
Era da giorni che da una parte e dall’altra si intensificano i riferimenti all’uso di armi nucleari come se non fossero parole e atti pesanti, di per sé distruttivi. In questi mesi evidentemente la guerra e la follia delle armi nucleari non sono state contrastate da attività diplomatiche volte ad un cessate il fuoco e a trovare una via d’uscita. Ieri, 21 settembre, con il discorso di Vladimir Putin – tutto incentrato sull’allargamento del conflitto che non sarebbe più un’operazione speciale ma una guerra a difesa della “madrepatria”, con la chiamata di trecentomila riservisti e con la possibilità che faccia ricorso ad armi nucleari – potremmo trovarci in un punto di non ritorno. Tra il 23 e il 27 settembre Putin farà tenere il referendum, sotto le bombe della controffensiva ucraina, sull’annessione alla Russia delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk e nei territori controllati dai russi delle regioni ucraine di Kherson e di Zaporizhzhia e dopo due giorni ratificherà l’annessione facendoli diventare territorio della “madrepatria” russa. Nella sede dell’ONU dovrebbe farsi largo una qualche iniziativa che faccia cambiare rotta alla guerra. La Cina?
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