Il Consiglio dei Ministri vara la riforma fiscale per i ricchi

Palazzo Chigi, sede del Governo

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Il Consiglio dei Ministri ha varato la Delega fiscale, che sarà comunque operativa fra 24 mesi dopo il passaggio in Parlamento. Il CdM ha anche dettato «disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria», vale a dire il tanto discusso e discutibile ponte sullo Stretto. Il tutto, «a sostegno di cittadini, famiglie e imprese. Avanti a testa alta» come ha sinteticamente riassunto la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in un post su Facebook.

Detto in altri modi, senza parole d'ordine care a questo esecutivo, il governo è pronto a varare un'ampia e profonda i cui provvedimenti più importanti riguardano la riduzione delle aliquote dell'Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (Irpef ) da quattro a tre, la revisione dell'Imposta sul Reddito delle Società (Ires) e una ulteriore revisione generale delle varie agevolazioni e detrazioni attualmente in corso.

Prima di esaminare in dettaglio il contenuto della riforma, bisogna ricordare che almeno fino al 1974 il sistema fiscale affondava pienamente le sue basi sul principio della progressività della tassazione così come previsto dalla Costituzione che all'articolo 53 stabilisce “l'imposta (che i cittadini, ndr) sono tenuti a versare è proporzionale all'aumentare della loro possibilità economica” il che, tradotto in termini pratici, significa che l'imposta cresce con il crescere del reddito.
Questo criterio, a partire dagli anni '80, ha subito la prima profonda trasformazione anche sotto la spinta di un quadro culturale e politico in forte evoluzione, capace addirittura di sostituire «l'obiettivo dell'equità con quello dell'efficienza» [1], aumentando di fatto le tasse per le fasce deboli della popolazione e diminuendole drasticamente per i ricchi. In breve, come afferma Antonio De Lellis, «se avessimo mantenuto i criteri di allora, oggi le aliquote Irpef  andrebbero dal 12% all'86%, invece che avere l'attuale vergognosa forbice che va dal 24% al 43%»[2].

Il Consiglio dei Ministri ha quindi approvato la riforma del Fisco articolandola su 20 capitoli suddivisi in cinque parti, riconfermando tra l'altro, la «No tax area» per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 8.174 € e i pensionati con importi fino a 8.500 €. Il cambiamento più importante, ha riguardato l'Irpef che, come dicevamo, passerà dalle attuali quattro aliquote (cioè 23%, 25%, 35% e 43%) a tre già dal prossimo anno – sebbene il Governo non abbia spiegato ancora come attuerà il passaggio – nella prospettiva di arrivare alla «Flat tax» per tutti entro il 2027.

In sostanza, ci sono due ipotesi che comunque andranno confermate. La prima di queste, potrebbe prevedere un'aliquota al 23% per chi guadagna fino a 15.000 €, al 28% per chi guadagna fino a 50.000 €, al 43% per chi percepisce oltre i 50.000 €, con un costo complessivo per lo Stato di circa 10 miliardi. La seconda ipotesi allo studio, potrebbe invece prevedere un'aliquota al 23% per chi guadagna fino a 28.000 €, al 33% per guadagni fino a 50.000 € e al 43% oltre i 50.000 €, con un costo per lo Stato stimato intorno ai 6 miliardi.

Intanto, in attesa che il Governo indichi come praticabile una delle due ipotesi, è interessante leggere il contenuto delle simulazioni effettuate dall'Associazione dei Consulenti del Lavoro (A.N.C.L.) confrontando le aliquote ipotizzate nella riforma governativa (dove verrebbero accorpate solo quelle intermedie del 25% e del 35%) rispetto a quelle attualmente vigenti.

  • Nella prima simulazione (aliquote al 23%, 28%, 43%) chi guadagna fino a 15.000 € pagherà 90 € in più di tasse, 150 € in più per redditi fino a 20.000 €. I risparmi possibili cominciano da 35.000 € che pagherebbero 100 € in meno l'anno, fino ad arrivare ad un risparmio ammontante a 1.100 € per i redditi fino a 50.000 €.
  • Nella seconda simulazione sarebbero 60 € in meno di tasse annue per chi guadagna fino a 15.000 €, invece 100 € in meno per chi percepisce fino a 20.000 €, 400 € in meno fino al tetto di 35.000 € e 700 € in meno per guadagni fino a 50.000 € [3].

Le simulazioni oltre a porre in evidenza le differenze sostanziali fra le due ipotesi di tassazioni, ci dicono che la fusione degli scaglioni Irpef porterà a una riduzione del carico fiscale abbinato a minori entrate per lo Stato. Per colmare quella che potrebbe rivelarsi una pericolosa voragine, il vice ministro Maurizio Leo ha confermato lo sfoltimento delle 626 detrazioni e deduzioni oggi esistenti che comportano, ogni anno, un minore incasso per lo Stato di circa 180 miliardi di euro, fino ad un loro azzeramento per redditi fino a 240 mila euro. Da questa possibile sforbiciata sarebbero salve le detrazioni per le spese sanitarie, la scuola e la prima casa [4].

Insomma tanti giri di valzer per arrivare, una volta portata la manovra a règime, alla «Flat tax» per tutti, presentata come la semplificazione estrema di un sistema che, seppur riformato, appare appesantito e poco flessibile. Ma dietro questa solo  apparente soluzione del problema, si tende a nascondere il progressivo sgretolamento di una imposta come l'Irpef pensata proprio come imposta generale su tutti i redditi e ora ridotta quasi ad una odiosa tassazione solo per i lavoratori dipendenti che, da soli, rappresentano quasi l'85% della base imponibile. Quindi il disegno di riforma fiscale del di innalzare per le partite IVA la soglia del fatturato da 65.000 € – decisione assunta dal governo Conte nel 2019 – a 85.000 € accelera questo processo

«in quanto sottrae una gran parte dei redditi dei lavoratori autonomi dalla progressività del tributo. Questo pone sia problemi di equità che di efficienza e comporta conseguenze sia sull'Irpef che sull'Iva, dato che i forfettari sono anche esclusi dal pagamento di questo tributo» [5].

Con queste premesse che diventeranno legge, non ci si può stupire del crescente aumento delle disuguaglianze e di un effetto distorsivo che verrebbe a crearsi fra chi è un lavoratore autonomo e chi invece è dipendente di una azienda che, pur godendo di protezioni contrattuali, non riuscirebbe mai a colmare le differenze con il lavoratore autonomo.

Questo stato di cose, già di per se discriminatorio, si dilaterà ulteriormente perché il governo fedele al suo motto di «non disturbare chi vuole fare», ha introdotto una serie di concessioni alle aziende che di fatto rallentano o fermano del tutto la lotta all'evasione fiscale. Infatti con una giravolta forse senza precedenti, si è stabilito che non pagare le tasse per pagare gli stipendi non è più un reato fiscale ma può essere assimilato allo stato di necessità. Questo lo dispone infatti l'articolo 20 del decreto di riforma quando stabilisce

«di rivedere i profili relativi alla effettiva sussistenza dell'elemento soggettivo, nell'ipotesi di sopraggiunta impossibilità a far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso, al fine di evitare che il contribuente debba subire conseguenze penali anche in caso di fatti a lui non imputabili» [6].

In parole povere, è consentita l'evasione fiscale a fronte di uno stato di necessità che comunque andrà accertato da un giudice. Ma il messaggio che doveva arrivare è arrivato forte e chiaro, tranquillizzando chi ritiene di non poter pagare perché è pronto il salvagente, in quanto il giudice in sede penale dovrà tenere conto anche dei casi nei quali il contribuente “scoperto” si salva magari cominciando a pagare il dovuto a rate. Sintetizza in modo sferzante  il provvedimento l'ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco «Chiunque sarà incentivato ad addurre l' ‘impossibilità' per non pagare. Sono previsioni normative che vanno tutte a favore del lassismo fiscale, puntano a garantire una vita tranquilla a commercialisti ed evasori» [7].

Per le aziende l'Imposta sui redditi delle società (Ires) – che al momento ha un'aliquota del 24% – verrà tagliata per due anni a chi investe in innovazione e occupazione. Anche qui l'idea del governo è poi far pagare ancora meno per arrivare a quel famoso 15% di tassa minima sui profitti. Con buona pace di tutti i profitti intascati tra pandemia, crisi energetica e inflazione.
Sempre sul fronte delle imprese nasce il concordato preventivo biennale in modo da capovolgere l'impostazione, secondo gli estensori della riforma, della lotta all'evasione «che diventa preventiva e non più repressiva».

Insomma il governo Meloni va dritto per la sua strada e i concetti ispiratori della riforma fiscale e non solo, sono stati dettagliatamente illustrati nell'intervento al Congresso della CGIL a Rimini dove ha ribadito che verrà fatto ogni sforzo «per consegnare agli italiani una riforma complessiva che riformi l'efficienza della struttura delle , riduca il carico fiscale e instauri un rapporto di fiducia fra Stato e contribuente» obiettivi questi raggiungibili, dal suo punto di vista, solo sbarrando la strada al “salario minimo” che «non è la strada giusta; favorirebbe i soliti… non costruire una cittadella di garantiti impermeabile a chi rimane fuori». Non si fanno sconti neanche al “reddito di cittadinanza” perché «ha fallito gli obiettivi per cui era nato perché a monte c'è un errore: mettere nello stesso calderone chi poteva lavorare e chi non poteva lavorare, mettendo insieme politiche sociali e politiche attive del lavoro» [8].

Se la disponibilità al dialogo con le parti sociali, come dimostrato dalla presenza del capo del Governo al Congresso della CGIL, continuerà però a svilupparsi su di un campo disseminato di muri invalicabili dove non si intravede spazio per compromessi, la riforma fiscale liberista sarà una riforma per ricchi e imprese e impatterà sugli investimenti pubblici in sanità, scuola, ricerca, ambiente, a danno di tutta la comunità.

Stefano Ferrarese

[1] https://www.docenti.unina.it/webdocenti-be/allegati/materiale-didattico/677404, 16 marzo 2023
[2] Antonio De Lellis, https://sbilanciamoci.info/tax-the-rich-basta-privilegi-e-diseguaglianze/, 28 gennaio 2023
[3] https://www.open.online/2023/03/17/riforma-fiscale-nuove-aliquote-irpef-scaglioni-risparmi-cosa-succede/, 17 marzo 2023
[4] Antonio Troise, https://www.quotidiano.net/economia/riforma-fiscale-2023-1.8550528, 10 marzo 2023
[5] Massimo Bordignon, Leonardo Ciotti, Davide Cipullo, Nicoletta Scutifero, https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-l-espansione-del-forfettario-e-i-regimi-fiscali-di-autonomi-e-dipendenti, 17 marzo 2023
[6] Cristina Bartelli, https://www.italiaoggi.it/news/evasione-di-necessita-tollerabile-2595970, 16 marzo 2023
[7] Chiara Brusini, https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/03/16/delega-fiscale-cade-il-velo-il-governo-vuol-depenalizzare-levasione-di-necessita-visco-garantiscono-vita-tranquilla-a-chi-non-paga/7098531/, 16 marzo 2023
[8] https://www.repubblica.it/economia/2023/03/17/news/meloni_congresso_cigl_discorso-392511223/, 17 marzo 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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