
L'arrivo del Governo Draghi dopo la crisi di quello Conte necessita, a nostro giudizio, un approfondimento “costituzionale” per comprenderne meglio la sostanza della sua nascita. Per farlo abbiamo ancora una volta raggiunto “virtualmente” la professoressa Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale nell'Università di Torino, che studia da sempre i temi dei diritti fondamentali e delle forme di partecipazione politica e di democrazia.

Tra i suoi molti scritti: “L'ambigua universalità dei diritti. Diritti occidentali o diritti della persona umana? (Napoli, 2005), “Democrazia, rappresentanza, partecipazione. Il caso del movimento No Tav” (Napoli, 2011), “Diritto proteiforme e conflitto sul diritto” (Torino, 2018).
Lo scorso anno abbiamo avuto modo di esplicitare tutte le perplessità relative al Referendum sul taglio dei parlamentari. Cosa si aspetta dal legislatore, e non solo, per attenuare le limitazioni che ne deriveranno al principio di sovranità popolare attraverso una riduzione di fatto della rappresentanza? Basterà una nuova legge elettorale e di che tipo? E la nuova base non più regionale per l'elezione al Senato?
Dovranno essere adottate modifiche che tentino di riequilibrare la deminutio in termini di rappresentanza, incidendo su vari fronti, a partire dai regolamenti parlamentari. L'intervento senza dubbio più significativo è quello che concerne la legge elettorale. Occorre superare il sistema attualmente in vigore, il cd. Rosatellum (legge n. 265/201), ma anche modelli in discussione come il c.d. Brescellum, e adottare un sistema elettorale proporzionale puro, senza soglie di sbarramento e senza premi di maggioranza che ne distorcano gli esiti trasformando la formula proporzionale in sistema ad effetti maggioritari. Solo con un sistema elettorale proporzionale puro si favorisce l'effetto “specchio della realtà” e si tutela la rappresentanza del pluralismo e dei conflitti che attraversano la società, restituendo al contempo al Parlamento la sua natura di luogo di discussione e confronto.
Nell'anno appena trascorso il governo Conte ha fatto costantemente uso dei cosiddetti DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri). L'emergenza sanitaria, sociale ed economica ne ha motivato l'utilizzo ma in più di un'occasione si è parlato di un eccessivo accentramento nelle mani dell'esecutivo anche perché si è finiti con limitare l'esercizio di diritti costituzionali. Qual è il suo giudizio?
Senza dubbio possiamo ragionare di un utilizzo sproporzionato nel ricorso ai dpcm, che si inserisce in un processo di verticalizzazione del potere e di “amministrativizzazione dell'emergenza”. La fonte che la Costituzione predispone per affrontare un'emergenza è il decreto legge (art. 77 Cost.): a tale fonte il Governo avrebbe dovuto ricorrere nell'immediato. Divenuta quindi l'emergenza, purtroppo, non più straordinaria ma ordinaria, la fonte avrebbe dovuto essere la legge. Si è assistito invece ad uno slittamento delle fonti: al posto della legge il decreto legge e al posto del decreto legge il dpcm. Si tenga anche presente che in materia di limitazione di diritti costituzionalmente garantiti vige la riserva di legge, donde la necessità che le restrizioni siano contemplate (quantomeno) in un decreto legge. Formalmente, a parte il decreto legge n. 6 del 2020 che conteneva una “delega in bianco”, a partire dal decreto legge n. 19 del 2020 così è stato, ma, sostanzialmente, la determinazione delle singole misure è stata rimessa ai dpcm, con una violazione, per così dire, sostanziale, della riserva di legge.
Rimaniamo sul tema dei poteri dell'esecutivo, ma proviamo ad allargare il campo. Lei è una delle autrici del testo Lezioni di diritto costituzionale comparato: potrebbe aiutarci a capire se, come sostiene Saskia Sassen, la maggiore complessità dell'economia e del suo carattere sempre più tecnico “sono fattori determinanti nella redistribuzione di potere all'interno dello stato”, in particolare a favore dell'esecutivo? Hanno concorso altri fattori?
Senza dubbio il processo di presidenzializzazione della politica, l'insistenza sulla governabilità, sull'efficienza, sono strettamente correlate alle esigenze dell'economia di interfacciarsi con un “decisore”. Non a caso, si assiste ad una progressiva concentrazione di potere nelle mani degli esecutivi, e del loro vertice monocratico, in moltissimi Paesi; e, non a caso, in un Report della J. P. Morgan del 2013 si lamenta la debolezza degli esecutivi dei Paesi del Sud Europa…
Veniamo al nuovo governo Draghi. Nasce dopo le dimissioni di Conte, mai sfiduciato, e dopo le consultazioni fallite del Presidente della Camera Roberto Fico. Il ruolo nella gestione della crisi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato determinante. Tutto nella norma e prassi costituzionale? Ha semplicemente esercitato, come recita l'articolo 92 della Costituzione, il potere di nominare il presidente del Consiglio?
Solo una battuta: non vi è stata alcuna violazione della lettera della Costituzione, ma, senza dubbio – e non solo con l'episodio che lei cita –, assistiamo ad uno stravolgimento della Costituzione, del quale elemento essenziale è il progressivo esautoramento del Parlamento.
La maggior parte dei commentatori politici e degli osservatori ha giudicato positivamente la nascita del Governo Draghi. Secondo lei quale direzione prenderà il Governo Draghi, nel senso di politiche sociali, economiche, ambientali e di tutela dei diritti delle minoranze e dei più deboli? Una maggioranza così ampia può garantire un'attenzione migliore dei precedenti governi? O al contrario la mancanza di confronto serrato e persino uno scontro politico, sale della democrazia, può farci fare dei passi indietro?
In primo luogo una premessa: è ovvio che a fronte della necessità di combattere l'epidemia, di fronteggiare la crisi economica e sociale, le forze politiche debbano agire con «senso di responsabilità». Tuttavia, non si può non considerare come la configurazione della «responsabilità nazionale» come “dovere di unità”, veicoli una negazione del conflitto (in primis, sociale), contraddica l'essenza della democrazia, che risiede nel pluralismo, e si presti a mortificare ulteriormente il Parlamento, privo di dialettica fra maggioranza e opposizione.
La convergenza si realizza attorno ad una prospettiva, nel senso di una ristrutturazione delle forze egemoni, nel contesto di partiti sempre più ancillari rispetto alla razionalità economica. Le linee che traspaiono sono quelle delineate, già prima della pandemia, in sede di Unione europea e l'agenda è dettata dalla pressione delle lobbies: l'innovazione tecnologica, la digitalizzazione e il Green Deal. Soggetto, e oggetto, della “ripresa” sono gli investimenti e le imprese competitivi, senza che si profili, ad esempio, spazio per un ruolo da protagonista per lo Stato, relegato a predisporre le condizioni e a supportare il mercato. Pare, cioè, profilarsi, se pur con l'adozione di politiche, per il momento, espansive, un governo dalla forte connotazione neoliberista, dove il “green” è sinonimo semplicemente di un riassestamento del mercato, senza avere quella forza di cambiamento che può derivare solo dalla sua congiunzione con la giustizia sociale [1].
Prima di lasciarla le chiederei quali sono i suoi interessi e gli studi in questi ultimi tempi.
Al momento sto studiando i provvedimenti adottati per fronteggiare l'emergenza sanitaria e la crisi economica, la direzione che si vuole imprimere alla “ripresa”, con attenzione al dettato costituzionale, per verificare se, e quanto, sia ascoltata la voce della Costituzione. Contemporaneamente mi sto occupando della questione della violazione dei diritti dei migranti compiuti in relazione alla rotta balcanica.
Pasquale Esposito
Sul governo Draghi rinviamo il lettore per un maggior approfondimento ad un suo recente articolo su Volere la Luna.
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