
Dal 1980 Daniela De Biase svolge l’attività di architetto in ambito pubblico e privato. Attraverso l’uso del colore funzionale, con la metodologia Colore e Sanità, realizza progetti cromatici sensoriali per rendere l’ambiente più idoneo alle esigenze dell’individuo, curando il comfort e l’umanizzazione dell’habitat. Divulga la cultura del colore attraverso docenze in corsi, seminari e workshop.

Questo viaggio nel colore nasce, come ho accennato nella prima puntata dall’incontro con l’architetto Daniela De Biase proprio per l’approccio singolare che ha adottato al colore e che in questo articolo e in una prossima tappa illustreremo con particolare riguardo agli ambienti di vita. L’idea è che il successo di una realizzazione, anche dal punto di vista estetico, dipenda dall’effetto del benessere legato alle funzionalità specifiche di un luogo. In tal senso l’intervento consapevole del colore, mai imprescindibile dal suo dialogo con la luce, diventa terapeutico per l’individuo e l’ambiente.
Come nasce la tua passione per il colore?
Credo di essere “entrata” nel colore venendo alla luce. I miei primi ricordi dell’infanzia sono di colori intensi, avvolgenti, appena offuscati dalla calura estiva del mio meridione calabrese: il mare, la campagna, le “mie” montagne viola, i covoni di grano giallo, lussureggianti sulla terra rossa. Quasi subito è nata la voglia di rappresentarli e di convincere gli altri che le montagne fossero davvero di quel colore… e poi ripenso, per contrasto, al nero profondo dei vestiti di mia nonna, il bianco candido dei capelli e l’azzurro magnetico e incantevole dei suoi occhi. Penso che il colore abiti da sempre nel mio cuore e vibri nel mio corpo con tutti i sensi. Avverto che il fermento fisico ed emozionale non accenna a diminuire, nemmeno con la saggezza e la più intensa conoscenza del colore. Oggi mi considero un’esploratrice cromatica, progettista appassionata, docente per l’urgenza di trasferire ciò che ho sperimentato. Il mio quotidiano si è intrecciato con il grande sogno di contribuire alla formazione di un crescente e consapevole “popolo del colore”, che possa apprezzare la potenziale funzionalità del colore nel migliorare l’esistenza umana, in tutte le sue forme di vita.
Cosa si intende per approccio funzionale e come hai rielaborato questa metodologia del colore?
Il colore funzionale è il colore scelto in funzione della destinazione d’uso degli ambienti e del tipo di fruitore ed è al servizio del comfort e del benessere ambientale. Con il colore funzionale si possono rimodellare gli spazi, creando le condizioni per ottenere i benèfici effetti che questo produce nell’ambiente e sugli individui. La libertà cromatica appartiene agli artisti e ai bambini che nascono tali e che con la massima serietà rappresentano gli alberi con le chiome rosate e i tronchi verdi, esprimendo stati interiori e bisogni più o meno reconditi. Chi, invece, per professione si prende cura del benessere dell’abitare ha la grande responsabilità di comunicare esatti messaggi e informazioni, trasmettere sensazioni ed emozioni in relazione alle funzioni, al carattere, alla forma e al contesto dell’architettura dei luoghi. Lo strumento professionale è il progetto cromatico funzionale; il linguaggio è quello silenzioso e inconsapevole dei colori, mentre l’obiettivo principale resta la centralità dell’individuo e l’ambiente “umanizzato” a sua misura. Ne consegue la necessità di declinare un metodo per usare “il colore giusto al posto giusto”, legittimando la scelta cromatica. Con questo intendo non lasciarla al caso o derivarla dal gusto personale o, peggio, subirla dalla moda, ma sfruttarne con abilità e perizia la conoscenza degli effetti, delle influenze e dei significati che il colore, in quanto energia elettromagnetica, produce sul comportamento umano e nell’intorno. Conoscere e indicare la cifra cromatica (quantità o codice) significa che se puoi misurare il colore lo puoi anche controllare e dosare per ciò che serve, senza produrre ipo/iperstimolazioni disturbanti o dannose.

TAPPETO VOLANTE
Il corridoio o disimpegno è un luogo di passaggio, dona libertà e autonomia alle stanze, spesso anticipando ciò che vi si trova. Un luogo spesso frainteso, abusato, detestato, frantumato per regalare spazio alle stanze. Rinunciarci vuol dire perdere la spina dorsale della casa, il transito verso la destinazione, il tempo dell’attesa.
In questa immagine, un tappeto volante regala dignità al corridoio, ribaltando il punto di vista: cela gli impianti tecnologici della casa, accostando due gradazioni complementari polari e due acromatiche fredde, come l’alluminio che le ospita.
Qual è il rapporto tra colore e architettura, oltre il gusto estetico?
Riflettendo sul pensiero di Le Corbusier che definisce l’architettura come “il gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi puri radunati sotto la luce”, penso che, attraverso il connubio inscindibile con la luce, il colore diventi magia pura! Sono componenti fondamentali dell’architettura, esaltando l’identità e il carattere culturale, sociale e ambientale delle città. Non può essere considerato un semplice elemento decorativo e la dimensione puramente estetica della scelta cromatica viene sostituita da quella funzionale, finalizzata alla definizione della qualità ambientale. Spesso il colore si palesa come gioco o illusione, ma va affrontato con la massima serietà. È dispensiere di funzioni e gerarchie; è interprete dell’architettura e manipolatore delle forme: pilastri pesanti e invadenti possono diventare di burro o poco visibili; uno snodo anonimo può diventare una cerniera caratterizzante; luoghi angusti e trascurabili diventano ariosi e suggestivi, acquisendo una dignità inattesa che suscita soggezione e ne suggerisce la cura. È il risultato del gioco di squadra tra il colore, la luce e la struttura molecolare della materia che, accogliendoli, diventa il teatro in cui l’individuo si muove e dà vita agli ambienti. Il progettista del colore deve interpretare tutto questo, conferendo al colore valore sociale ed etico. Scelte sapienti e organizzate dei colori, con un occhio alle tendenze e alla moda, danno luogo a realtà armoniose che soddisfano anche il gusto estetico dominante o personale. Potrei sintetizzare con lo slogan che usiamo in studio: “È il colore giusto che porta al gusto”.

LUCE COLORATA
La luce colorata riempie lo spazio di sostanza fantastica, creando nuove suggestioni che modificano la materia dell’ambiente più del colore delle superfici. Le luci con Led regolabili e con temperatura colore cangiante dal caldo al freddo sembrano rendere tutto possibile e irreale.
Il rapporto con la moda, non solo legata strettamente all’abbigliamento, è a tuo parere fuorviante?
Dipende! Può esserlo se ci si riferisce alla moda come punto di partenza e non come un’interessante e stimolante tappa lungo il percorso dedicato al progetto specifico. Quasi sempre il design legato principalmente all’abbigliamento anticipa il trend dell’Interior, più lento per i tempi di produzione e di diffusione. Ci sensibilizza e indirizza al gusto per determinate gamme cromatiche; spesso però l’imposizione ci frastorna e ci rassegniamo a loro per pigrizia o stanchezza, non trovando sul mercato l’oggetto o l’indumento del colore che ci occorre. Ogni anno, infatti, i mercati vengono condizionati dal lavorio di team di esperti tra interior designers, chimici, stilisti e trend watchers che decidono su quale colore si accenderanno i riflettori dell’anno che verrà. Anche in questo caso, il colore funzionale gioca un ruolo da protagonista nella comunicazione visiva e contribuisce positivamente alle performance di vendita delle decisioni adottate dal mercato: agendo sul terreno dell’inconscio e dell’impulso, attrae, parla del brand, del marchio, suggerisce emozioni, crea desiderio, soddisfa bisogni, fa rilassare il consumatore per indurlo più facilmente all’acquisto, crea spazi illusori, visioni, atmosfere e luoghi di forte identità, rendendo più intimo il rapporto tra gli oggetti e le persone.
A mio avviso, però, pur apprezzando sempre con meraviglia il potere sorprendente del colore, ritengo si tratti di un gioco di supremazia tra consessi diversi per definire trend di mercato e costringerci, come nell’Interior, in stanze troppo fredde o troppo calde, buie cucine total black o abbaglianti soggiorni total white, trascurando, in tal modo, l’uso funzionale del colore nel progetto specifico e ignorando le “armocromie” personali. Al di là della critica, è interessante constatare come la gran voglia di colore ci porti a seguire sempre con curiosità queste “premiazioni” annuali: la tendenza ha pur sempre la sua attrattiva! E i colori diventano testimoni delle oscillazioni del gusto, tessono i modi dell’apparire mentre si fanno veicolo di messaggi ed espressioni di speranze e sentimenti della società contemporanea, di cui rispecchiano l’identità.
A gran voce sottolineo, però, che non può subire passivamente il fascino delle mode chi vuole rinnovare o valorizzare in modo efficace ed appropriato la propria immagine o i propri spazi, se si desiderano autentici e non identici. Con il nostro Workshop “Color Relooking: l’arredo umano” abbiamo dimostrato ai partecipanti, attraverso la sperimentazione, che è necessario usare il linguaggio funzionale del colore, individuando secondo la propria tipologia cromatica quali sono i “colori amici” in assonanza con le nostre tre pelli (viso, abiti e ambienti) e con la nostra personalità. Ambienti, oggetti o vestiari realizzati e scelti “a risonanza poetica”, secondo le “armocromie” personali, trasmettono la sensazione di intuire i nostri stati d’animo, impreziosendo la nostra immagine e consolidando luoghi familiari che ci calzano a pennello. Palette cromatiche personalizzate sono le linee guida per attuare anche in divenire il proprio relooking, evitando colori e abbinamenti sbagliati.

Nelle case private quanto conta il gusto personale e come si muove un professionista?
Dipende anche qui dalla funzione! Quali sono le aspettative del committente sul ruolo del progettista? A volte si cerca un professionista archistar, altre volte un professionista che sia un mero esecutore, se il committente nutre delle velleità, o si sente un architetto mancato; allora si prospetta un rapporto complesso e la sfida si fa più interessante.
Negli anni di esperienza, sviluppata in oltre quarant’anni, io ho adottato l’arte della maieutica di Socrate e la cultura del dialogo che non sa la verità, ma la cerca: “l’importante non è vivere, ma vivere bene” e … comodi, aggiungo sempre! Sono convinta che l’abilità professionale si sviluppi e manifesti se si riesce a condurre per mano il committente, fino a trasferirgli la sensazione di aver trovato ciò che desiderava. Una consulenza professionale di successo non può prescindere da un approccio rigoroso e non influenzato dalle proprie inclinazioni personali, che si sviluppi con incontri conoscitivi del carattere, delle esigenze, dei gusti, dei timori dei fruitori di quegli spazi futuri, studiando quelli attuali in cui vivono, con una buona dose di psicologia.

LA SALA CHE SONO IO
Una sala si moltiplica per due funzioni: la sera a servizio della convivialità, con colori, luci suadenti e molte candele a illuminare cibi e bevande; di giorno è la sala riunioni, che condivido con i clienti, a cui non temo mostrare l’intorno a risonanza poetica con la mia anima, il gusto ridondante, denso di memorie, quadri e ritratti delle mie famiglie, una raccolta di libri d’arte ed architettura. Le decorazioni funzionali: un pavimento che si ribalta sugli arredi, per suggerire una superficie più ampia; un trompe-l’oeil che indica dove nascondo il bar e la collezione di bicchieri. È importante potersi raccontare agli altri oltre le parole, attraverso il linguaggio silenzioso del colore.
La casa ci rispecchia, rivela la nostra identità, parla di noi e della nostra vita, è la linea di demarcazione tra il dentro e il fuori. Il come l’abitiamo svela il rapporto con il nostro mondo interiore, spesso oscuro al cliente stesso. L’architetto dovrebbe individuare i desideri inconsapevoli e far convivere sogno e realtà, trovare una corrispondenza tra le mura esterne che ci proteggono e le pareti interiori, per dare degnamente continuità alla nostra storia in divenire. Infatti la flessibilità è la componente essenziale a garanzia della continuità: tra le mura della casa le relazioni interpersonali si evolvono e modificano gli spazi, che di rimando ci condizionano. In questo, il gusto del fruitore deve trovare il suo spazio e completare quella griglia invisibile e sottintesa cucinata a puntino dal progettista per lui: un canovaccio da completare e ampliare con tocchi cromatici, con ricordi di viaggi, esperienze miliari, simboli, incontri, che stratificano la nostra memoria. Illuminante la massima di Frank Lloyd Wright: “Noi creiamo le nostre case e poi esse ci creano”.
Al bando, dunque, le case bianche per la paura di esporsi e sbagliare, cariche di silenzi e prive di stimoli, pareti silenziose che non corrispondano con i nostri sentimenti e la nostra personalità.
Ilaria Guidantoni
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