
Il motivo principale per il quale dovremmo leggere questo saggio è per capire come si deve fare storia: studiare con attenzione i fatti e le fonti delle informazioni disponibili. Russofobia, il corposo libro scritto da Guy Mettan, spiega con puntigliosità e chiarezza i motivi di una millenaria quanto ingiustificata ossessione per la Russia.
Il gran parlare di questi mesi di fake news, di intervento dei russi nelle campagne elettorali negli Stati Uniti, in Europa e anche in Italia rendono ancora più interessante parlare di questo argomento.
Guy Mettan considera a tutti gli effetti la Russia una potenza, una nazione che persegue i suoi interessi senza concederle attenuanti nel suo agire e nelle organizzazioni statuali sviluppatesi lungo i secoli. Quindi si tratta della ricostruzione dei vari passaggi storici che hanno caratterizzato questa visione dell’orco russo e dei russi fondamentalmente considerati barbari e a tratti anche di violenze inaudite. Pregiudizi spesso costruiti ad arte e senza nessun fondamento storico.
Come scrive lo storico Franco Cardini nella sua introduzione al volume, «il percorso storico della russofobia è quello di un sentimento che nacque dalla diffidenza verso Bisanzio, per accanirsi poi contro l’imperialismo zarista […] e infine a approdare alla demonizzazione della tirannide zarista durante tutto l’Ottocento ripresa poi del tutto, e senza soluzione di continuità, per venir tradotta in termini antisovietici» [pag.12] per arrivare a Michail Gorbačëv e all’attuale Vladimir Putin.
L’autore descrive la russofobia in capitoli che esplicano la sua evoluzione e le sue diverse connotazioni in Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti. Un atteggiamento che non trova eguali con nessun altro paese o area del mondo. Una posizione che è stata costantemente rinvigorita da una moltitudine di testi e analisi nel corso dei secoli e che l’autore traccia con generosità.
Lo Scisma d’Oriente (1054) che di fatto avrebbe dovuto chiamarsi d’Occidente proprio perché fu quest’ultimo a rompere i patti sia sul fronte teologico che politico (nel senso di potere temporale) è un accadimento fondante anche se gli animi si esacerbano già da prima.
Episodi costruiti ad arte (la pseudo donazione di Costantino, la questione della formula originale del Credo) per combattere l’Oriente cristiano o gli eventi (“il tradimento della Quarta Crociata, dirottata su Costantinopoli”) sono tanti gli episodi.
«Questa frattura, che da ormai 12 secoli contrappone le due componenti della cristianità, ha condizionato tutta la storia del continente e influenza ancora oggi le percezioni falsate degli uni come degli altri […]. Se nel 988, a Cherson […] il principe Vladimir avesse deciso di convertirsi al cattolicesimo romano invece che all’ortodossia l’intera storia europea sarebbe di conseguenza cambiata […]. Corteggiato allo stesso tempo da Roma – che aveva appena convertito polacchi e ungheresi – e da Bisanzio, il primo sovrano storico della Russia non ebbe tuttavia nessuna esitazione nello scegliere l’ortodossia» [pag. 122].
«Se non si può rimproverare ai regnanti occidentali e ai papi di aver dispiegato la propria potenza in ascesa per imporsi su un Oriente in difficoltà, ed essersi così vendicati della caduta di Roma del 476, non si può giustificare il revisionismo e la falsificazione storica, non fosse altro che per i danni che questa lettura provoca alla costruzione dell’Europa contemporanea» [p.139].
Quello che non si ricorda sono i vari tentativi – fatti dal Papato in accordo con i vari principi del caso – di conquistare alla Chiesa di Roma i russi come nel 1220 quando i Cavalieri teutonici conquistarono territori e furono cacciati nel 1242 da Aleksandr Nevskij.
Un capitolo spiega, come e con quali false argomentazioni, la Francia abbia contribuito alla russofobia che ha avuto due direzioni e cioè l’espansionismo russo e il mito del dispotismo.
Il primo «nacque sotto Luigi XV con la fabbricazione del falso testamento di Pietro il Grande, […]; il mito del dispotismo nacque nell’Età dei lumi, con Montesquieu, il secondo Diderot e gli intellettuali liberali della Restaurazione, Guizot e Tocqueville in particolare» [p.158].
Secondo il falso testamento c’era un disegno concreto di Pietro il Grande di impadronirsi della maggior parte dell’Europa e così si è costruita anche la politica nei confronti della Russia a partire dal periodo napoleonico e «che ancora il presidente Truman, all’inizio della Guerra fredda, giudicò prezioso per spiegare Stalin» [160].
Di tutt’altro tenore la russofobia della Gran Bretagna che badava più agli aspetti concreti. Nata dopo il 1815 era il suo impero che andava espandendosi e non poteva non “inciampare” nella presenza russa. Fino alla sconfitta di Napoleone in Russia i rapporti erano buoni poi dal 1815 il cambio repentino, cosa che si è ripetuta alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Interessante la spiegazione di John Howes Gleason, riportata da Mettan, secondo cui non basta ricorrere alle rivalità imperiali perché a suo giudizio, furono i partiti a strumentalizzare la russofobia «o per denunciare la politica troppo conciliante del governo in carica in relazione al pericolo che l’Impero russo rappresentava per l’Impero britannico, oppure per giustificare al contrario delle operazioni di conquista militare o economica di nuovi territori che si trattava di acquisire che i “barbari” e i “despoti” russi se ne appropriassero» [pag. 204].
Un altro capitolo è quello dedicato alla Germania che parte solo alla fine del XIX secolo nell’affermare la sua russofobia, ma il nazionalsocialismo farà presto a raggiungere l’inferno. L’ideologia hitleriana considerava gli slavi poco al di sotto di ebrei e neri. E sappiamo tutti dei 25 milioni di morti tra russi, ucraini e altri popoli con la Seconda Guerra mondiale.
Dietro alla russofobia tedesca c’è una visione romantica della Germania e dell’ideologia pangermanista del Lebensraum, lo spazio vitale. Uno spazio vitale che dapprima è un’espressione legata alle aree di cultura, di civilizzazione ma ben presto diverrà uno spazio da inglobare alla Grande Germania, per il solo fatto che nuclei germanici, veri o presunti, abbiano abitato le terre confinanti allo Stato. Evidentemente la Russia era un ostacolo al disegno pangermanico.
Kurt Riezler, consigliere del Cancelliere tedesco, nel 1915 scriveva:
«[…] la mia nuova Europa, vale a dire il mascheramento delle nostra volontà di potenza. L’Impero centro-europeo della nazione tedesca. Il sistema degli intrecci, ordinario nelle società anonime; l’Impero tedesco, una Spa di cui la Prussia è il maggior azionista. […]. È per questo che è necessaria una confederazione di Stati attorno all’Impero tedesco. Non c’è neanche bisogno di parlare di annessione alla potenza centrale. L’idea europea, se la si porta fino in fondo, conduce a un risultato del genere» [pag. 262].
E così, secondo l’autore, possiamo vedere l’Europa dei nostri giorni?
Veniamo agli Stati Uniti la cui russofobia arriva con il 1945 e che rappresenta la summa delle tre precedenti con una «mobilitazione permanente delle risorse del soft power».
Tralasciando i decenni passati con la libertà, le forze armate e l’economia assoldati contro i sovietici prima e i russi dopo, a parte una brevissima parentesi coincisa con gli anni successivi alla caduta del muro e fino al primo mandato di Boris E’lcin, vediamo cosa è accaduto nel caso della tragedia di Beslan e di come sia stati raccontati, maldestramente, gli eventi. Molti sono gli eventi (Ucraina, Georgia, Crimea, …) per cui l’Occidente usi due pesi e due misure.
La tragedia di Beslan è uno degli esempi di questa ideologia che non guarda ai fatti ma a colpevolizzare i russi per giustificare poi azioni di espansione geopolitica. Quello che è accaduto è che per i media occidentali il primo riflesso fu quello di «mettere in causa il comportamento delle autorità che cercavano di proteggere e liberare gli ostaggi, e non quello dei terroristi che pure avevano cominciato immediatamente ad uccidere bambini. […] I media occidentali non hanno dato prova di sensibilità verso le vittime, riservandola alla causa dei ribelli ceceni “maltrattati” da Mosca, e insistendo sul fatto che dunque le reale responsabilità del sequestro di ostaggi era imputabile alle autorità russe. Tutto ciò mentre si moltiplicavano le testimonianze sulla ferocia degli islamisti ceceni, […] simili a quelle dei combattenti dello Stato islamico che avrebbero tanto commosso gli occidentali nell’autunno 2014.» [pag. 65].
Henry Plater-Zyberk per il Conflict Studies Research Centre del Ministero della Difesa britannico ha scritto un rapporto, a proposito di Beslan, tra le molte cose dice: «La critica incondizionata dell’azione antiterrorismo al tempo dell’assedio del Teatro Dubrovska ha creato un’immagine distorta dell’avvenimento, suggerendo che un sequestro di ostaggi ben pianificato e su larga scala potesse eventualmente risolversi con esito positivo.» [pag. 64].
Vi lascio con una domanda cosa sarebbe successo se i russi posizionassero batterie missilistiche in Messico per un ipotetico accordo con quel paese? La risposta la potete trovare nella storia di Cuba.
Pasquale Esposito
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