Il Benessere equo e sostenibile: per ora solo un’idea.

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Giovedì 7 marzo il Governo italiano organizza la conferenza “L’economia del benessere: la rivoluzione possibiledurante la quale si confronteranno le istituzione e la società civile sulla Relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze sugli indicatori che compongono il cosiddetto “Benessere equo e sostenibile” (BES), e all’impatto su di essi della Legge di Bilancio 2019.

Prima di dare qualche dettaglio sul BES vorrei ricordare quanto sia curioso che si discuta di indicatori appunto per una migliore valutazione del progresso e delle condizioni dei cittadini e nel frattempo si sta rischiando di cancellare, attraverso il regionalismo differenziato, l’universalità dei diritti come quello dell’istruzione e della sanità in questo paese.

Le parole del sito dell’Istat sono chiare relativamente al BES che è diventato dal 2016 parte integrante del processo di programmazione economica prevedendo un’analisi – allegata del Documento di economia e finanza – «un’analisi dell’andamento recente e una valutazione dell’impatto delle politiche proposte». Nel dettaglio questo progetto ha l’obbiettivo di «valutare il progresso di una società non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale. […]. L’analisi dettagliata degli indicatori, pubblicata annualmente nel rapporto Bes a partire dal 2013, mira a rendere il Paese maggiormente consapevole dei propri punti di forza e delle difficoltà da superare per migliorare la qualità della vita dei cittadini, ponendo tale concetto alla base delle politiche pubbliche e delle scelte individuali» [1].

Se da un punto di vista dell’impostazione nell’analisi della società che vada oltre la semplice valutazione economica del paese e dei suoi cittadini è un’evoluzione positiva, e l’Italia è, per la definizione e stima dell’indicatore del benessere, tra i paesi più avanzati perché ha accolto subito le linee guida dell’OCSE, dal punto di vista pratico la strada da fare è tanta soprattutto in considerazione della scarsa attenzione dei primi documenti. Come riporta lo Huffington Post «questa utile pratica non ha purtroppo prodotto alcuna eco rilevante nell’opinione pubblica: come avevamo già sottolineato qualche mese fa,[…] sia il rapporto presentato a febbraio dell’anno scorso, sia i documenti allegati rispettivamente al Def 2017 e al Def 2018 hanno ricevuto scarsa attenzione persino dagli addetti ai lavori. Eppure i numeri contenuti nei documenti erano potenzialmente di grande impatto: raccontavano un’Italia sempre più spaccata in due. La mancanza di attenzione rischia di vanificare uno dei principali obiettivi di questo esperimento, ovvero aumentare l’accountability dei politici, fornendo all’opinione pubblica un valido strumento per misurare la loro capacità di migliorare il benessere» [2].

Da un punto di vista pratico forse si potrà capire come e perché il Reddito di cittadinanza e Quota 100, in primis, e le altre misure del governo gialloverde possano, o non, spostare il benessere. Il governo ha specificato nella Relazione sugli indicatori di Benessere equo e sostenibile 2019 che gli italiani, nel corso del triennio 2018-2021 avranno un reddito superiore e vedranno diminuire le disuguaglianze.
Peccato che tutto il resto degli analisti sostiene il contrario.

Per mettere mano alle disuguaglianze e drenare risorse verso le classi meno abbienti occorre intervenire sulle imposte sui redditi più alti, sull’elusione delle grandi aziende e riconsiderare la liberalizzazione del mercato del lavoro che, diversamente da quanto sostenuto in questi decenni, non ha nemmeno aumentato l’occupazione in modo significativo ma ha solo portato i lavoratori verso la povertà
Pasquale Esposito

[1] https://web.archive.org/web/20221127191157/https://www4.istat.it/it/benessere-e-sostenibilit%C3%A0/misure-del-benessere,
[2]

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