha settantacinque anni, Massimo ne ha sessantasette. Me li ha presentati Lina Prosa.
Li ho incontrati per la prima volta davanti al loro negozio a Ballarò a Palermo. Gino indossava calzoncini e maglietta. Massimo indossava abiti femminili, un tubino rosso molto appariscente. I capelli erano tinti di biondo, le lunghe unghie erano laccate e il viso era truccato.
Ho voluto raccontare la loro storia perché è una storia di lotta e di libertà, libertà dai pregiudizi, dalle convenzioni sociali. È una storia a lieto fine, che però continua.
Chi è Massimo?
La prendo molto alla lontana. Massimo è un essere vivente. In questo modo comprendiamo il mondo nella sua interezza. Ci vuole rispetto per tutti gli esseri viventi di questo mondo. Per me è un fatto politico dire sono un essere vivente. Perché tento di rappresentare le possibilità di essere in questo mondo. Sono nato umano però in questo stare al mondo come essere umano non si può prescindere dal rispetto per tutte le forme di vita, anche quelle più semplici.
Chi è Gino?
Gino è il compagno da quarantaquattro anni di Massimo. Sono palermitano e vengo da Torino. Sono cresciuto là. Sono nato a Palermo e sono andato a Torino quando ero ragazzo. Poi sono tornato a Palermo. Ho conosciuto Massimo a Roma. Da Roma siamo venuti a Palermo. Io ero appena sposato con una ragazza. Ho avuto due figli. Io e Massimo siamo tra i fondatori dell’Arcigay, che è nato a Palermo e poi si trasferì come sede nazionale a Bologna.
Mi ha colpito il fatto che Palermo sia stata inizio di tante cose. È la città in cui nasce l’Arcigay ed è la città da cui parte la lotta della società civile contro la mafia. Sei una donna transessuale?
– Massimo. Ma anche no. (E scoppia a ridere)
– Gino. Anche perché io come per come sono fatto non sarei mai stato con una trans, pur non avendo nulla contro una trans sia chiaro. A volte me lo chiedono “Ma come fai a stare con Massimo?”. Ma se rispetti una persona quello che diventa, diventa. Per me non ha nessuna importanza.
Quindi quando hai incontrato Massimo era meno vistoso?
(Lo dice sorridendo e ammiccando). Quando ho incontrato Massimo era più maschietto.
Con il tempo ha modificato il tuo aspetto?
Sì. Ha trovato il suo modo di essere grazie anche a me che gliel’ho lasciato fare. Se fossi stato un altro, che non amava questo genere di persona l’avrei lasciato. Diciamo che l’amore vince su tutto.
Che cosa significava essere gay, cercare un’identità che non fosse quella binaria sessant’anni fa a Palermo, nelle vostre città di provenienza?
Beh, era molto diverso. Una volta si viveva più coperti. Si stava attenti a non farsi riconoscere come gay. Invece, con la nascita del movimento la cosa diventò pubblica. Quindi il movimento aiuta molti gay a venire fuori, a prendere il coraggio di essere quello che in realtà si è, con la propria identità.
Voi avete scelto di apparire. La vostra non è una scelta di basso profilo, il vostro negozio è molto colorato, tu sei molto colorato. Quindi la gente vi vede per quello che siete. Questo non vi fa paura? Vi crea delle difficoltà? Come vi accoglie il quartiere di Ballarò in cui ci troviamo?
– Massimo. Ma tu dici all’inizio o adesso?
Entrambi.
Ma, diciamo che rispetto alla domanda che facevi a Gino noi eravamo degli esseri invisibili. Eravamo solo nelle barzellette, negli insulti. Lì c’era la nostra identità. Ma la vita della maggior parte delle persone LGBT era una doppia vita. Non potevi esternare quello che eri. Perché c’era una società che non era assolutamente pronta ad accogliere quella che era una differenza. Quindi, abbiamo vissuto degli anni anche con tormento. Poi il movimento è stato la nostra salvezza perché da lì le cose sono cambiate. Gino pure fa questo percorso indipendentemente da me. Capisce che la nostra vita è assolutamente ingiusta, assolutamente immorale e scandalosa, per come la società ci trattava in quel tempo. Quindi, l’unica possibilità era quella di uscire alla luce del sole e combattere. Perché i nostri diritti, la nostra esistenza, venisse riconosciuta. Non eravamo noi sbagliati, era la società incapace di accoglierci. Se prima vivevamo in un privato assolutamente non riconoscibile, dal giorno in cui abbiamo deciso di aderire a un movimento, di combattere per la nostra identità perché venisse riconosciuta, da lì in poi il privato, il personale e il politico diventano inscindibili. Chiaramente è stato un lungo percorso che è iniziato quarant’anni fa e ci ha portato ad essere delle persone che in questo momento hanno anche un riconoscimento. Questo è bello perché significa che la nostra battaglia è stata una battaglia giusta, qualcosa che ci siamo meritato. Abbiamo conquistato l’essere riconosciuti come persone che hanno fatto qualcosa per cambiare la nostra società.
I tuoi figli come hanno preso le tue scelte?
Ne ho due. Il piccolo disse “Oh che bello. Anche io ho degli amici gay”. Il grande invece “Sì. una cosa sono gli amici, quello è papà”. Il grande era un po’ più restio. Non voleva il papà gay. Però mi hanno sempre rispettato sia l’uno che l’altro, e mi vogliono bene.
Hai buoni rapporti con la tua ex moglie?
Sì. La mia ex moglie purtroppo non c’è più. Avevo anche dei buoni rapporti. Certo soffriva. Lei abitava a Torino. Quando le chiedevano del marito diceva “È a Palermo per lavoro”. Non diceva che eravamo separati, non voleva farlo sapere. Quando io andavo a Torino mi ospitava lei ma voleva, pretendeva, era contenta che dormissi con lei nel suo letto. Mi accettava ma nello stesso tempo soffriva.
– Massimo. Parlando di doppia vita molti gay si sposavano.
– Gino. Mia moglie pensava addirittura di potermi guarire, che fosse una malattia.
– Massimo. La moglie aveva sposato un uomo che pensava fosse eterosessuale. Poi scopre che quest’uomo non lo è.
– Gino. Io iniziavo a frequentare il primo movimento gay che era il Fuori, fondato da Angelo Pezzana. Fui io stesso a dire a mia moglie “Guarda, io sono gay”. Lei nel suo essere semplice mi rispose disse “Vabbè io ti ho sposato. Ti prendo come sei”. Non sapeva che quando lavoravo alle poste le inventavo che facevo straordinari, e invece andavo o nei locali gay o a cercare altra gente come me.
Le cose oggi sembrano andare meglio. Però c’è ancora tanta omofobia, i ragazzini vengono picchiati, si suicidano, quali sono gli ulteriori passaggi che bisogna fare? Il vostro viaggio non è finito.
– Gino. L’omofobia è una cosa tremenda. Nella nostra vita tutto quello che facciamo lo facciamo pubblicamente per invogliare gli altri gay, gli altri ragazzi, a dichiararsi molto presto quello che sono. A noi la gente ci rispetta perché abbiamo sempre vissuto la nostra vita liberamente, alla luce del sole. La gente di quello che non conosce ha paura.
Come dargli questo coraggio? Spesso le famiglie non li accettano, li allontanano? È la stessa cosa che dico io alle persone disabili come me in carrozzina, viaggiate, andate con i vostri corpi nelle piazze ed esponetevi. Perché è soltanto in questo modo che la gente si abitua, gli alberghi si abituano, i negozi si abituano. Però come aiutiamo i ragazzini ad arrivare a questo?
– Massimo. È un cambiamento culturale. Quindi, è qualcosa che è molto lento purtroppo. Delle volte sembra di fare dei passi avanti e poi dei passi indietro. Nella nostra vita è sempre stato così, camminare avanti e poi indietro. L’unico modo per farlo come persone singole è appunto come dicevi tu: mostrarsi. C’è ignoranza, paura di ciò che non si conosce.
Negli anni le persone LGBTQ sono passate dall’invisibilità alla visibilità che è sempre più evidente. E questo è il compito personale. Poi naturalmente dovrebbero essere le istituzioni che si fanno carico di queste criticità. Però come diciamo sempre c’è una classe politica che è sempre più indietro rispetto alla società civile. L’abbiamo visto per la legge contro l’omofobia che è stata bocciata. Adesso c’è il pericolo di questo nuovo governo che incombe e che veramente ci spaventa

È possibile che il sovranismo al governo in Italia segua l’Ungheria di Orban e della Polonia in cui i diritti sono negati. Accadrà forse come in Russia in cui non si può parlare di omosessualità in pubblico? Altrimenti si viene accusati di propaganda e si finisce in carcere?
Questo si può guardare anche da un punto di vista positivo. Nel senso che questo può anche essere uno stimolo in più a lottare. È quello che succede quando c’è repressione.
In questo momento molti giovani pensano che i problemi siano risolti, oppure che quello che vivono in questo momento sia una conseguenza naturale del progresso. Invece ci sono state persone che hanno lottato per questo. Naturalmente un governo di destra con quella ideologia è quanto di peggio potesse succedere in Italia. Però questo può anche essere uno stimolo in più perché le persone capiscano che siamo ancora all’inizio in un percorso di liberazione. Il movimento ha solo cinquant’anni. Prendiamo le cose anche dal punto di vista positivo invece di vittimizzarci. Questo può essere ancora di più un invito alla lotta. Se qualcuno ha pensato che avevamo risolto i nostri problemi la vittoria delle destre è un motivo in più per far ricredere molte persone, per farle uscire fuori ancora di più, per farle combattere ancora di più. Questa è la speranza. Una cosa molto importante che abbiamo fatto due anni fa è stato il nostro matrimonio.
Dove?
– Gino. A Giarre.
– Massimo. Non so se conosci la storia di Giarre. Quarant’anni fa a Giarre in provincia di Catania, furono uccisi due ragazzi che stavano insieme e che vivevano la loro unione liberamente nel paese. Naturalmente questo era insopportabile allora in qualsiasi paese e città italiana, figurarsi in un paesino come Giarre. Per cui la versione ufficiale di questa storia dice, versione che non è mai stata smentita ma che non è assolutamente quella veritiera, dice che il nipote di uno dei ragazzi li ha uccisi su loro richiesta. Perché loro non potendo vivere liberamente preferivano morire. Quindi lui aveva sparato a tutti e due. Lo ha fatto un ragazzo minorenne, tredicenne, che quindi non era punibile dalla legge. I carabinieri accettarono questa spiegazione anche se poi questo ragazzo ha ritrattato. Però la prima risposta è quella che conta, come nei quiz. Quindi, questa è la versione ufficiale. Fu una cosa veramente scioccante. All’epoca i giornali ne parlarono. Tante persone erano state uccise per la loro omosessualità. Ma per la prima volta si trattava di una coppia. In questo modo veniva cancellata anche l’idea di amore, non solo l’idea di essere persone omosessuali. Ma anche l’essere persone omosessuali che hanno sentimenti, che possono stare insieme. Per cui noi a quarant’anni da questa cosa, esattamente il 31 ottobre ci siamo sposati. Noi non ci volevamo sposare. Perché questa legge sulle unioni civili dà dei diritti, ma è la prima volta che crea una disuguaglianza tra le persone omosessuali e non. Perché ci sono due istituti diversi. Crea veramente una discriminazione pur dando dei diritti. Per cui noi abbiamo sempre fatto obiezione di coscienza rispetto a questo punto. Poi le cose della vita ti portano a cambiare prospettiva, idee.
Al primo anno della pandemia, durante il lockdown, Gino è stato malissimo. In ospedale non si poteva entrare. Io non potevo andare. Questa cosa ci ha fatto pensare al fatto che per una vita ci siamo vissuti 24 ore su 24, insieme. Improvvisamente Gino non c’era più. Era come se lui fosse in guerra e io a casa senza avere notizie. Per cui ho detto “Va bene. Se Gino riesce a guarire facciamo questa festa”. Per di più era un modo di festeggiare questa rinascita anche come coppia. Approfittando di questo abbiamo voluto aggiungere un significato politico. Volevamo dare a questa unione civile un significato più pregnante, più vero, sposandoci a Giarre. È stata la prima unione civile che si è tenuta Giarre. In qualche modo era un gesto di solidarietà per due persone che probabilmente avrebbero avuto un’altra vita, se non gli fosse stato negato di vivere nel modo in cui volevano. Questa cosa li ha poi portati al centro del dibattito pubblico. È stato scritto un libro su Giarre. Mesi fa il comune a messo una targa per questi i due ragazzi. Insomma anche questo è stato un modo per stimolare il dibattito.
Quindi, è da quando siete ragazzini che continuate a smuovere le coscienze?
– Gino. Ogni cosa che noi facciamo è una cosa pubblica.
– Massimo. Ha sempre una doppia cifra. Sia personale sia politica. Tu prima dicevi che cosa possiamo fare. Beh troviamo dei modi per mettere sempre al centro della discussione certi temi.
Quindi piccoli gesti dal grande valore simbolico, che poi diventano grandi gesti. Che cosa facevate a Roma a vent’anni?
– Massimo. Io studiavo all’università.
– Gino. Ero in vacanza a Roma e frequentavo il Fuori, il primo movimento gay. Dissi al mio compagno che avevo allora “Vado a fare una vacanza a Roma tu ci vieni?”. E lui mi rispose che doveva lavorare. Andandoci da solo ho conosciuto Massimo al Fuori. Chiamo il mio ex compagno.
– Massimo.. Aveva già lasciato la moglie.
– Gino. “Senti Franco mi sono innamorato”. “Sì io lo so siamo innamorati” rispose lui. Io replicai “Non di te, di un altro ragazzo. Resto a Roma”. Lui non ci ha creduto. È venuto a Roma a controllare, e poi mi ha detto “É un bravo ragazzo stai pure con Massimo”.
Che bello hai avuto sempre storie d’amore delicate. E tu Massimo?
Io andavo all’università e insieme ci siamo inventati questo lavoro di fare borse che sembrava provvisorio.
Figli? Non ne avete voluti?
– Massimo. Ma lui già li ha.
Tu?
Ma io francamente no. Non è un pensiero che faccio. Più che avere un figlio mio mi piacerebbe adottare. Ci sono tanti bambini che non hanno un genitore. Non ho l’idea che un figlio deve essere sangue del tuo sangue, non lo ritengo fondamentale. L’adozione è una cosa impossibile per noi quindi è un discorso che non abbiamo mai frequentato.
È una questione che dovrebbe essere messa all’ordine del giorno della politica?
Dovrebbe esserne data la possibilità a tutti, anche ai single.
Avendo insegnato per molti anni ho visto tanti disastri fatti da genitori eterosessuali che mi sono convinto che sicuramente una coppia omosessuale, o un single, non potrebbero fare di peggio. Quindi, penso sia giusto dare la possibilità di adottare sia ai single che alle persone omosessuali.
Il vostro attivismo parte dal privato per poi arrivare a una dimensione pubblica. Così come sposarvi nasce da un’esigenza privata legata alla malattia di Gino per diventare poi un atto politico sposandovi a Giarre.
– Massimo. Abbiamo fatto anche un matrimonio a piazza Pretoria nel ’94 con Leoluca Orlando.
– Gino. Ma quello era simbolico.
– Massimo. Fuori dal Comune ma con tutti i crismi del matrimonio. Lo abbiamo fatto per stimolare la discussione. Allora erano stati presentati i primi disegni di legge. Lo facevamo a Palermo dove nel ‘92 c’erano state le stragi di Falcone e Borsellino. Questa cosa è stata destabilizzante perché parlava di una Palermo contraddittoria.
– Gino. La gente non capiva. Come mai a Palermo le stragi e poi questa cosa?
– Massimo. Questa cosa ebbe una eco nazionale e internazionale. Ci fu un trafiletto anche sul New York Times. Addirittura su Repubblica finì in prima pagina.
Siete delle celebrità non siete delle presenze anonime di Ballarò.
Qui ci rispettano tutti. Perché vedono il coraggio che abbiamo.
Il Pride che cosa può fare per diventare qualcosa di più e di diverso da quello che è adesso? Il Pride ha il vostro stesso coraggio oggi?
Il fatto stesso che è un Pride espone pubblicamente. È l’unico momento di tutto l’anno in cui molti gay, il movimento di gay, si espone dicendo alla città “Ecco. Siamo qua”.
Ha ancora questo potenziale di rottura.
– Massimo. Dipende poi dai Pride. Ci sono dei Pride che diventano un po’ più commerciali. Per esempio il Palermo Pride è uno dei Pride, e questo lo riconoscono tutti in Italia, in cui il fatto politico è ancora predominante rispetto alla festa e al divertimento. A Palermo il primo Pride c’è stato nel 2010, a parte un piccolo Pride fatto nel 1981 a villa Giulia, che viene ancora ricordato perché nel 1981 non si parlava ancora di Pride. Il Pride dovrebbe essere 365 giorni all’anno. Comunque il vero Pride a Palermo c’è stato nel 2010 e veramente ha cambiato in positivo questa città. Perché è un Pride in cui la maggior parte delle persone sono eterosessuali. Però anche per loro quello è un giorno in cui possono esprimersi. In qualche modo anche l’eterosessualità è una condizione quasi imposta. C’è un etero normatività che ti impone di essere eterosessuale.
O che comunque ti impone di essere eterosessuale in un certo modo.
Siamo in una società che deve cambiare totalmente. Non devono essere solo accettate e tollerate le persone, bruttissima la parola tollerate. Ma è proprio attraverso il coinvolgimento di tutte le persone che la società cambia. Perché la società non è fatta a compartimenti stagni.
– Gino. Molte associazioni non gay si affiancano a noi e partecipano al Pride. Vengono a marciare con noi.
Dopo qualche giorno dalla prima intervista ho sentito l’esigenza di ascoltare ancora la storia di Massimo. C’erano alcune cose che non mi erano chiare. Massimo è stato estremamente disponibile. Ha accettato di incontrarmi per le ultime domande.
Perché ti chiamano Massimona?
Ride
Intanto non è un nome che ho scelto io. L’hanno scelto gli altri. Io ci tengo al mio nome, al mio essere Massimo in questo modo, a questa contraddizione che poi non è una contraddizione, ma è una cosa naturale della vita. Perché non si nasce solo maschi, uomini o donne. Ci può essere anche qualche altra cosa. Quindi io lo rivendico politicamente poiché non ho mai adottato un nome femminile. Proprio perché è un fatto politico importante. Nel senso che può capitare a tutti.
Tu l’altra volta mi chiedevi “Tu sei una donna trans?”. Ecco politicamente non accetto questo. Anche se mi sta bene perché non è assolutamente un’offesa. Però voglio sottolineare che chiunque può nascere Massimo e diventare qualche altra cosa. Perché se no diventa qualche cosa di nicchia, una cosa dello zero virgola zero della popolazione. Invece è una cosa che può succedere a tutti. E ognuno ha il diritto di scegliere di essere quello che vuole, di interpretare la propria identità nel modo migliore. Io non ho avuto questa possibilità perché la società era quello che era. Quindi, vorrei che gli altri avessero questa possibilità. Quindi da lì Massimona. Perché poi parlando di me, si chiedevano “Hai visto Massimo?”, e si rispondevano “Ma Massimo chi?”. Allora nacque il nome Massimona. Non so chi fu il primo ad usarlo. Però poi è diventato un nome che mi identifica, che io accetto perché non c’è niente di male. Però non mi sento Massimona.
Perché la scelta dei vestiti femminili?
Perché appunto ad un certo punto della mia vita ho capito quello che la società ha sempre negato, e che adesso forse è più chiaro. Che si può anche essere qualcosa di intermedio tra l’uomo e la donna. Riflettendo, facendo anche un percorso di autocoscienza, ho compreso che io ho sempre rifiutato il mondo maschile per il modo in cui è costruito. Perché conoscendolo dal di dentro capisci certi meccanismi che sono assurdi. Ho sempre ammirato il modo in cui la donna veste senza preoccuparsi del colore, della forma. E quindi ho fatto mio questo aspetto. Soprattutto perché poi ho recuperato anche questa parte femminile che preferisco. Perché veramente ho quasi un’avversione verso il mondo maschile. Per cui è quasi una fuga dal mondo maschile, per allontanarmi. È quasi un modo per dire “No, non mi identifico con questo maschile, per come è costruito in questo momento”.
Grazie avevo bisogno di chiarire queste due cose.
Sì anche a me era rimasta l’esigenza di un chiarimento. Ci pensavo quando tu mi hai detto donna trans. Ecco questa cosa non l’abbiamo chiarita.
Non conoscendo la tua storia ti ho visto donna dall’esterno.
Certo. Sì. sì. Va benissimo.
C’è di più. Pur volendosi liberare da certi stereotipi, da una certa cultura binaria. Questa è dentro di noi, si appiccica.
Sì. sì.
Per cui non contempli che ci sia una terza cosa oltre al maschile e al femminile. Così per capire si ricorre a modelli stereotipati, già categorizzati.
Certo. Anche chi poi non si riconosce in un certo binarismo delle volte cade in questo. Anche per accondiscendere qualche volta alla società. È un meccanismo molto complesso.
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