
Nei giorni dell'anniversario dell'arresto e incarcerazione di Antonio Gramsci per mano fascista nel 1926, ma anche alla vigilia delle celebrazioni del centenario dalla fondazione a Livorno del Partito comunista italiano (all'inizio Partito comunista d'Italia – PCd'I), il nuovo lavoro della professoressa Noemi Ghetti, “Gramsci e le donne. Gli affetti, gli amori, le idee”, per Donzelli editore, costituisce una lettura estremamente interessante, sorprendente ma soprattutto necessaria.
Già il titolo rivela il contributo assolutamente indispensabile nell'ambito del pensiero Gramsciano, “la questione femminile”. Assolutamente fondante e imprescindibile nell'ambito dell'unità di tutte le coscienze più sane: operai, contadini, intellettuali, nella direzione di un orizzonte di uguaglianza e giustizia sociale e nel nome della emancipazione di tutti gli esseri umani.
Ne parliamo con l'autrice, docente, saggista e studiosa
Professoressa Ghetti, innanzitutto la classica domanda che si rivolge in questi casi. Da dove e quando nasce l'idea di questo suo nuovo lavoro.
Il libro mi è stato proposto dall'editore Donzelli un anno fa, a seguito della pubblicazione, nella rivista brasiliana «Praxis e Hegemonia popular», di un mio saggio sul rapporto di Gramsci con le donne nella nativa Sardegna e nel periodo torinese. Ma il tema costituisce uno dei motivi di fondo anche nei due precedenti lavori, «Gramsci nel cieco carcere degli eretici» (L'Asino d'oro edizioni, 2014) sulla nota dantesca dei «Quaderni del carcere», e «La cartolina di Gramsci. Mosca, tra politica e amori, 1922-1924» (Donzelli, 2016).
Occuparsi di Gramsci senza parlare di donne è pressoché impossibile: il numero di gran lunga maggiore delle sue lettere ha per destinataria a una donna.
Leggendo le circa duecento pagine, si rimane colpiti soprattutto da quanto emerge circa il contrasto tra l'idea di assoluta, “naturale” eguaglianza che Gramsci poneva nella questione femminile, da lui detta “quistione sessuale”, e la drammatica realtà dell'epoca, in cui invece il patriarcato era largamente predominante e indiscutibile e violento. Anche, ahinoi, tra alcuni dei principali esponenti socialisti e comunisti. La donna era relegata tragicamente a ruoli di enorme emarginazione. Cosa significò in questo contesto l'irruzione della idea che Gramsci aveva circa la definitiva emarginazione femminile e di quanto questa fosse ineluttabilmente destinata a legarsi a quella della emarginazione dei lavoratori tutti?
L'idea della inferiorità della donna rispetto al maschio della specie ha radici millenarie, ed è codificata da Platone (soprattutto nei dialoghi Simposio e Fedro) e dal cristianesimo, da San Paolo e Sant'Agostino a San Tommaso. Lo sguardo lucido e anaffettivo della coscienza, limitato all'aspetto fisico, registra la diversità sessuale, e impedisce di cogliere l'uguaglianza della realtà umana, ponendo nell'interpretazione del rapporto uomo-donna le basi per ogni successivo razzismo. Il principio razionale di non contraddizione esclude che si possa conciliare la diversità con l'uguaglianza. E se non si è ritenuti uguali, si è inevitabilmente inferiori o superiori. Solo uno sguardo che non escluda sensibilità e fantasia consente di cogliere l'uguaglianza nella diversità: un paradosso dal punto di vista logico, che è la verità dal punto di vista umano. Come nel 1971 ha dimostrato la teoria della nascita di Massimo Fagioli in Istinto di morte e conoscenza, siamo tutti uguali in virtù dell'identica dinamica dell'insorgere della realtà mentale alla nascita, in virtù della reazione della sostanza cerebrale allo stimolo della luce sulla rètina. La verità dell'espressione popolare «venire alla luce» è confermata da questa storica scoperta, scientificamente comprovata, a cui Gramsci per via intuitiva si avvicina più volte nei suoi scritti parlando dei neonati. E soprattutto rifiutando che esista ciò che religione e filosofia definiscono l'«inconoscibile», ovvero il trascendente e il divino, in questo senso rifacendosi all'umanesimo del giovane Marx e alla critica della religione del filosofo della sinistra hegeliana Feuerbach.
Il sentimento dell'assoluta uguaglianza per nascita di tutti gli esseri umani, a prescindere dal colore della pelle e dal sesso, che in Gramsci è una spontanea certezza, è assolutamente raro in una cultura in cui il patriarcato, dominante nella storia da sempre, è purtroppo sopravvissuto, come il mio libro racconta, anche nel socialismo e nel comunismo, per arrivare fino a noi. L'originalità di Gramsci rispetto alle rivendicazioni del femminismo borghese, ma anche del marxismo-leninismo, che si limitava a pretendere l'emancipazione giuridica ed economica, consiste nel teorizzare l'esigenza della «formazione di una nuova personalità femminile», il diritto delle donne a realizzare le proprie esigenze ed aspirazioni, a prescindere dal ruolo di madri e custodi della casa a cui sono storicamente condannate. Una proposizione che rimane tuttora rivoluzionaria.

In tutta la sua vita, purtroppo breve e segnata dalla malattia e dal carcere, Gramsci fu circondato da donne. Innanzitutto, quelle di casa nel periodo della sua giovinezza a Ghilarza: la mamma, le amate sorelle Teresa ed Emma. Poi ci furono le compagne, di idee e di vita, ovviamente si fa continuo riferimento alle tre sorelle Schucht, Eugenia, Tatiana e Giulia. Da queste fu addirittura per lungo tempo conteso, ed ebbe poi due figli da Giulia. Quanto e in che maniera, secondo lei, tutte queste figure femminili hanno influito sulla formazione dell'uomo?
Ammalato dalla primissima infanzia di tubercolosi ossea, malattia allora sconosciuta, cresciuto in una casa in cui la presenza femminile era predominante, per la sua infermità Nino – così era chiamato in famiglia – fu sempre oggetto di speciale attenzione. Ciò gli permise di osservare da vicino la subalternità femminile, che si realizzava in un destino di accudimento e assistenza, a cui si ribellò sempre. La madre, a cui peraltro deve tantissimo nella prima formazione, conservò fino alla sua maggiore età, la bara bianca e il vestitino predisposti quando all'età di quattro anni ebbe una crisi gravissima. Dalle sorelle e dalla nipotina Edmea, al primo amore Pia Carena e alle compagne di lotta del biennio rosso torinese, Camilla Ravera, Rita Montagnana, Teresa Noce, che furono tutte partigiane e madri costituenti, mai cessò di spronare le donne allo sviluppo dell'identità personale, coinvolgendole nelle proprie ricerche. Con le grandi rivoluzionarie internazionali, Clara Zetkin, Rosa Luxemburg, Inessa Armand e Aleksandra Kollontaj – presto deluse dai drammatici sviluppi della Rivoluzione d'ottobre – mostra una vicinanza, se si confrontano i loro scritti, che non si trova in nessun altro politico comunista. Per la ricostruzione del complicatissimo rapporto con le sorelle Schucht, figlie di uno storico amico di Lenin e tutte e tre diplomate a Roma, che incontrò a partire dalla sua permanenza a Mosca nel 1922, rinvio alla lettura del libro. Mi preme comunque sottolineare che con le donne con cui intrecciò una relazione sentimentale, e specialmente con Giulia, Gramsci ebbe un rapporto diverso, teso a valorizzare le attitudini personali di ognuna, anche al di là dei doveri della militanza politica, che spesso ne richiedevano il sacrificio.
Attraverso la sua minuziosa ricostruzione, lei dunque narra un “altro” Gramsci, che forse abbiamo avuto un po' tutti la colpa di considerare poco, vedendolo esclusivamente con l'occhio storico e interpretandolo come autorevole intellettuale e guida politica. Può accennare invece al senso di grande tenerezza che sprigionava: quella del figlio, del fratello, del compagno innamorato, ostinato, disilluso.
Direi che la ragione è da cercare nella ideologia dominante nel PCI del dopoguerra, quando iniziò la pubblicazione a lento rilascio degli scritti di Gramsci, iniziata nel 1947 con la selezione di lettere che vinse il premio Viareggio e continuata con l'edizione tematica dei «Quaderni del carcere», volta ad edificare di Gramsci l'icona di intellettuale e di martire. Un occhio autenticamente storico invece, come quello che ebbe Gramsci, dovrebbe implicare la considerazione della componente femminile della società. Ci sono voluti cinquanta anni, ad esempio, perché l'imponente carteggio completo di Gramsci con Tatiana Schucht degli anni del carcere fosse pubblicato. Le lettere di Tatiana, intermediaria tra il prigioniero e l'esterno, come il Partito comunista italiano e il Governo dell'Unione sovietica, rimasero nelle mani di Togliatti fino alla sua morte nel 1964, e videro la luce solo nel 1997. L'immagine integrale di Gramsci, grande pensatore, dirigente comunista e uomo a tutto tondo nella vita personale, che oggi finalmente abbiamo, fa di lui un punto di riferimento in tutto il mondo, dove esista l'oppressione e lo sfruttamento.

Tornando nell'ambito della storia delle idee, a suo giudizio si può porre Gramsci, anche se non direttamente, tra i promotori del movimento femminista, almeno quello che abbiamo avuto in Italia? E quanto del pensiero gramsciano, secondo lei, ci fu in quel movimento?
Negli 1976 Adele Cambria pubblicò «Amore come rivoluzione. Tre sorelle per un rivoluzionario: le lettere inedite della moglie e delle cognate di Antonio Gramsci», che l'autrice considerava «la risposta femminista alle Lettere dal carcere». Un saggio a suo modo emblematico della dialettica tra femminismo e ortodossia comunista di quegli anni. Gramsci, che pure ebbe convergenze con le grandi protagoniste dell'emancipazione femminile socialista e comunista che lottava a fianco dell'emancipazione operaia, non sempre è stato apprezzato dal punto di vista femminista per l'apparente paternalismo di certe sue posizioni. Ad esempio, per l'asprezza con cui rifiuta l'assistenzialismo di Tatiana quando è in carcere, a fronte della leggerezza con cui gestisce senza interpellarlo le questioni cruciali che riguardano la sua eventuale liberazione. Gramsci non fu certo un femminista, ma personalmente sono convinta che in quei rifiuti ci sia la pretesa da pari a pari che le donne debbano e possano ribellarsi al destino loro assegnato dalla cultura patriarcale, con un disegno ideale di non contrapposizione e separatezza, quanto piuttosto di complementarietà, di fusione tra il politico e il personale, tra il pubblico e il privato, tra l'individuale e il collettivo. Dal decennio di intenso rapporto con Antonio, Tatiana esce indubbiamente trasformata in una donna diversa, capace di assumere alla sua morte una serie di iniziative decisive anche per la messa in sicurezza dei Quaderni.
Tuttavia oggi purtroppo dobbiamo ancora parlare di una “questione femminile” largamente irrisolta, della presenza di una diffusa subalternità delle donne. Il pensiero di Gramsci sulla “questione” dunque, non solo fu all'avanguardia negli anni '20 del secolo scorso, ma risulta essere ancora oggi di inevitabile attualità. Secondo la sua opinione, esiste in questa fase storica un contesto politico per riprendere tutte le lotte, quindi anche quelle per l'emancipazione femminile, e veicolarle all'interno di un grande movimento di tipo “gramsciano”?
Se è vero che i grandi movimenti di rinnovamento nascono nel cuore delle grandi crisi, e che quella odierna evoca per molti aspetti la crisi di un secolo fa, dobbiamo lottare perché non si ripeta quanto accadde con l'ascesa del fascismo. Le grandi rivoluzioni del primo ventennio del Novecento, la storia insegna, ebbero inizio con manifestazioni femminili spontanee per il pane e per la pace. Le donne in particolare, che sono le più penalizzate dall'attuale emergenza pandemica, sono chiamate a reagire, partecipando in primo luogo alla lotta per una nuova egemonia culturale contro il neoliberismo, il razzismo, i sovranismi, i populismi. Una rivoluzione che sia senza armi, innanzitutto del pensiero e della parola.
Cristiano Roccheggiani
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