
Il rapporto con la narrazione è vecchio quanto noi e si è trasformato altrettanto frequentemente nel corso dei secoli, assumendo tutte quelle forme che in uno specifico momento e per uno specifico racconto sono state ritenute adatte a delinearne tutti i tratti. Impossibile quindi non accostare le forme narrative della letteratura a quelle del giornalismo, se non altro perché parimenti difficili da definire in maniera rigorosa e precisa. Ma se la letteratura, genericamente intesa come collezione di opere narrative di finzione, è considerata come custode della memoria, può il giornalismo essere associato a questa stessa qualificazione? E ancora: se entrambe vengono considerate da un punto di vista sociologico attraverso cui si può chiarire o determinare il quadro umano, sociale e storico, possono essere riunite in un unico e ideale spazio?
A prescindere dalle risposte, che ancora oggi sono ragione di dibattito, resta indiscutibile che la differenza sostanziale tra letteratura e giornalismo risiede nel loro rapporto “sociale”: se la prima narra l'uomo e il mondo attraverso vicende e stati d'animo inquadrati in tempi e realtà alternativi o realistici, di cui l'autore si fa relatore più o meno partecipativo, il secondo racconta, o dovrebbe raccontare, eventi e fatti autentici della società nella quale si inserisce, senza alcun intervento personale, né interpretazione soggettiva.
I limiti di entrambi sono comunque ben evidenti: se da una parte il testo letterario resta assimilabile alla “finzione” pur avendo la prerogativa di avere destinatari lontani nel tempo e nello spazio rispetto al momento del racconto – il ragazzo del XXI secolo immerso nella lettura dell'Eneide virgiliana – dall'altra, l'articolo di giornale per quanto flagrante nella sua effettività e correttezza, si rivolge principalmente al presente e difficilmente verrà considerato in un tempo successivo, a meno di interessi sociali o politici di tipo documentario.
Ad ogni modo giornalismo e letteratura hanno spesso camminato vicini; basti pensare alle redazioni dei giornali di Francia e Inghilterra dei secoli passati, in cui accanto a cronisti di mestiere si sono seduti scrittori e letterati di chiara fama dello stampo di Jonathan Swift, Daniel Defoe, Charles Dickens o Emile Zola, George Sand, Balzac. Per tacere di quelle d'oltreoceano, dove la commistione è stata altrettanto fruttuosa ed interessante grazie ad autori come Jack London, Stephen Crane o Theodore Dreiser. E' proprio grazie a questi accostamenti ed influenze che l'informazione ha finito per impadronirsi delle abilità letterarie, nell'obiettivo di sviluppare una narrazione “altra” che potesse rendicontare pragmaticamente il mondo, coinvolgendo ed emozionando.
Il giornalismo narratorio cui per primo Tom Wolfe assegna una significazione oltre che un appellativo, afferma la propria personalità soprattutto nel XX secolo; a partire dal reportage di cui è figlio il New Journalism di Wolfe si avventura tra i moduli narrativi tipici del romanzo, ne riadatta i canoni per parlare del reale e non del realistico, attraverso un fondamentale lavoro di inchiesta con cui, insieme alla ricerca documentale e sul campo e l'alternanza di investigazione e intervista, costruisce un racconto attendibile.
Il fine è noto: come davanti ad un romanzo, lo scopo ultimo è che il lettore si trovi coinvolto, persino invischiato, e sicuro di leggere un documento originale e vero.
Tra le esperienze più interessanti e certamente innovative del giornalismo narrativo di questo XXI secolo, ci sono i Mooks. Contrazione delle parole Magazine e Book, i mooks hanno trovato ampio sviluppo nei paesi francofoni, spronati da un lato da reporter del passato come Albert Londres o Joseph Kessel e dall'altro da esperienze editoriali nazionali (L'Autre Journal, Actuel) o internazionali (New Yorker, Harper's, Esquire). Paesi come il Belgio e la Francia hanno sperimentato, spesso con successo, le possibilità del lungo racconto perseguendo sia la linea del Grand Réportage sia del Narrative Journalism d'oltreoceano con l'obiettivo di realizzare un formato di testo più articolato, costruito con la pazienza e l'accuratezza della ricerca e dell'approfondimento, per rendere giustizia ad una storia, alla sua verità e al suo lettore che vuole capirne tutti gli aspetti.
Su questa scia, Revue XXI, nata in Francia nel 2008 ha lanciato una vera e propria sfida, proponendo un giornalismo “d'altri tempi”, controcorrente rispetto alla prepotenza e alla presunzione di un mondo digitale multimediale per cui l'informazione è solo un momento, un attimo, che il lettore deve fagocitare senza masticare in attesa di un nuovo boccone, anch'esso senza sapore né consistenza. «Scommettere sull'intelligenza e l'insaziabile curiosità dei lettori»: questa la magnifica e azzardata sfida dell'editore Laurent Beccaria e dell'ex reporter del Figaro Patrick de Saint-Exupéry. Successo sorprendente che dalle 20.000 copie del primo numero è arrivato in breve alle 50.000. Un trimestrale formato A4, di 200 pagine, senza pubblicità, venduto esclusivamente nelle librerie ad un prezzo relativamente abbordabile (15,50 euro), destinato ad un pubblico che sembra avere più che mai bisogno «di carne», come ripete spesso Saint-Euxpéry, «per poter tornare alla vita».
La diversità straordinaria della rivista sta nella commistione di generi e di modi di raccontare. Le illustrazioni, le fotografie, il fumetto si alternano alla scrittura appassionata e appassionante dei giornalisti che, inviati speciali e indipendenti, attraversano il mondo per scoprirlo o leggerlo meglio, con la stessa curiosità, attenzione e cura del dettaglio di un entomologo davanti ad un insetto poco conosciuto. Il successo del format e la qualità editoriale è stata più volte premiata: Revue XXI ha infatti ricevuto il premio come “Creazione dell'Anno” da parte dell'Associazione delle riviste europee e due premi “Louis Hachette”, senza dimenticare il prestigioso “Premio Albert Londres” vinto nel 2009 da uno dei suoi giornalisti-reporter, l'allora ventottenne Sophie Bouillon.
Il format crea emuli: nello spazio di pochi anni nascono nuovi mook ispirati dal medesimo desiderio di raccontare per farsi leggere e di accomunare immagine, disegno e scrittura per approfondire e far comprendere nei termini più propri e precisi, le più varie fisionomie del mondo. Operazioni editoriali come Feuilleton, Schnok o La Revue Dessinée hanno in comune l'innovazione più importante attuata da Revue XXI, ovvero la combinazione di testo narrativo-documentario, di per sé particolarmente coinvolgente per stile, qualità e spessore, e di illustrazione che con le stesse finalità di una punteggiatura rimarca i punti salienti delle storie raccontate.
Una narrazione simile ad una discesa in apnea che con lentezza e concentrazione si assoggetta ad un mondo per natura diverso ma conoscibile, a condizione di essere disposti ad impararne con pazienza la lingua e ad ascoltane il linguaggio. Questo in sostanza è il messaggio di Revue XXI & Co. che per dirla con Saint-Exupéry, «abbandona la spuma della superficie per entrare nell'onda».
V. Ch.
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