
Il governo presieduto da Giorgia Meloni, fin dalla sua formazione, si è ispirato ad un certo attivismo figlio della politica del «fare», a tutti i costit, che l'ha portato in un crescendo abbastanza disordinato ad emanare leggi e provvedimenti un po' alla cieca. Valga per tutti, come esempio, quello sulla regolamentazione dei «rave party».
Ultimamente si è dovuto impegnare sullo spinoso problema dei fondi del PNRR che non si riescono a spendere perché, o non ci sono progetti per essere finanziati oppure quelli già in possesso della loro dotazione economica rischiano di non essere completati entro il 2026. Insomma anche qui grande confusione, tanto da imputare la colpa di questi ritardi non alla pessima organizzazione quanto al fatto che i rappresentanti italiani erano riusciti a farsi riconoscere un importo troppo elevato rispetto a quella tipologia di interventi.
Ora che il governo è riuscito a mettere la sordina all'argomento, può accendere i riflettori sulla materia che più di ogni altra sta a cuore alla presidente del Consiglio e, in generale, alla destra. La riforma istituzionale o, meglio, la riforma della Costituzione in senso presidenziale. Argomento certamente non nuovo del panorama politico italiano che si ripresenta con una certa regolarità.
Fratelli d'Italia lo ha proposto nel suo programma elettorale dopo quasi dieci anni di tentativi, tutti naufragati, di trasformare l'Italia in una Repubblica presidenziale, l'unico sistema, dal loro punto di vista, di far uscire la Nazione dalle sabbie mobili di un parlamentarismo inconcludente e di governi estremamente fragili nella loro durata.
Dopo aver accantonato, per il momento almeno, la proposta del ministro per le Riforme Elisabetta Casellati di creare una bicamerale per approfondire le questioni, giudicata strumento macchinoso, dai tempi troppo lunghi e dagli esiti incerti, la presidente del Consiglio ha optato per un più snello tavolo di trattativa con i leader dei partiti di opposizione per sondare il terreno e capire meglio chi è più o meno favorevole alla sua proposta e chi non lo è per nulla.
Infatti questo democratico ascolto delle posizioni delle opposizioni non è altro che un teatrino per salvare le forme in quanto Giorgia Meloni ha tenuto a sottolineare: «nessuna preclusione nel proseguire ed allargare il confronto, ma non possiamo permetterci di perdere anche questa occasione di solidità, almeno per ora, della maggioranza e di orizzonte stabile per varare finalmente una riforma che consenta di immaginare progetti di lungo periodo e risponda così a ciò che i cittadini vogliono»[1]. In queste poche righe c'è tutto il pensiero della Meloni, del suo partito e della destra che si sente finalmente vicino al traguardo. È come dire – parliamo con tutti, ma comunque piaccia o meno questa riforma istituzionale la faremo.
Ma le cose non sono così immediate per quanto la Meloni goda di una numericamente solida maggioranza in Parlamento. Intanto non è un dettaglio sottolineare che ogni riforma di natura costituzionale debba seguire un iter che non ammette deroghe come previsto dall'articolo 138 della Costituzione stessa (Sezione II Revisione della Costituzione. Leggi costituzionali). I tempi non sono certo brevi ma non si possono aggirare le norme.
Poi, ci sono le soluzioni da adottare: quale dovrebbe essere la forma che segnerebbe eventualmente il passaggio dalla Repubblica parlamentare quale è attualmente il nostro sistema? Repubblica presidenziale, semi presidenziale o un c.d. «premierato» con elezione diretta del presidente del Consiglio sulla falsa riga di quanto avviene per l'elezione del sindaco?
In una Repubblica presidenziale, avviene l'elezione diretta da parte del popolo del Presidente che riassume nella sua carica anche quella di capo del governo, cioè del potere esecutivo, che viene da lui nominato svincolandolo dalla fiducia del Parlamento. Questa formula sarebbe lo sconquasso totale della nostra Carta che invece prevede una rigida equidistanza fra i tre Poteri istituzionali. Inoltre in un sol colpo verrebbe ridisegnata la figura del Presidente che si configura come un potere neutro, posto dai Costituenti al di fuori della tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) garantendogli un compito di rappresentanza e sorveglianza dell'intero sistema politico. Poi va ricordato che nei vari quadri istituzionali europei nessun Paese ha adottato il presidenzialismo come forma di governo con la sola eccezione di Cipro.
Nel sistema semi presidenziale invece, il presidente del Consiglio sempre di nomina del presidente della Repubblica, necessita assieme al suo esecutivo della fiducia del Parlamento.
La possibile terza ipotesi è quella del «premierato», che si differenzia nella forma attuale di procedura elettiva che necessita della «fiducia» che il primo ministro deve ottenere dal Parlamento. Il «premierato» invece permette di rompere questa rigidità procedurale perché può fare riferimento a situazioni diverse tra loro. Lo spiega il professore di diritto costituzionale presso l'università di Perugia, Mauro Volpi:
«Da un lato il premierato può definire un sistema in cui il presidente del Consiglio ha più poteri rispetto al nostro, per esempio quello di revocare i ministri, rimanendo comunque legato ad un rapporto di fiducia con il Parlamento. Dall'altro lato può definire un sistema in cui il presidente del Consiglio viene eletto direttamente dal popolo, annullando la necessità di un rapporto di fiducia parlamentare»[2].
Anche in questo caso, bisogna dire che nel mondo l'unico esperimento di premierato inteso come elezione diretta del presidente del Consiglio si è verificato in Israele che poi lo ha abolito definitivamente nel 2002.
A supporto della possibile opzione per il «premierato», il governo Meloni ha anche manifestato l'interesse all'introduzione della formula della «sfiducia costruttiva» che consiste nella impossibilità del Parlamento di sfiduciare il governo in carica se non prima di aver concesso la fiducia al nuovo esecutivo. Questo strumento rafforzativo del potere esecutivo, suscita tra gli esperti una certa preoccupazione. Si tratta di un sistema, spiega il professore Michele Della Morte titolare della cattedra di diritto costituzionale presso l'università del Molise
«tipico in alcuni regimi parlamentari, Germania in primis, ma che in Italia rischierebbe di produrre una concentrazione di potere abnorme in capo al futuro presidente direttamente eletto, determinando una progressiva marginalizzazione del ruolo del Parlamento»[3].
Comunque le posizioni assunte dai partiti di opposizione nelle consultazioni avute con la presidente Meloni, hanno sostanzialmente indicato scetticismo o rifiuto delle proposte di modifica istituzionale, registrando il secco no da Conte alla Schlein sia su presidenzialismo che premierato, sottolineando invece le reali priorità di questo Paese. Ma mentre le risposte delle opposizioni non erano inaspettate, la pressione maggiore sul governo sembra essere stata portata proprio dall'alleato Lega che non sopporta un probabile stravolgimento del patto di alleanza siglato con Fratelli d'Italia dove si concordava una trasformazione in senso presidenziale della forma di governo, ora messa all'angolo da un più proponibile ricorso al «premierato». Scollamento questo che poco interessa in verità alla Lega, preoccupata solo della conseguente dilatazione dei tempi per l'approvazione della autonomia differenziata, loro cavallo di battaglia al quale non intendono rinunciare.
Siamo ancora alle prime battute di questa lunga trattativa, ma deve rimanere chiaro il concetto che qualunque proposta potrà venire adottata, questa cambierebbe l'assetto del Paese e pertanto non può essere solo esaminata in astratto senza considerare gli effetti che avrebbe. E proprio su questo punto il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky ci invita ad una profonda riflessione affermando:
«A me pare che i presidenzialismi stiano dando pessima prova anche in Francia e negli Stati Uniti. E non è certo una soluzione per il nostro Paese. Ci lamentiamo dell'odio sociale che pervade la società italiana. Il presidenzialismo, fondato sulla spaccatura del corpo elettorale in due fronti avversi, sembra fatto apposta per esaltare l'aspetto distruttivo. Una riforma costituzionale in questa direzione potrebbe alimentare un humus pericoloso» [4].
Infine bisogna anche dire che esiste un problema che potremmo definire sostanziale che riguarda l'investitura. «Se Giorgia Meloni vuole diventare premier eletta direttamente non può essere lei o il suo partito a proporlo. Solo Napoleone si incoronò da solo, ma prima aveva conquistato mezzo mondo, e anche così non gli andò troppo bene»[5].
Stefano Ferrarese
[1] Maria Pia Mazza, Riforme, Meloni chiude le consultazioni: «Dalle opposizioni apertura sull'elezione diretta del premier: ne terremo conto», 9 maggio 2023
[2] Davide Leo e Federico Gonzato, https://pagellapolitica.it/articoli/premierato-governo-meloni, 8 maggio 2023
[3] Davide Maria De Luca, https://www.editorialedomani.it/politica/giorgia-meloni-riforma-presidenzialismo-costituzione-pwtnvtz1, 10 maggio 2023
[4] Gustavo Zagrebelsky: “Il presidenzialismo non è una soluzione. Esalta l'aspetto distruttivo della società italiana”, 6 maggio 2023
[5] Francesco Sisci, https://formiche.net/2023/05/governo-meloni-costituzione-presidenzialismo/, 8 maggio 2023
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