Il capitalismo delle multinazionali si rifà il trucco

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Qualche settimana fa era in bella vista sul sito on line del Financial Times, del New York Times e ripresa da altri media compresi quelli del Bel Paese. Di cosa si tratta? Della notizia della svolta etica delle multinazionali. Più esattamente la svolta è riferita ad una dichiarazione firmata da moltissimi amministratori delegati o capi d’azienda con la quale gli azionisti non saranno più la loro stella polare nella conduzione dell’impresa e nel fare affari. Infatti tra i cosiddetti “stakeholder” a cui far riferimento per le loro attività si aggiungerebbero: comunità, dipendenti, fornitori e clienti. Le aziende firmatarie dovrebbero, quindi, “portare valore ai clienti“, “investire nei lavoratori“, “sostenere le comunità in cui operiamo”, “proteggere l’ambiente adottando pratiche sostenibili”, “trattare in modo giusto ed etico con i fornitori“, Il loro marketing lo chiama “capitalismo inclusivo”.

Prima di proseguire è bene dire che questa dichiarazione  nasce all’interno della Business Roundtable e cioè, si legge sul loro sito, “un’associazione di amministratori delegati delle principali società americane che lavorano per promuovere una fiorente economia statunitense e maggiori opportunità per tutti gli americani attraverso una solida politica pubblica”. E già qui le domande che ci si potrebbe porre sulla solidità o veridicità di questa svolta sarebbero tante.
Sono quasi tutte multinazionali e quindi i clienti stranieri promuovono l’economia statunitense? E quando si parla di comunità tra gli stakeholder a quale territorio ci si riferisce? Vi includiamo l’ambiente? Solo quello americano?
Un’altra serie di domande sorgono quando, scorrendo sul loro sito, i dirigenti che ne fanno parte solo 19 sono donne, poco più del 10%. Le donne non fanno parte della comunità?

Non vedo cosa ci sia di tanto diverso nella sostanza visto che quanto è stato scritto nella dichiarazione appartiene da molti anni alla cultura aziendale attraverso l’istituzione della Responsabilità sociale che porta anche ad un “bilancio sociale”.
Ma in questi ultimi anni avete visto diminuire l’inquinamento dovuto alle produzioni aziendali? Avete visto diminuire la disparità economica dentro e fuori l’azienda? Avete visto supportare le comunità locali? Non avete mai subito gli effetti delle delocalizzazioni? Non avete continuato a vedere terre e risorse rubate ai nativi? Le domande retoriche sarebbero ancora una volta molte. La responsabilità sociale è stata ed è la foglia di fico per gli affari e i profitti della stragrande maggioranza delle aziende.

Il Financial Times legge l’operazione anche «come una risposta politica alla crescita dei movimenti populisti e sovranisti che hanno attecchito puntando sul fatto che i governi hanno lasciato mano libera alle aziende […]sia una mossa politica per lanciare un messaggio ai candidati più radicali del Partito Democratico, da Elizabeth Warren a Bernie Sanders, che stanno conducendo una campagna attaccando le multinazionali come macchine di profitti, […]. E in qualche modo proporsi per cambiare le regole assieme ai politici che domani potrebbero essere alla Casa Bianca, invece di subirne le scelte» [1].
Ma quella di cambiare le regole insieme avrebbe qualche barlume di verità se ci fosse qualche riferimento a questa comunità d’intenti, «ma nessun richiamo allo Stato, la politica, i legislatori e i regolatori. Accanto ai proclami sulla “creazione di valore”, «”li investimenti sui lavoratori”, “il sostegno alle comunità” e “il rapporto etico con i fornitori”, insomma, non vi è traccia di alcuna delega a quegli attori che si collocano al di fuori della tradizionale catena di produzione e consumo. Il sospetto, quindi, è che anche questa nuova visione di “capitalismo compassionevole” – il virgolettato è nostro – nasca vecchia quanto il suo preambolo che ribadisce ancora una volta la fede nel “libero mercato come il migliore strumento per generare lavori di qualità, una forte economia sostenibile, innovazione, un ambiente sano ed opportunità economiche per tutti” (il virgolettato è loro)»[ 2].
Ciro Ardiglione

[1] Luca Pagni, “Basta con i profitti a ogni costo: le multinazionali Usa guardano ad ambiente e lavoratori”, https://www.repubblica.it/economia/finanza/2019/08/19/news/basta_con_i_profitti_a_ogni_costo_le_imprese_usa_guardano_ad_ambiente_e_lavoratori-233916569/, 19 Agosto 2019
[2] Matteo Cavallito, “La svolta etica del capitalismo USA? È una bella fake news”, https://valori.it/svolta-capitalismo-usa-fake-news/, 22 agosto 2019

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