Il colore negli ambienti di vita. Conversazione con Daniela De Biase. Seconda parte

pennelli e colori
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Continuiamo il viaggio nell’universo del colore dell’architetto Daniela De Biase con cui abbiamo indagato sulla sua singolare metodologia progettuale per cui “l’estetica diventa una piacevole e sorprendente conseguenza della funzionalità, interpretata attraverso colori, luce e materiali, mentre si prende cura del benessere dell’abitare”. Dopo aver parlato del rapporto del colore con l’architettura e con la moda, del colore come “arredo umano” e del gusto personale nelle case private, focalizziamo la nostra attenzione sulla vita in un ambiente quando il colore è quello giusto.

Daniela De Biase
Daniela De Biase

Esiste un colore giusto per un ambiente e come si vive se il colore è giusto, adatto oppure no in una determinata realtà?
Uno nessuno centomila” sono i colori giusti! Trovo efficace rispondere parafrasando Luigi Pirandello: uno, se il colore è quello giusto, nessuno se è sbagliato e non è quello che serve, centomila perché servono tutti in relazione agli usi degli ambienti e a chi li vive. Ho sperimentato, sempre con meraviglia, che ogni colore è giusto, ma può rivelarsi sbagliato per quel determinato contesto ambientale, soprattutto se la luce non è presa in esame contemporaneamente, perché potrebbe inficiare la scelta cromatica e i suoi significati. Essenziale è eseguire in via preliminare l’analisi funzionale dei singoli ambienti, secondo una scala di valori, che in studio chiamiamo “indagine narrata”: individuiamo una selezione di aggettivi che descrivono in positivo e/o in negativo ciò che si vuole ottenere o respingere in un ambiente, secondo la sua funzione e il tipo di utilizzatore. Nella narrazione i colori sembrano scegliersi da soli, venendo fuori dalla fila dell’elenco per adempiere al proprio compito, sempre in squadra e mai singoli, perché la scelta cromatica di un ambiente deve risultare una polifonia suonata dall’interazione tra i colori, ciascuno scelto nella giusta tonalità, saturazione e luminosità: i tre parametri che individuano in modo inconfondibile ogni gradazione cromatica, come un DNA. Gli aggettivi diventano colori grazie alla conoscenza e l’uso delle sinestesie percettive (percezioni concomitanti). Grazie a loro usiamo comunemente espressioni verbli come “rumore agghiacciante”, “film piccante”, “parole amare”, “luce fredda”. Quando un colore nelle diverse gradazioni sollecita la vista, coinvolge contemporaneamente anche gli altri sensi, creando collegamenti immediati con esperienze sensoriali confinanti, più complesse e profonde. Possiamo considerare anche l’esistenza di un sesto senso, quello psicologico, che coordina gli altri cinque, attraverso rielaborazioni individuali. Così un colore può sembrare profumato, soffocante, aromatico (se collabora l’olfatto), acido, dolce, aspro (il gusto), fresco, morbido, duro, caldo (il tatto), stridente, chiassoso (l’udito), solo per fare alcuni esempi. Uno spazio, allora, può simulare infinite sensazioni grazie alla vista dei colori e al clima cromatico più consono alle aspettative individuate dal progettista per quel particolare contesto ambientale: sensazioni di spazio aperto, di natura, di luce solare, di aria fresca o tiepida, di un ambiente sano, confortevole e accogliente in cui rigenerarsi e in cui è gradevole trascorrere del tempo; E ancora: stimolare il gusto, favorire il riposo o il dinamismo o la concentrazione, predisporre alla socializzazione o all’intimità. Il colore non è una cosa in sé, né dipende unicamente dalla vista, esso viene appreso e compreso con gli altri parametri sensoriali.
Ne deriva una progettazione sensoriale attenta alla sintonia tra l’uomo e l’ambiente, realizzando luoghi di forte identità che garantiscano la qualità ambientale ed il comfort.
Ad ogni spazio architettonico, pertanto, non serve un colore, ma il “suo” colore, cioè quello più adatto ad armonizzarsi alla funzione di quello spazio, insieme a luce e materiali, per evocare sensazioni e suggestioni, provocare emozioni, risvegliare ricordi e memorie inconsce.
È necessario riflettere sull’uso del colore perché l’influenza psico-fisiologica è subita inconsapevolmente. Il colore attraverso la luce è portatore di stati di benessere ma anche di tensioni e disturbi che possono condurre al rifiuto dei cromatismi. Il rischio progettuale, se il colore non fosse quello “giusto” sarebbe di incorrere in ambienti squilibrati, ipo-stimolanti (carenti di riferimenti) o iper-stimolanti (con eccesso di informazioni visive), entrambe situazioni ambientali estreme che possono suscitare difficoltà nella concentrazione, irrequietezza, irritabilità e altre reazioni emotive negative. Inoltre i contrasti estremi (come anche io troppo bianco!) affaticano la vista costringendo la pupilla ad un adattamento costante che provoca continue sollecitazioni al muscolo dell’iride.

Colori e luci dovrebbero avere come esito una varia ma moderata stimolazione dei sensi, nel rapporto bilanciato tra questi elementi, alla base dell’ergonomia visiva” (Frank Mahnke).

Prendiamo come esempio la realizzazione di ambienti dedicati a connettività e accoglienza, molto importanti in ogni tipologia di struttura, perché rappresentano il primo impatto che il fruitore percepisce, ricevendone la prima determinante impressione.
Se analizziamo percorsi, attese e corridoi con contesti e funzioni diversi è interessante notare che anche il relativo clima cromatico debba essere diverso e non replicabile pedissequamente, come è visibile nelle foto successive.

NUOVO IMAIE

Nuovo IMAIE, Uffici. Roma
Nell’ingresso di un grande ufficio nel centro storico di Roma l’immagine di efficienza, modernità e tecnologia viene trasmessa al fruitore attraverso un’elegante palette di colori neutri declinati in diverse luminosità e saturazioni, che fanno da sfondo al logo “NI”, unico e incontrastato protagonista. Le sedute per l’attesa, enfatizzate dalla luce che ne perimetra il vano, non rappresentano un invito a soffermarsi ma un simbolo dell’accoglienza e un’esortazione a procedere rapidamente verso gli uffici che lo accoglieranno con cromatismi differenziati e leggibili secondo le destinazioni di uso.

Ospedale San Giovanni interno

Azienda Ospedale S. Giovanni Addolorata, Roma – Reparto di Tomoterapia, Corridoio.
Con una buona dose di sensibilità ambientale, un mood caldo e accogliente riceve i fruitori del reparto, con colori ispirati dalla tavolozza della natura: terra di castagna, nocciola, verde tenero e azzurro cielo, coordinati dall’elegante neutro del travertino romano sugli imbotti dei grandi archi. Le forme geometriche riprodotte sul PVC a pavimento rappresentano la proiezione delle volte a crociera originarie del primo ‘900, coperte dai controsoffitti che nascondono gli impianti tecnologici.

TOMOTERAPIA

Azienda ospedaliera S. Giovanni Addolorata, Roma – Tomoterapia
Un clima cromatico mite, creato dall’arancio caldo con rimandi a rinfrescanti turchesi, stempera la freddezza tecnologica dell’apparecchio diagnostico. L’interazione di arancio e turchese attiva la respirazione, diminuisce l’ansia del paziente per il temuto esame. La luce calda della sala è volutamente contrapposta a quella fredda che si intravede dal vano porta, per offrire un importante punto focale liberatorio al paziente, che giace sdraiato, e contrastare l’eventuale sensazione claustrofobica.

CTO roma

INAIL Centro protesi di Vigorso di Budrio presso l’ospedale CTO. Roma
Ai pazienti infortunati che entrano nel centro protesi viene trasmesso il messaggio di attenzione verso gli atti motori attraverso l’uso a pavimento di un gres porcellanato antiscivolo, per un attrito controllato ed equilibrato. Una fascia rossa longitudinale, dritta e precisa come una rotaia dal forte valore energetico, li conduce verso la destinazione delle sale prova delle protesi. Colori tortora caldo e grigio solido, in due luminosità, si fronteggiano a differenziare le sale prova dalle aree tecniche interdette.

Ospedale Mater Olbia

Ospedale Mater – Hall di ingresso. Olbia
Il concept del relooking cromatico sensoriale per l’umanizzazione ha tenuto conto dell’architettura esistente, dell’orografia e della natura di grande impatto della costa Nord-Est della Sardegna, che ha ispirato la palette della grande hall: colori e materiali che rimandano alla ruvidezza delle rocce e della corteccia, alla sabbia bagnata e al profumo delle alghe si fondono con quelli della vegetazione tipica del mirto e del fico d’india, con lo sfondo marino cangiante dal blu al turchese.

Ospedale Sant'Andrea roma

Ospedale S. Andrea – Mensa aziendale e Bar – piano terra. Roma
I due piani della mensa e del bar sono diversificati cromaticamente secondo la tipologia dei fruitori: al piano terra, il servizio destinato agli utenti esterni ha un’atmosfera stimolante e accogliente, con gradazioni di verde e di turchese chiaro, bilanciati da arancioni di media luminosità, che rimandano sinesteticamente alla naturalità degli alimenti e alla convivialità, dilatando nel tempo i pasti veloci e le pause rigeneranti.

Ospedale Sant'Andrea mensa e bar

Ospedale S. Andrea – Mensa aziendale e bar – piano primo. Roma
Il primo piano con il Bar è destinato al personale ospedaliero, per cui si prevedono pause pranzo brevi, durante l’orario lavorativo. L’atmosfera è mediamente fresca perché la percezione del tempo risulti più veloce e meno invitante al rilassamento. Il turchese blu saturo e scuro perimetra l’area Bar in contrasto con il bianco e il metallo dei banconi. Il turchese luminoso sui pilastri scandisce e separa le diverse aree. Accenti di arancio e verde chiaro sulle sedute per l’unità cromatica e di stile con il piano terra.

In particolare negli ambienti dove non si sceglie di stare, in carcere e negli ospedali, quali sono le indicazioni per il colore e come può curare una malattia dell’anima e del corpo?
Progettare correttamente il colore significa “pensare” in termini cromatici funzionali, interpretando i significati e gli effetti, adattandoli alle diverse situazioni ambientali e ai diversi utilizzatori, potenziando il messaggio che deriva da ogni colore o interazione cromatica, secondo la valenza che si ritiene più opportuna nella circostanza. Il progettista deve calarsi nelle persone, usando virtualmente quei luoghi, sperimentando, immaginando e simulando ambientazioni vissute nel rispetto dell’armonia tra fisiologia e ambiente, dando esito ad un’ergonomia sensoriale finalizzata al comfort e al benessere psico-fisico. Nella pratica si traduce nell’entrare nelle parole, compiere un viaggio sinestetico alla ricerca dei colori più giusti per quella particolare vita d’ambiente.
Il carcere rappresenta uno spazio di vita confinata in cui la gradevolezza estetica non viene in genere contemplata e dove spesso, invece, la deprivazione sensoriale ambientale sembra amplificare il concetto di luogo di punizione che andrebbe sostituito da quello di riabilitazione. Umanizzare l’ambiente fisico vuol dire, ripeto, mettere al centro il benessere e la dignità dell’individuo, progettando ambienti che migliorino le sue condizioni psico-fisiologiche.
Affinché un colore influenzi lo stato d’animo e l’umore deve circondare la persona. Gli occhi percepiscono ma è il cervello che “vede” e decodifica tutto il processo della visione. La visione periferica implica o coinvolge le aree visibili ma che non guardiamo direttamente (come nella visione diretta), ne coglie l’essenza ed è più importante per capire il mondo circostante.
Per la tendenza della specie umana ad associare le qualità positive tra loro, l’attenzione e la cura dell’ambiente attraverso il colore ambientale avrebbe grande importanza per le varie tipologie di fruitori del carcere: non solo i detenuti, ma anche agenti addetti alla custodia e i visitatori, tra cui spesso i bambini.
Ambienti policromi con gradazioni che favoriscano la tranquillità e la meditazione, che trasmettano un senso di pulizia e dignità del luogo, una diversa percezione del trascorrere del tempo, che simulino gli scenari aperti della natura, sarebbero adeguati ad agire sull’umore, a rendere più disponibili e garbati i rapporti interpersonali, agendo anche sullo stress del personale addetto. L’eliminazione della spersonalizzazione potrebbe produrre benefici concreti alla qualità della vita, riducendo il senso di afflizione detentiva e favorire il reintegro nella società civile.
Per gli ospedali e i luoghi della salute in genere, Il concetto di umanizzazione sviluppato a larga scala negli ultimi decenni, non si riferisce solo all’etica o alla filosofia ma si estende alla persona nella sua totalità. E’ necessario il ripensamento della pratica progettuale in cui coniugare la funzionalità del luogo di cura con l’emotività di un luogo empatico con la persona.
La ricerca internazionale denominata‘‘Evidence based design” ha dimostrato che alcuni fattori legati all’architettura e all’ambiente possono influenzare positivamente il processo di guarigione. La relazione tra colore e agio psicologico svolge un ruolo fondamentale per il benessere psico-fisico di tutti gli utilizzatori degli spazi: pazienti, visitatori e operatori sanitari. Un ambiente gradevole e più confortevole per i pazienti ha un potere terapeutico aggiuntivo e può ridurre il periodo di degenza, favorendo ed accelerando la ripresa della salute; anche il personale sanitario, generalmente sottoposto ad attività, orari e rapporti molto stressanti, riceverebbe maggiore gratificazione e motivazione.
L’inscindibile connubio con la luce accresce le proprietà fisiche del colore arricchendo emotivamente lo spazio, modificando anche situazioni di deprimente squallore, con variazione della temperatura colore della luce secondo le destinazioni di uso.
La cura dell’ambiente attraverso le sue componenti colore, luce e finiture materiche produce notevoli vantaggi senza richiedere variazioni ai costi di realizzazione o manutenzione, portando un valore aggiunto nel panorama della Sanità.
Su questi principi si basa la metodologia progettuale colore e … sanità, messa a punto dal mio studio, con la prevalenza dell’attenzione all’equilibrio sensoriale dell’individuo, posto al centro del progetto insieme alle sue necessità. Si sviluppa attraverso l’uso funzionale del colore, strumento che influenza il nostro livello di benessere e ogni aspetto della nostra vita. I nostri sensi percepiscono gli stimoli provenienti dall’ambiente circostante e i nervi trasmettono queste informazioni al cervello che poi li rielabora. Gli stimoli visivi forniscono una quantità di sollecitazioni infinitamente superiori rispetto a quelli degli altri sensi e influenzano il nostro giudizio, producendo effetti biologici, psicologici, comunicativi e terapeutici, comuni a tutti gli individui, a prescindere da un gusto soggettivo.
Credo fermamente che la formazione del progettista dell’umanizzazione attraverso il colore richieda studi preparatori interdisciplinari continui, per motivare e legittimare le scelte, a garanzia delle conseguenze nell’ambiente e sull’individuo. Scelte cromatiche superficiali, dettate da preferenze personali o tendenze, non garantiscono la soddisfazione delle aspettative dei fruitori. Il percorso analitico verso il rapporto personale con il colore si compie attraverso esperienze progressive, dal generale al particolare, dalle comuni reazioni biologiche agli stimoli cromatici, dall’inconscio collettivo alle associazioni di idee, dalle influenze culturali e dalle tendenze di moda, fino al rapporto personale che ciascuno di noi ha con il colore. A seguito di questa esperienza conoscitiva il progettista è in grado di occuparsi in modo oggettivo, consapevole e responsabile delle reazioni umane al colore, senza pregiudizi di scelta, come ci ha insegnato il grande Maestro del colore Frank Mahnke nei suoi preziosi testi e nella formazione con i seminari di IACC Italia a Milano.

Il colore influisce sul benessere di chi abita gli spazi o ne usufruisce e può essere considerato in qualche modo un parafarmaco. A tuo parere è un elemento di cura omeopatica, da cucire su misura, o allopatica?
Sono sposata da oltre 30 anni con un medico che basa quotidianamente e rigorosamente le sue scelte professionali sul conforto sicuro della scienza. Per me è stata dura tenere a bada e legittimare il mio entusiasmo cromatico, per evitare sovrapposizioni e confusioni nelle applicazioni del colore alla sfera della salute. Penso che omeopatia e allopatia non dovrebbero ragionevolmente essere considerate come terapie antagoniste, bensì complementari. In questo contesto il colore funzionale applicato agli ambienti completa la cura della persona come una terapia ambientale, diventando un elemento compensatorio delle nostre carenze e disarmonie psico-fisiche, così come la cromoterapia cura con successo l’individuo in molti stati di squilibrio. Il colore si plasma in modo sartoriale sulle esigenze della persona e sulle funzioni dei luoghi, esprimendo salubrità, vitalità, equilibrio.
In conclusione, il colore negli ambienti di vita non può essere considerato solo dal punto di vista estetico o decorativo, bisogna utilizzarlo in modo funzionale per raggiungere un’ergonomia sensoriale, che soddisfi il benessere, il comfort e le aspettative più o meno consapevoli delle persone.
I colori assumono un senso solo in rapporto all’uso che se ne fa, al contesto in cui operano e agli altri colori ai quali vengono associati o contrapposti” (Michel Pastoureau).

Ilaria Guidantoni

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