
L'idea che per conoscere davvero cosa ci sia e quali problemi si agitino nel ventre di una società – ben al di là della semplice verifica periodica dell'andamento del suo Prodotto Interno Lordo (PIL) – affonda le sue radici nel secolo scorso e su di essa esistono ormai esperienze che datano da diversi decenni.
Su questa strada, ad esempio, il Buthan – piccolo Stato tra l'India e la Cina ai piedi dell'Himalaya – si è mosso, tra i primi, decidendo, nel 1972, di sostituire nelle proprie misurazioni statistiche, il PIL con l'Indice della Felicità Nazionale Lorda (GNH – Gross National Happiness) [1]
Quanto all'Occidente più industrializzato, il nostro Istituto di Statistica ci ricorda che «la consapevolezza che il PIL non possa essere l'unica misura dello sviluppo di un paese è antica quasi quanto il PIL e molti e autorevoli sono gli studiosi che nella seconda metà del secolo scorso si sono cimentati con la necessità di dotarsi di strumenti complementari […]. Tra il 2007 e il 2009, la comunità scientifica internazionale, in un dialogo senza precedenti con governi e istituzioni, ha proposto soluzioni fondate su quadri teorici innovativi pluridisciplinari, che hanno messo al centro della riflessione la nozione di benessere».
In Europa, la Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi, del 2009, nel suo rapporto «raccomanda, inoltre, di misurare il benessere attraverso un approccio multidimensionale che tenga conto anche degli aspetti di valutazione soggettiva dei cittadini e di considerare indicatori di sostenibilità, non solo ambientale, ma anche economica e sociale» [2].
Così come nel resto dei Paesi più sviluppati, anche nel nostro Paese sono ormai molti gli studi statistici che misurano l'andamento della società italiana e quello dei suoi abitanti prescindendo dall'andamento del PIL.
L'ISTAT, che nell'effettuazione di ogni sorta di indagine sulla società italiana ha per propria missione istituzionale, ha anch'esso elaborato, a partire dal 2010, affinandola progressivamente, una propria metodologia di indagine. Il progetto ha rappresentato una sfida tanto nei contenuti presi in esame, che nel metodo utilizzato, frutto di un processo di dialogo tra l'Istituto, la comunità scientifica e numerose e qualificate espressioni della società civile, costituendo, a questo scopo, due commissioni. La prima, coordinata da ISTAT e CNEL, era composta da rappresentanti della società civile, organizzazioni di volontariato, associazioni ecologiste, sindacati, associazioni di categoria, associazioni femminili. La seconda, coordinata dall'ISTAT, vedeva la partecipazione di rappresentanti della comunità scientifica a livello internazionale.
Quanto ai diretti interessati, i cittadini, interpellati tramite una indagine campionaria di 45 mila persone, hanno condiviso il loro parere soggettivo sull'importanza delle diverse dimensioni del benessere.
Il lavoro così condotto, ha portato a definire una serie di indicatori, la cui misurazione periodica ha permesso di giungere alla pubblicazione dei Rapporti Istat sul BES – Benessere Equo e Sostenibile.
Infine, con la Legge 163/2016, il BES è ufficialmente entrato nel processo di definizione delle politiche economiche, portando l'attenzione sul loro effetto non solo sull'andamento economico del Paese e sulla sua solidità finanziaria, ma anche su alcune ricadute soggettive, considerate fondamentali per la misurazione della qualità della vita degli Italiani.
La pandemia, la crisi climatica e l'impennata della rivoluzione tecnologica hanno posto all'Istituto la necessità di potenziare il sistema con nuovi indicatori. Così i 134 indicatori, che nella prima edizione del 2013 del Rapporto ISTAT descrivevano l'andamento delle dodici dimensioni di base del benessere su scala nazionale e regionale, oggi sono saliti a 152.
Il BES 2022 – Il Benessere Equo e Sostenibile in Italia [3] è stata presentata dall'ISTAT lo scorso 20 aprile. In un ponderoso Rapporto di 180 pagine, fitto di numeri, grafici e percentuali, si disegna un ritratto della società italiana e se ne analizza l'evoluzione in rapporto ai diversi domini che costituiscono l'insieme di quello che, sintetizzandolo forse persino troppo, definiamo oggi come benessere: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, innovazione, ricerca e creatività, qualità dei servizi. Il tutto è stato analizzato anche in rapporto alle differenze di genere, alle diverse classi di età degli Italiani e soprattutto alla eterogeneità territoriale del Paese.
Pochi mesi prima, nell'ottobre 2022, era stata la Caritas a presentare il suo 21° Rapporto della Caritas su povertà ed esclusione sociale, titolato, non per caso, L'anello debole [4]. Un lavoro di ormai ampiamente consolidata reputazione, altrettanto fondamentale per chi voglia conoscere cosa si annidi, al di là dei dati sul mero andamento economico e finanziario, nelle pieghe delle maggiori fragilità italiane e tra gli individui e i gruppi sociali più deboli e più esposti alla crisi.
Nel rapporto della Caritas si prendono, infatti, in esame non solo le statistiche ufficiali sulla povertà ma anche i dati provenienti da quasi 2.800 Centri di ascolto Caritas su tutto il territorio nazionale. Il tutto corredato dei risultati di due indagini empiriche: una ricerca quantitativa e qualitativa sul tema della povertà ereditaria e intergenerazionale – realizzata su un campione rappresentativo di utenti dei Centri di Ascolto Caritas – e un'indagine transnazionale, condotta complessivamente in 10 paesi europei, congiuntamente a Caritas Europa e Don Bosco International, sul tema della transizione scuola-lavoro per i giovani che vivono in famiglie in difficoltà. I risultati delle indagini e le cifre del Rapporto della Caritas costituiscono un'utile integrazione ai dati del BES 2022 – sia per ciò che di quella indagine confermano, che per quello che, forse con maggiore crudezza dello studio ISTAT, mettono in evidenza. Non si tratta ovviamente di confrontare i due Rapporti – non ve ne sarebbero le basi scientifiche e men che meno quelle metodologiche.
Se abbiamo sentito l'esigenza di citare l'indagine della Caritas è principalmente per ricordare quella che appare come una delle più difficili questioni da affrontare per chi sia chiamato, per responsabilità istituzionali o semplicemente per interesse alla cosa pubblica, a contribuire allo sviluppo del benessere equo e sostenibile del Paese. L'aumento, spesso con balzi in avanti impressionanti, della povertà assoluta e la crescita di una povertà relativa che rischia di essere perfino più pericolosa della prima, minano la stabilità sociale colpendo anche ceti che si consideravano, a torto o a ragione, ormai al di fuori del bisogno ed avviati ad un, sia pure lento, Ecco che proprio leggendo le pagine dello studio sulla povertà della Caritas, ci si rende possibile comprendere più e meglio cosa ci sia, anche in termini di destini individuali, di tragedie silenziose e di sforzi titanici per “mantenersi a galla”, dietro le statistiche sul benessere che l'ISTAT ci presenta nel suo Rapporto BES.
Nelle prime righe del suo rapporto l'ISTAT ci ricorda che «questa edizione del Rapporto è stata pensata per rendere evidenti al lettore le trasformazioni del Paese rispetto al 2019, l'ultimo anno prima della pandemia. L'accostamento degli indicatori restituisce in modo efficace i processi sociali, economici e culturali che hanno resistito agli sconvolgimenti, senza risentirne troppo profondamente, e che oggi sono caratterizzati da un segno decisamente positivo».
Dopo i profondi cambiamenti determinati dal diffondersi della COVID-19, che hanno avuto un impatto in molte sfere della vita degli individui e delle famiglie, il 2022 doveva essere l'anno della ripresa, con l'avvio degli investimenti del PNRR e la graduale uscita dallo stato di pandemia.
Già dai primi mesi dell'anno, tuttavia, con l'invasione russa dell'Ucraina si è avuta la consapevolezza che, per diverse ragioni, il 2022 sarebbe stato un ulteriore anno difficile, caratterizzato da numerosi elementi di incertezza e criticità per le condizioni economiche e di vita delle famiglie. Anche sul fronte ambientale si sono manifestati sempre più evidenti, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, i mutamenti delle condizioni climatiche; in particolare l'aumento delle temperature, la riduzione delle piogge e dell'apporto di neve, l'aumento degli eventi estremi, dalle frane alle inondazioni, all'erosione delle coste, al dissesto idrogeologico diffuso.
Le conseguenze di queste tendenze recenti, in termini di benessere delle persone, non sono naturalmente ancora tutte visibili e per questo, l'ISTAT si ripropone di continuare a monitorarle nei prossimi anni. Intanto, tuttavia, ci si è industriati ad analizzare i dati disponibili, tanto quando sono preceduti da un segno positivo che quando, preceduti dal segno meno, ci ricordano le difficoltà ed i ritardi ancora da colmare.
Ora, per non dare a questa sintesi del Rapporto BES un tono eccessivamente pessimista, va sottolineato che oltre la metà degli indicatori (53,2%) analizzati, ha registrato un miglioramento, superando, nell'ultimo anno disponibile, il livello del 2019. Solo un terzo si trova su un livello peggiore rispetto al 2019, mentre il restante 13,8% degli indicatori si mantiene stabile sui livelli pre-pandemici. I progressi più diffusi si riscontrano nei domini sicurezza, qualità dei servizi e lavoro e conciliazione dei tempi di vita, con oltre il 72% degli indicatori su livelli che indicano un miglioramento rispetto al 2019.
Tra i domini caratterizzati invece dall'andamento complessivamente più critico negli ultimi 3 anni, si trovano quelli delle relazioni sociali, del benessere soggettivo, del benessere economico e dell'istruzione e formazione, in cui la maggior parte degli indicatori risulta in peggioramento. Le evoluzioni recenti si aggiungono al quadro preesistente di miglioramenti troppo deboli per gli indicatori di istruzione e formazione, per colmare i divari con la media UE27, e all'andamento prevalentemente sfavorevole per gli indicatori di benessere economico nel periodo fino al 2019.
Tra i dati negativi citiamo, per il dominio lavoro e conciliazione, i tassi di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni e delle donne della stessa età senza figli, che passa da 75,4 nel 2019 a 72,4 nel 2022; per il dominio qualità dei servizi, l'indicatore sulla rinuncia a prestazioni sanitarie, che passa dal 6,3% al 7,0%, anche se in ripresa rispetto al picco dell'11,0% raggiunto nel 2021 a causa delle rinunce dovute alla COVID-19; per il dominio politica e istituzioni, un segnale di accresciuta criticità si osserva anche nella lunghezza abnorme della durata dei procedimenti civili, che passa dai 421 giorni del 2019 ai 433 nel 2022. Nel domino del benessere economico peggiora la percezione della situazione economica della famiglia, con un incremento di quasi 10 punti percentuali della quota di famiglie che dichiarano che la propria situazione economica è peggiorata rispetto all'anno precedente (35,1% nel 2022). Andamento analogo si osserva per la quota di persone che dichiarano di arrivare a fine mese con grande difficoltà e per la quota di persone che vivono in famiglie con una situazione di grave deprivazione abitativa, in aumento tra il 2019 e il 2021, con percentuali che arrivano rispettivamente al 9,1% e al 5,9% nel 2021.
Sette indicatori di istruzione e formazione su dodici peggiorano; tra questi si segnala l'impoverimento delle competenze alfabetiche e numeriche degli studenti della scuola secondaria di primo grado e il crollo, solo parzialmente recuperato nel 2022, nella partecipazione culturale fuori casa e il calo nella lettura di libri e quotidiani.
Nel dominio relazioni sociali, cinque indicatori (soddisfazione per le relazioni familiari e amicali, partecipazione sociale, attività di volontariato, finanziamento delle associazioni) si trovano, nel 2022, su livelli inferiori a quelli rilevati nel 2019.
Il divario tra le aree del Paese
Passando ad esaminare le differenze che affiorano tra gli andamenti delle diverse aree del Paese, l'ISTAT ci ricorda, innanzi tutto, come i divari territoriali generano un circolo vizioso costituito da scarse opportunità lavorative/emigrazione/impoverimento del capitale umano/scarsa crescita che riduce la possibilità di uno sviluppo equo e sostenibile sul territorio. E si comprende allora come sia purtroppo ben fondata la preoccupazione per le conseguenze dell'eventuale fallimento del tentativo – con il varo del PNRR ed il supporto di una potente iniezione finanziaria da parte della UE, condizionata tuttavia alla realizzazione di riforme decisive – di costruire le condizioni per il riaggancio delle Regioni del Sud e delle Isole al convoglio più avanzato della Società italiana.
Peraltro, sarebbe compiere un'omissione inaccettabile sottacere come, proprio in contemporanea con l'uscita del Rapporto BES, il Governo abbia deciso di procedere, in modo tanto impetuoso quanto sgrammaticato istituzionalmente, verso la realizzazione di quella Autonomia differenziata che, allentando quando non addirittura spezzando il vincolo di solidarietà tra le Regioni, costituisce una minaccia mortale per qualsiasi sforzo di riequilibrio. Una preoccupazione espressa da numerosissimi commentatori, scienziati ed esponenti del mondo del lavoro e dell'impresa, non tutti necessariamente ostili alle forze di maggioranza che oggi guidano il Paese.
Il Rapporto BES squaderna in maniera drammaticamente chiara che «se per il Nord-est il 60,5% degli indicatori ricade nei gruppi di livello di Benessere medio-alto e alto e solo il 10,1% nei gruppi di livello di Benessere basso e medio-basso, per il Sud e le Isole la situazione si inverte, con la maggior parte degli indicatori che si trova nei livelli basso e medio-basso (62,0% per il Sud e 58,1% per le Isole) e solo una minoranza (19,4%) si distribuisce nei due livelli più virtuosi». Ovviamente la fotografia del Paese, quando se ne esplorino più da vicino i dettagli, non può che rivelarsi assai articolata: «se 51 indicatori migliorano a livello nazionale e contemporaneamente convergono a livello regionale, altri 32 migliorano, ma la divergenza tra le Regioni cresce. Dei 42 indicatori che infine, a livello nazionale, peggiorano, la metà vede le distanze tra le Regioni diminuire, sia pure in una discesa verso il basso, l'altra metà vede ancor più crescere i divari tra i diversi territori. Sui 131 indicatori analizzati, che coprono tutti i domini del BES, 27 presentano, nell'ultimo anno disponibile, una diseguaglianza relativa piuttosto elevata, con una concentrazione maggiore nei domini Ambiente, Paesaggio e patrimonio culturale, Benessere economico e Sicurezza».
Covid-19 e crisi economica: le differenze di genere
Un focus specifico il BES dedica all'analisi degli indicatori che consentono il monitoraggio delle diseguaglianze e delle tendenze nella distribuzione del benessere per genere, che rende visibile a colpo d'occhio l'impatto estremamente eterogeneo, sugli uomini e sulle donne, del periodo pandemico. «Per le donne è la maggior parte delle misure (54,1%) ad aver fatto registrare un miglioramento a fronte del 39,2% riferito agli uomini. Per questi ultimi, invece, sono più numerose non solo le misure rimaste stabili (16,2% vs 12,2%), ma soprattutto le misure che si attestano su valori peggiorativi rispetto al 2019 (44,6% contro il 33,8% delle donne)». Nonostante ciò, si continua ad osservare il mantenersi di un divario di genere, che vede penalizzate soprattutto le donne. Infatti, nell'ultimo anno per il quale il BES ha potuto analizzare i dati, su 34 indicatori le donne stanno peggio degli uomini, su 26 indicatori il rapporto appare equilibrato e solo sui rimanenti 26 le donne stanno meglio. «Salute e istruzione sono i domini per i quali si evidenzia una condizione delle donne diffusamente migliore di quella degli uomini: le donne presentano stili di vita più salutari ed è più elevata la quota di quante hanno un'alimentazione adeguata.»
Tra le donne si registrano, oltre ad una maggiore speranza di vita alla nascita (84,8 anni; 4 anni e 6 mesi in più degli uomini), anche più bassi tassi di mortalità, sia per incidentalità stradale che per tumori. Tuttavia, l'indice di salute mentale evidenzia che «le donne sono più soggette a forme di disagio psicologico, hanno una minore speranza di vita in buona salute e le anziane sono più frequentemente degli uomini affette da multicronicità e/o gravi limitazioni nello svolgimento delle attività quotidiane». Inoltre, più spesso degli uomini hanno rinunciato a prestazioni sanitarie di cui avevano bisogno.
Nel dominio della Istruzione e formazione, le donne si trovano in una condizione migliore rispetto agli uomini, sia che si consideri la partecipazione al sistema di formazione scolastico/universitario, sia al sistema di formazione non formale. «Tra le donne adulte (25-64 anni) é più elevata la quota di quante hanno conseguito il diploma, così come è più elevata la quota di laureate tra le 30-34enni. È più raro il fenomeno dell'abbandono scolastico», con una quota più bassa rispetto ai coetanei di 18-24enni che hanno interrotto gli studi dopo il conseguimento della licenza di scuola media. Ma non tutto va per il suo verso: permane un divario a sfavore delle donne in termini sia di minore incidenza di laureate in discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), sia di competenze numeriche non adeguate, sia per la più elevata quota di giovani donne che possono essere definite NEET, ovvero né occupate né inserite in un percorso di istruzione o formazione.
Quando invece si passa all'esame del mercato del lavoro, ini esso le donne vivono ancora una condizione di forte svantaggio. Non solo è più basso il tasso di occupazione ed è più elevato il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, ma anche gli aspetti qualitativi della condizione occupazionale denotano un persistente squilibrio di genere ed una situazione peggiore per le lavoratrici che risultano in una maggiore precarietà lavorativa. Anche per gli indicatori di benessere economico si rileva uno squilibrio di genere che vede le donne in condizione di maggiore difficoltà rispetto agli uomini, in quanto appartenenti a famiglie a più elevato rischio di povertà e più disagiate, sia in termini di elevati costi abitativi, sia in termini di bassa intensità di lavoro.
Un forte svantaggio femminile si osserva perdurare anche nel dominio politica e istituzioni dove la rappresentanza femminile negli organi di governo nazionale e locale, così come negli organi decisionali e nei consigli di amministrazione resta minoritaria. Il ritmo di crescita osservato negli ultimi anni, pur avendo ridotto il gender gap, lascia infatti le donne ancora lontane dal raggiungimento di una condizione di parità.
Un paese per vecchi
Il rapporto BES divide gli italiani in tre gruppi: giovani (14-24 anni), giovani adulti (25-34 anni) e adulti. Più della metà degli indicatori riferiti agli adulti ha registrato un miglioramento del benessere tale da superare, nell'ultimo anno disponibile, il livello precedente alla pandemia. Per i giovani con meno di 24 anni, invece, è migliorato solo il 44% degli indicatori e una quota quasi equivalente (43%) è peggiorata.
Nell'ultimo anno disponibile «la generazione adulta è in vantaggio sulle due generazioni di giovani per quasi la metà degli indicatori di benessere (47,3% rispetto ai giovanissimi e 46% rispetto ai giovani adulti); all'opposto i più giovani hanno un vantaggio sugli adulti per il 36,4% degli indicatori (in equilibrio per il restante 16,4%), mentre i giovani adulti hanno il 30,2% degli indicatori in vantaggio (in equilibrio il 23,8%)» . A tutti noi, del resto, ogni giorno e in luoghi ed occasioni diversissime tra loro, ci è capitato di verificare l'esistenza e anche la crescita di un disagio giovanile, ma è il BES, con i suoi numeri, che ci mostra come tale disagio non nasca solo da motivazioni strettamente psicologiche, quanto, al contrario, abbia concretissime (ed a volerlo, altrettanto facilmente individuabili) motivazioni.
Resta il fatto che, a leggere il BES, si trova la conferma che i giovani con meno di 24 anni sono più distanti dalla generazione adulta di quanto non lo siano invece i giovani di 25-34 anni. E non solo «per quanto riguarda, in negativo, lo svantaggio nel dominio lavoro, il forte consumo a rischio di alcol, i borseggi, le rapine, la deprivazione abitativa», ma anche «in positivo, per l'uso assiduo di mezzi pubblici, la rinuncia a prestazioni sanitarie, nel giudizio sulle prospettive future, nella soddisfazione per relazioni amicali e di altro tipo, e persino nella fiducia verso i partiti politici e nella partecipazione sociale».
Nel dominio lavoro e conciliazione, per gli adulti di 45-54 anni otto indicatori su dieci risultano migliorati rispetto al 2019 (con riduzione continua della quota di occupati a termine da almeno 5 anni e di quelli con part time involontario), è invece cresciuta progressivamente la presenza di occupati sovraistruiti. «Per i giovani adulti, se da un lato sul fronte positivo, si riduce progressivamente la quota di occupati con part-time involontario e cresce con continuità la soddisfazione per il lavoro svolto, dall'altro, in questa fase della vita in cui si manifesta la transizione alla genitorialità, peggiora progressivamente il rapporto tra tassi di occupazione delle madri con figli in età prescolare e delle donne senza figli».
Gli indicatori del lavoro sono quelli per i quali gli squilibri, nell'ultimo anno disponibile, sono più accentuati, determinando una forte polarizzazione tra queste generazioni. Se, da un lato, «i giovani adulti sono in una condizione migliore degli adulti per quel che riguarda i tassi di infortunio sul lavoro e l'occupazione a termine da almeno 5 anni; dall'altro sono più penalizzati degli adulti per quanto riguarda la percezione di insicurezza dell'occupazione, la quota di lavoratori dipendenti con bassa paga, di occupati sovra istruiti, il rapporto tra tasso di occupazione delle madri con figli in età prescolare e donne senza figli, il tasso di mancata partecipazione, la bassa intensità di lavoro», tutti indicatori che si trovano al di sotto della parità. Senza contare che sia la quota di dipendenti con bassa paga che il tasso di mancata partecipazione al lavoro fanno registrare il maggior divario tra i giovani con meno di 24 anni e gli adulti di 45-54 anni.
Il dominio salute è per gli adulti, quello con l'andamento peggiore se si considera che due indicatori su sei registrano un forte peggioramento, mai interrotto dal 2019: si tratta della percentuale di fumatori e di coloro che hanno una alimentazione non adeguata. La salute è elemento di vulnerabilità anche per i due gruppi di giovani, ma per motivi diversi. «Tra 14-24 anni sono in peggioramento continuo dal 2019 sia la sedentarietà che l'eccesso di peso e, anche se con un andamento più instabile, l'alimentazione adeguata. Invece, tra i giovani di 25-34 anni, il peggioramento continuo va attribuito ai fumatori», anche se sul fronte opposto migliora progressivamente l'indicatore sull'eccesso ponderale.
Il dominio istruzione non ha alcun segnale di miglioramento per i più giovani; quanto alle relazioni sociali, l'unico indicatore, che ha una evoluzione positiva comune a tutte le classi d'età, per i dati riportati dal BES, è la partecipazione civica e politica e «non possiamo non notare come ciò appaia davvero strano e apparentemente del tutto in controtendenza rispetto ai risultati della partecipazione al voto nelle diverse tornate elettorali via via succedutesi». Tra gli indicatori della qualità dei servizi cresce con continuità la soddisfazione per i servizi di mobilità, tra gli utenti più giovani che evidentemente vi ricorrono per gli spostamenti quotidiani e per recarsi a scuola o all'università, e migliora anche la rinuncia alle prestazioni sanitarie che però, al contrario, peggiora tra i giovani adulti.
Se poi non ci si può certo stupire che i più giovani – i cosiddetti nativi digitali –abbiano già raggiunto da tempo livelli prossimi alla saturazione nell'uso della rete, il BES mostra una crescita continua degli utenti regolari di Internet che riguarda soprattutto le classi d'età con i livelli iniziali più bassi. In particolare, «gli adulti hanno registrato incrementi significativi sia nel 2020 che nel 2021 e nel 2022» .
Difficile non interpretare tale andamento come conseguenza delle novità, tanto nelle modalità di comunicazione interpersonale e di gruppo, quanto nelle modalità di lavoro, che la pandemia ha loro imposto e che appaiono, per certi versi, irreversibili. Per un numero molto limitato di indicatori tra quelli dell'indagine BES si è assistito ad un rovesciamento del rapporto precedente alla pandemia: è il caso, come emerso anche per i più giovani, della «preoccupazione per il deterioramento del paesaggio che diventa maggiore tra gli adulti; stesso rovesciamento dello squilibrio si riscontra per i giovani adulti su rischio povertà e diseguaglianza dei redditi, soddisfazione per la propria vita e per la situazione ambientale che diventano a vantaggio degli adulti» .
Va detto che «la soddisfazione per la vita è calata con la pandemia solo tra i più giovani, mentre tra i 25-34 è rimasta stabile ed è migliorata tra gli adulti» ; da questo, afferma l'ISTAT, potrebbero derivare queste inversioni apparentemente non in linea con gli andamenti delle rilevazioni effettuate negli anni passati.
L'Italia e l'Europa distante
Passando al confronto con l'Europa e ricordato che non tutti gli indicatori scelti da ISTAT permettono un immediato raffronto con la situazione degli altri Paesi membri, alcune indicazioni tuttavia il Rapporto BES permette di ricavare e non si tratta sempre di indicazioni positive. Con buona pace di chi invoca, ad ogni piè sospinto, il rischio della crescita di un far west incontrollato, magri anche per la «abnorme presenza di immigrati irregolari, di zingari e clandestini dediti alla delinquenza», uno degli indicatori per cui l'Italia si colloca su livelli migliori in termini di benessere, rispetto alla media dei paesi dell'Unione europea, è il tasso di omicidi, pari a 0,5 per 100 mila abitanti, ben al di sotto della media dei paesi UE27 (0,9).
Anche in termini di speranza di vita alla nascita l'Italia si conferma ai vertici della graduatoria dei paesi, con 82,5 anni attesi rispetto agli 80,1 della media Ue27 nel 2021.
La maggior parte degli indicatori considerati mostra, tuttavia, una situazione peggiore per l'Italia rispetto alla media degli altri partner comunitari. È il caso di alcuni indicatori di Benessere economico aggiornati al 2021, tra cui il rischio di povertà e la grande difficoltà ad arrivare a fine mese.
il ritardo dell'Italia rispetto all'Europa è poi persistente nel lavoro e nella conciliazione dei tempi di vita. Il tasso di occupazione italiano nel 2022 è di circa 10 punti percentuali più basso rispetto a quello medio europeo (74,7%), con una distanza particolarmente accentuata tra le donne: il tasso di occupazione femminile è pari al 55,0% nel nostro Paese, mentre raggiunge quasi il 70% per la media Ue27.
Anche dal dominio istruzione e formazione giungono segnali preoccupanti: la quota di giovani di 15-29 anni che si trovano al di fuori del contesto di istruzione e sono non occupati (NEET) è più elevata in Italia, dove raggiunge il 19,0%, rispetto all'11,7% della media dei paesi europei (Ue27); la quota di persone di 30-34 anni che hanno completato un'istruzione terziaria è del 42,8% nella Ue27, solo il 27,4% in Italia. Anche la percentuale di persone di 25-64 anni che hanno conseguito almeno il diploma è significativamente più bassa di quella media europea (63,0% in Italia rispetto al 79,5% dei paesi dell'Ue27).
Al nostro Paese spetta anche un altro triste primato, quello dell'abbandono scolastico con 3 punti percentuali in più rispetto al valore medio europeo. Sul fronte delle competenze digitali, infine, in Italia il 45,7% delle persone di 16-74 anni che ha usato internet negli ultimi 3 mesi ha competenze digitali almeno di base, mentre nella media UE27 tale quota raggiunge quasi il 54%.
Infine, il dominio Innovazione, ricerca e creatività mostra diffusi ritardi rispetto all'Europa. Nonostante nel 2020 la grande maggioranza dei paesi membri non avesse raggiunto il proprio target nazionale in termini di quota di Pil investito in R&S, il valore per l'Italia (1,51%) si attestava su livelli significativamente più bassi rispetto alla media Ue27 (2,31%).
Dal Rapporto BES esce l'immagine di un paese in chiaroscuro o meglio a fronte di alcuni dati positivi, molti dei quali solo tendenziali, permane una grande quantità di dati negativi.
Quel che ci sembra peggiori il giudizio è che i dati negativi appaiano come più nettamente strutturali. Quindi non suscettibili di una rapida evaporazione, anche in una situazione – e, come detto, non ci sembra sia questo lo scenario mondiale che ci si prospetta davanti – di relativa stabilizzazione del quadro macroeconomico e persino in una situazione di moderata ripresa dell'economia italiana ed europea. Quel che è certo è che occorrerebbe che sui dati del BES, su quelli della Caritas, come su tanti altri, tra i quali tuttavia non possiamo non citare il preziosissimo lavoro di analisi e di proposta svolto dal Forum disuguaglianze e diversità[5] si riuscisse a sviluppare una maggiore e più approfondita riflessione tra le forze politiche, le istituzioni, le rappresentanze sociali e sindacali, senza che delle risultanze di studi e rapporti rimanga solo l'eco in un qualche comunicato stampa destinato a essere sepolto in un mare di gossip.
Il nostro sogno, probabilmente destinato a rimanere tale, è che possano tornare a rifiorire ed a farsi sentire quelle voci che – ad iniziare dai grandi rappresentanti del meridionalismo più illuminato – nella seconda metà del secolo scorso dettero vita ad un confronto appassionato sui temi della correzione delle storture dello sviluppo italiano.
Intorno a figure come La Malfa, Giolitti, Ruffolo, Paolo Sylos Labini, Manin Carabba e Franco Archibugi, e ancora Giorgio Amendola, il CESPE, Vincenzo Visco, si provò allora, con approcci certamente assai diversi tra loro, ma con la stessa spinta etico-politica che ha animato tutti questi e tanti altri protagonisti, a ragionare su una diversa e più democratica programmazione economica e sociale, dare vita ad un efficiente ed efficace welfare, anche attraverso un diverso e più equo modo di ripartire oneri e risorse su cittadini ed imprese.
Di questo, crediamo, ci sia bisogno ancora oggi, piuttosto che assistere alle deprimenti intemerate contro o a favore del Reddito di cittadinanza, pro o contro il MES, le grida contro un inesistente rischio di sostituzione etnica.
Dimenticando, troppo spesso e troppo a lungo, la necessità di spendere più tempo e più sudore della fronte per riaprire le porte di un ascensore sociale da troppo tempo bloccato; combattere le diseguaglianze e il crescente impoverimento economico e culturale di vasti strati di concittadini; favorire la crescita di una vera parità uomo/donna; favorire l'allargamento degli accessi ad una formazione realmente qualificata per combattere l'emigrazione intellettuale dei nostri giovani; puntare, in definitiva, a costruire una società multietnica in cui l'immigrato sia prima di tutto cittadino e non clandestino; prima di tutto lavoratore e non servo di una moderna schiavitù; prima di tutto una risorsa e non un peso da restituire, con la forza, al suo destino.
Mauro Sarrecchia
[1] I quattro pilastri di base per la misurazione della felicità del popolo sono, per il GNH, i seguenti:
l'esistenza di uno sviluppo economico equo e sostenibile, che include l'istruzione, i servizi sociali e le infrastrutture, in modo che ogni cittadino possa godere degli stessi benefici di partenza;
la conservazione ambientale, particolarmente importante nel Bhutan dove solo l'8% del territorio è utilizzabile per l'agricoltura;
la cultura, intesa come una serie di valori che servono a promuovere il progresso della società;
il pilastro su cui si fondano tutti gli altri, il buon governo.
I nove domini del GNH sono il benessere psicologico, la salute, l'uso del tempo, l'istruzione, la diversità culturale e la resilienza, il buon governo, la vitalità della comunità, la diversità ecologica e la resilienza e gli standard di vita. Ogni dominio è composto da indicatori soggettivi (basati su sondaggi) e oggettivi. I domini hanno lo stesso peso, ma il peso degli indicatori all'interno di ciascun dominio differisce e così la loro importanza relativa.
[2] Stiglitz, J.E., A. Sen, and J.-P. Fitoussi. 2009. Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress. https://ec.europa.eu/eurostat/documents/8131721/8131772/Stiglitz-Sen-Fitoussi-Commission-report.pdf
[3] https://www.istat.it/it/archivio/282920
[4] https://www.caritas.it/wp-content/uploads/sites/2/2022/10/rapportopoverta2022b.pdf
[5] Homepage – Forum Disuguaglianze Diversità (forumdisuguaglianzediversita.org)
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