
“Accadono cose immense, terribili, meravigliose, talmente vicine da segnare per sempre la nostra vita. Eppure, quando sono passate, ci accorgiamo che ci hanno soltanto sfiorato, e dobbiamo accontentarci di immaginarle, come se non fossero accadute affatto.” (Sandro Veronesi, Gli Sfiorati)
Il regista Matteo Rovere, nelle sale italiane a partire dal 2 marzo 2012 con il suo secondo lungometraggio Gli Sfiorati – tratto dall'omonimo romanzo di Sandro Veronesi uscito per Mondadori nel 1990 – così spiega nelle note di regia: “Gli Sfiorati sono una categoria umana e dello spirito, che nel film Mète e Bruno scoprono in modo quasi scientifico, ma che probabilmente è sempre esistita. E forse siamo tutti un po' sfiorati, con le persone e con le cose che ci capitano, pronti a riconoscerlo almeno per un istante, o forse addirittura bisognosi di tenere viva questa luce, questa capacità di stupirsi, di renderci imprevedibili anche a noi stessi: esistono secondi, ore, a volte intere giornate, che nella vita contano più di altre. Il film racconta la settimana che, nella vita di Mète, ha contato e conterà più di ogni altra. È così per tutti, come capita a lui: la vita scorre tra un evento e l'altro, e ogni tanto qualcosa ci sbatte addosso improvvisa, sconvolgente, lasciandoci senza fiato.”
La storia di Mète (Andrea Bosca) e Belinda (Miriam Giovanelli) – attorniata da altri personaggi affatto secondari o marginali – è in fondo la più classica delle storie: quella di un amore impossibile. Non hanno nulla in comune, tranne il loro padre e la condizione di essere degli Sfiorati. Appartengono a due mondi diversi, vivono in città diverse, sono nati da madri diverse, ma si troveranno a condividere lo stesso tetto durante la settimana che precede il matrimonio dei loro genitori.
Uno dei temi centrali del film, oltre a quello della sfioratezza, è quello dell'appartenenza, in una città – molto più di un semplice sfondo – che è Roma: la città per antonomasia cui tutti sentono di appartenere, ma che da nessuno si lascia appartenere; e non poteva esserci scelta più emblematica e significativa di questa di voler rendere una Roma sullo schermo quasi come un carattere, inquadrata spesso dal basso verso l'altro (e raramente il contrario), proprio a restituirne questa visione individuale che ognuno ne ha, questo desiderio di volerne sfiorare ogni angolo con lo sguardo senza poterlo realmente possedere.
Belinda, prima ancora che personaggio in carne ed ossa, è l'ossessione dello sguardo – a partire dalle prime scene in cui appare sullo schermo, vivace, in movimento, irraggiungibile, distante – uno sguardo che di rimando, il suo, sembra non essere capace di soffermarsi su niente – se non su particolari che per altri potrebbero essere del tutto irrilevanti – incapace di trattenersi e di trattenere qualcosa.
Belinda è anche il simbolo e l'incarnazione tipica della condizione – di questa nuova condizione – quella degli Sfiorati appunto – su cui il grafologo Bruno (bravissimo, come sempre, Claudio Santamaria) ha iniziato a teorizzare e ad enunciare al collega Mète – condizione di chi lascia che la vita lo sfiori soltanto ma – senza minimamente darlo a vedere – rimanendone comunque “toccato”, a sua stessa insaputa. E' la condizione di chi vive molto ma senza esserne consapevole, incapace di essere presente alle proprie emozioni, di mettersi in contatto, di ricollegarsi, nel momento esatto in cui le cose accadono, al nucleo profondo del proprio io; incapace di cogliere, o di anticipare, se vogliamo, gli effetti e le conseguenze che un evento produrrà sul resto della sua esistenza. E non è una condizione che appartiene solo ai giovani, in qualche modo giustificati dall'essere ancora non del tutto consapevoli, in limine da uno stato all'altro del loro esistere, ma è una condizione che chiunque di noi si trova a sperimentare nel momento in cui si trova a subire la vita e lascia, pur senza rendersene conto, che essa, impercettibilmente, lo trasformi.
Perché talvolta accade che anche l'evento più terribile o meraviglioso ci sfiori soltanto? In parte per l'incapacità di coglierne la reale portata sul momento, ma in parte anche per la distanza che si frappone tra il nostro agire, il nostro muoverci nel mondo e la capacità di riuscire poi ad elaborare le emozioni da cui i nostri gesti sono mossi o dalle quali scaturiscono.
I personaggi de Gli Sfiorati mi hanno fatto tornare in mente, seppure per alcune considerazioni ed associazioni trasversali, un altro grandissimo personaggio, anche se letterario, che è Mersault, il protagonista de Lo Straniero di Albert Camus: Mersault è infatti non solo straniero rispetto alla società e realtà che lo circonda, ma anche straniero rispetto a se stesso, rispetto alla capacità gestionale delle proprie emozioni.
Così Mète, Belinda, il padre Sergio, l'amico Damiano, Beatrice Plana (personaggio immerso in una drammatica solitudine interiore per quanto sempre attorniato da tante persone – e sintomatico che di professione svolga proprio quella di P.R. – tratteggiato con pochi elementi ma riuscito e ben interpretato da Asia Argento) sono tutte persone in qualche modo distanti da loro stessi seppure immersi a pieno ritmo nel caos della vita; dentro al caos ma solo sfiorati, seppure, a loro insaputa, pazienti di mutevoli e continui cambiamenti. Ed è sintomatico che sia proprio un grafologo – colui che interpreta i segni grafici – ad osservare per primo queste lievi, quasi impercettibili, cambi di scrittura in una stessa persona, anche a distanza di pochi tratti, come se un evento, anche un semplice soffio di vento fosse intercorso tra un momento e l'altro ed avesse mutato la percezione ed il sentire di chi scrive; mutamento apparentemente invisibile, ma tracciabile ed identificabile lì, nei segni sulla carta.
Tra Mète e Belinda accadrà qualcosa di immenso, di straordinario, di meraviglioso (nel senso proprio di evento che esce fuori dall'ordinario) eppure entrambi – se non per quel brevissimo istante catturato dalla telecamera in cui i loro sguardi si fermano, si fissano, quasi a voler interrompere l'evento in corso (a mio avviso uno dei più toccanti e significativi del film!) – si convinceranno che “non è successo niente” e, dopo essersi sfiorati per un momento, riprenderanno le loro vite, torneranno alle loro vite, come se nulla fosse successo.
Per il personaggio di Belinda, interpretato da una giovane e sensualissima Miriam Giovanelli, il regista ha affermato di essersi voluto ispirare al personaggio femminile de La Collezionista di Eric Rohmer e ci sono in effetti alcuni elementi in comune: il loro muoversi dentro le quattro mura di una casa, farsi presenza costante, apparentemente innocua, eppure motrice di cambiamenti interiori e conduttrice di un gioco di seduzione quasi inconsapevole.
In alcune scene – in particolar modo quelle in cui è inquadrata dall'alto, adagiata su lenzuola rosse – a me Belinda ha ricordato piuttosto la lolita bionda di American Beauty distesa su un letto di rose rosse (o immersa in una vasca di rose rosse), sogno conturbante e proibito di Lester/Kevin Spacey, ma a volte i riferimenti e gli omaggi possono esser tali solo nell'occhio di chi guarda – in questo caso della sottoscritta/spettatrice – quindi prendiamo per buona la volontà di Matteo Rovere di aver voluto mantenere, come riferimento, l'Haidée di uno de I Sei Racconti Morali di Rohmer.
Nel complesso Gli Sfiorati rimane una pellicola dalle interessanti e profonde potenzialità di lettura – e la precisa scelta registica è stata proprio quella di voler realizzare un film leggero, ma non superficiale – ma molto godibile, seppure, a mio avviso, non sempre all'altezza di esprimere attraverso le immagini quello che rimane, quindi, solo a livello di intenzione. Forse qualche dialogo con un pochino più di spessore avrebbe aggiunto qualcosa, senza per questo danneggiare la scelta di voler comunque rimanere fedeli ad un'idea di leggerezza.
Rita Ciatti
Scheda del film
Genere: drammatico
Titolo: Gli Sfiorati
Produzione: Domenico Procacci per Fandango
Durata: 111′
Regia: Matteo Rovere
Interpreti: Andrea Bosca, Miriam Giovanelli, Claudio Santamaria, Asia Argento, Michele Riondino, Massimo Popolizio
Sceneggiatura: Laura Paolucci, Francesco Piccolo, Matteo Rovere
Montaggio: Giogiò Franchini
Direttore della Fotografia: Vladan Radovic
Musiche: Andrea Farri
Costumi: Monica Celeste
Scenografia: Alessandro Vannucci
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