La miglior cosa che possiamo fare: ad un anno dalla morte di Gino Strada

Gino Strada
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Gino Strada è morto il 13 agosto del 2021 a Rouen. Esattamente un anno fa.

Come fare a ricordare o a descrivere le azioni, le parole e le prese di posizione di un personaggio come Gino Strada?
Ogni volta che si prova a scegliere una definizione per il suo operato o una parola per descrivere il suo agire, si sente forte ed immediata la sensazione di star eliminando più che aggiungere, di star “normalizzando” un’esperienza che è stata unica perché unico è stato lo stile e l’approccio di Gino Strada nelle mille e mille azioni che ha portato avanti come medico, come organizzatore, come interprete di un mondo basato sull’eguaglianza: “L’eguaglianza è anche questo: condividere gli stessi diritti ed essere parte di un destino comune” (queste le sue parole).

E, quindi, ci giunge in qualche modo in soccorso La miglior cosa che possiamo fare, un percorso a più voci e a più mani sulle prese di posizione del fondatore di Emergency; un testo nato grazie alla casa editrice People, con l’esigenza di non cadere in una memoria retorica o in un ricordo di circostanza di un personaggio così complesso.

Gino Cavalli scrive, infatti, nella sua prefazione al testo:

Gino Strada morto piace a tutti perché non parla” mi disse la figlia Cecilia pochi giorni dopo la sua scomparsa in un’intervista. Proprio così. La santificazione di Gino è partita a spron battuto pochi minuti dopo, nelle dichiarazioni dei politici, nei lagnanti editoriali dei giornali, nelle celebrazioni di gesso sputate nel palinsesto”.

Le celebrazioni e i ricordi di facciata tendono a neutralizzare e quasi, per assurdo, a cancellare il potenziale eversivo e dirompente delle azioni di Gino Strada che non può essere presentato semplicemente come un medico filantropo che sposava cause impossibili in luoghi impossibili.

Questo tipo di narrazione, pur infilandosi facilmente tra le pieghe della comunicazione, nasconde la reale portata delle sue azioni che sono progetti; sono cura per il dettaglio; sono una visione delle relazioni fra i popoli; sono una consapevolezza profonda e tagliente del valore delle parole e delle dichiarazioni. Parole, azioni e progetti sono tutti costantemente ancorati ad un progetto di pace.

Le sue scelte sono, infine, il coraggio costante di un “dissidente” (come scrive ancora Cavalli: “Gino è stato il più grande dissidente italiano negli ultimi anni”) che ha parlato per tutta la vita della pace come un processo costante e continuo che non si esaurisce nella banale idea dell’assenza di guerra, ma deve avere dentro di sé la condivisione di diritti, la ricerca dell’uguaglianza e la volontà di un incontro reale con l’altro.

Tutte parole che indicano la bontà di un’azione e di un operare; tutte parole che congiungono il sogno alla sua realizzazione; tutte parole che si legano all’agire.

Tutto questo, scrive Nico Piro, mi porta a dire – con un’iperbole – che Gino Strada era un comandante e si è costruito un esercito perché non era un pacifista, o almeno non lo era nel senso classico del termine. Gino era un guerriero della Pace”.

Gino Strada La miglior cosa che possiamo fare

L’iperbole serve ad indicare un cammino e la costanza di una forza che sa vedere sempre davanti a sé un obiettivo di rispetto e di cura per l’altro. Nelle parole dei collaboratori di Gino Strada emerge forte la sua volontà di realizzare strutture che fossero anche belle e accoglienti, capaci cioè di dare un segnale che andasse oltre la semplice emergenza e indicasse il rispetto umano come condizione da garantire a tutti.

Nel suo contributo al libro, Roberto Vicaretti, riferendosi ad un’intervista fatta con Gino Strada per Rai News 24, un paio di giorni dopo la consegna davanti al parlamento svedese del Right Livelihood Award, il premio Nobel per la pace alternativo, ricorda: “La forza tranquilla delle sue parole, il tremore della mia voce e quel messaggio che, rispettosamente, semplificherei così: sono un medico, sono contro la guerra e faccio la mia parte. Ecco, quello era ed è il messaggio, quella era ed è la pratica pacifista: fare la propria parte, piccola o grande che sia, per costruire una società nuova, libera e giusta. Una società di pace”.

Una società di pace, dunque, che nasce da prese di posizione continue, oneste e aperte; prese di posizione che ci consentano di allenare lo sguardo, secondo una felice espressione di Elena Pasquini: “Allenare lo sguardo alla scuola di Gino Strada è già “il meglio che possiamo fare”, cambiando i termini di quella relazione con le persone e le società dei Paesi in guerra o che si definiscono “in via di sviluppo”. Da quello sguardo discende tanto”.

Allenare lo sguardo è una spinta e un suggerimento. “La miglior cosa che possiamo fare” non serve a chiudere la memoria di Gino Strada in un cerchio ristretto di ammiratori o adepti; restano le azioni compiute e quelle da compiere; resta lo stile da riconoscere e il linguaggio da onorare con prese di posizione chiare, nette.

La postfazione di Giuseppe Civati ci riporta al cuore di questa iniziativa editoriale: “People ha deciso di offrire, grazie alle sue autrici e ai suoi autori, un percorso attraverso le azioni, le prese di posizione e le parole di Strada. Quelle stesse parole, nitide e forti, che la politica non udiva. Troppo alte, per la Realpolitik, troppo laterali per le logiche di palazzo, troppo convinte, per gli eterni compromessi che attraversano il nostro dibattito pubblico”.

Antonio Fresa

La miglior cosa che possiamo fare
Con i contributi di
Giulio Cavalli, Giuseppe Civati, Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, Elena L.Pasquini, Nico Piro, Marco Vassalotti, Roberto Vicaretti
People, 2022
Pagine 144; € 12,00

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