Il calo degli aiuti pubblici e la crisi della cooperazione internazionale

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L'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) costituisce uno degli strumenti principali della allo sviluppo: si tratta, infatti, di un mezzo di supporto impiegato dai Paesi ad economica avanzata per fornire assistenza ai Paesi in via di sviluppo, allo scopo di alleviarne la povertà estrema e accelerarne il progresso socio-economico.

Trattandosi di uno strumento indispensabile per la crescita all'interno dei Paesi in via di sviluppo, l'APS ha acquisito nel tempo piena centralità e legittimità nelle relazioni internazionali. Nonostante ciò, il settore degli aiuti pubblici è ancora privo di norme giuridiche vincolanti ai sensi del diritto internazionale: di conseguenza, tale ambito continua a dipendere fortemente dalla volontà politica degli Stati, anziché da norme comuni accettate a livello internazionale.

Questo aspetto complica il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo, poiché l'erogazione degli aiuti, in gran parte forniti dai ricchi Paesi occidentali, risulta subordinata alle fluttuazioni economiche e agli interessi politici dei donatori. Ciò riflette, del resto, la concezione della cooperazione allo sviluppo sostenuta tradizionalmente dal blocco dei Paesi occidentali. Questi ultimi, infatti, ritengono che la concessione di APS rientri nella sfera della discrezionalità politica: secondo quest'impostazione, gli impegni assunti in materia di aiuti, anche se definiti in contesti ufficiali come le Nazioni Unite, presentano una mera valenza morale piuttosto che giuridica. Tale approccio, fin dal secolo scorso, ha compromesso la regolarità nell'elargizione degli aiuti, condizionando negativamente la realizzazione degli impegni assunti dai Paesi donatori in sede internazionale.

L'individuazione esplicita di un impegno collettivo relativamente all'APS risale al 1970, essendo stato annunciato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in occasione della proclamazione della Strategia delle Nazioni Unite per il secondo decennio dello sviluppo (ris. n. 2626 del 24 ottobre 1970). La risoluzione, riconoscendo l'importanza degli aiuti nella promozione dello sviluppo dei Paesi poveri, invitava i Paesi avanzati ad aumentare il volume dell'APS fornito, fino all'obiettivo dello 0,7% del Reddito Nazionale Lordo (RNL, equivalente alla somma di tutti i redditi percepiti dai residenti in una nazione nell'anno considerato).

Al momento della sua previsione, tale obiettivo rappresentava un traguardo di breve termine, una sorta di meta intermedia propedeutica al perseguimento di obiettivi più ambiziosi. Al contrario, l'incapacità degli Stati nel raggiungere la soglia concordata in tempi ragionevoli ha impedito l'individuazione di impegni più consistenti: di conseguenza, quello dello 0,7% si è trasformato in un obiettivo di lungo periodo, privo di scadenza temporale. Tale impegno è stato ribadito da ultimo in occasione dell'adozione dell'Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, momento di massima convergenza della comunità internazionale in materia di cooperazione allo sviluppo.

Nel corso dei decenni, questo parametro è stato rispettato soltanto da un esiguo gruppo di Stati virtuosi, quali Danimarca, Lussemburgo, Norvegia, Svezia e Paesi Bassi, a cui si sono recentemente aggiunti, seppur con qualche oscillazione, Regno Unito e Germania, nonché nuovi donatori come gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia. In ogni caso, nonostante i flussi di APS abbiano mostrato nel complesso, durante l'ultimo triennio, timidi segnali di ripresa a livello globale, gli impegni quantitativi fatti propri dalla comunità internazionale continuano a restare ampiamenti disattesi.

A tal proposito, appare utile fornire una panoramica dei livelli di aiuti pubblici concessi negli ultimi anni dai donatori membri del Comitato per l'Assistenza allo Sviluppo dell'OCSE (DAC) [1]. Nel 2018, il livello complessivo di APS erogato dai Paesi DAC ha raggiunto la cifra di 143,2 miliardi (espressi in dollari statunitensi), segnando un ulteriore decremento rispetto ai livelli del 2017, quando gli aiuti avevano superato la quota di 146 miliardi [2]. Nonostante lo scarto rispetto all'anno precedente sia minimo, questo calo va comunque segnalato, poiché conferma l'inversione di tendenza registrata già nel 2017, quando l'entità totale dell'APS era diminuita dello 0,6% rispetto all'anno precedente.

Le misure di austerità, adottate dagli Stati durante la crisi economica esplosa lo scorso decennio, hanno provocato tagli significativi alle quote di APS tra il 2007 e il 2011. A partire da quell'anno, la spesa per l'assistenza ufficiale ha ripreso a crescere, facendo registrare un aumento complessivo in termini reali del 20% tra il 2010 e il 2017. Come detto, però, le stime più recenti mostrano un cambio di rotta che non può che destare preoccupazione.

Dando uno sguardo all'Italia, va notato che, dopo un periodo prolungato di crescita, seppur contenuta, del volume dell'APS, la quota è tornata a scendere nel 2018. Dopo aver toccato il minimo storico nel 2012 (0,14% del RNL), la percentuale è cresciuta costantemente, fino allo 0,29% del 2017. L'anno successivo è stato registrato un trend al ribasso, con un calo di oltre il 21% in termini reali, fermandosi al livello, in percentuale, dello 0,24. Va inoltre evidenziato che tale andamento, sia nella fase di crescita che nella recente flessione, è stato ampiamente influenzato dalle variazioni per le spese sostenute all'interno del territorio nazionale per l'accoglienza dei rifugiati, spese conteggiate come APS, pur non configurandosi come effettivi trasferimenti di risorse a favore di un Paese arretrato.

Inoltre, la situazione della cooperazione internazionale, già tutt'altro che rosea, appare particolarmente nebulosa a causa dell'attuale emergenza sanitaria. La diffusione della pandemia e le relative ripercussioni economiche, generando incertezza su scala mondiale, sembrano destinate a condizionare le dinamiche cooperative a livello internazionale, incidendo negativamente sui livelli quantitativi di APS. Questo scenario va scongiurato il più possibile, poiché un ulteriore calo degli aiuti pubblici rischia di rendere ancora più tortuosa la strada verso la realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: un traguardo che la comunità internazionale non può permettersi di fallire.
Lorenzo Di Anselmo

NOTE:
[1] Il DAC è l'organo che riunisce la maggior parte dei donatori occidentali. Fin dalla sua istituzione nel 1961, il Comitato rappresenta il principale forum internazionale per il coordinamento tra i Paesi donatori in materia di aiuti: esso ha promosso l'individuazione di standard e principi di riferimento allo scopo di migliorare l'implementazione dei programmi di aiuto. Attualmente, il DAC conta 30 membri: Australia, Austria, Belgio, Canada, Corea, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Unione Europea, Ungheria.
[2] Le statistiche riportate relative all'erogazione dell'APS sono tratte da: OECD, Development Co-operation Report 2018: Joining forces to leave no one behind, Paris, 2018, www.oecd-ilibrary.org/development/development-co-operation-report-2018_dcr-2018-en.

LINK UTILI:
Per una panoramica approfondita e costantemente aggiornata sull'APS a livello globale, si rinvia al seguente link: https://data.oecd.org/oda/net-oda.htm.
Per un'analisi critica sull'assistenza ufficiale allo sviluppo da parte dei Paesi occidentali, si veda il rapporto realizzato da CONCORD, una confederazione che riunisce numerose organizzazioni non governative attive nel settore della cooperazione allo sviluppo: CONCORD Europe, Leaving no one behind: time for implementation, AidWatch Report, Brussels, 2019. Il rapporto è consultabile al link: https://concordeurope.org/2019/11/21/aidwatch-2019-report/.

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