Il diritto allo studio e i raccomandati americani

history 3 minuti di lettura

Le scuole e le università sono una delle cartine di tornasole del nostro futuro. Un ampio ed equo significa poter assicurare le stesse potenzialità di crescita dei ragazzi non solo nell'apprendimento culturale, sia tecnico-scientifico che umanistico, ma anche per l'ascesa sociale. Il diritto allo studio non significa solo avere una teorica possibilità di andare a scuola, ma essere nelle condizioni di fatto per poterne usufruire. È per questo che si assegna priorità ai più disagiati.

La sindaca leghista di Monfalcone (provincia di Gorizia), la signora Anna Cisint in pieno ossequio alle tesi del capo del suo partito, ha deciso di limitare al 45% i bambini stranieri nelle classi dei due istituti comprensivi comunali. Il risultato di questa decisione è quello dell'esclusione di decine di alunni. I genitori di questi alunni o avranno le risorse finanziarie o i loro figli non potranno studiare, iniziando un processo di emarginazione.

L'amministrazione Trump ha revocato le direttive di Obama che promuovendo l'accesso paritario all'istruzione incoraggiavano l'accesso delle minoranze. I responsabili di Washington vogliono sempre più scuole “neutrali” cioè che non favoriscano qualcuno. Di fatto si tratta di misure che renderanno ancora peggiore il livello di sperequazioni in futuro tra una ristretta classe alla guida del paese e le masse poco e per nulla istruite destinate all'emarginazione e a lavori poco pagati e spesso umilianti.
Che si voglia mantenere queste differenze diventa chiaro quando leggiamo di altri fenomeni per nulla neutri, anzi con la funzione esattamente contraria e cioè quella di favorire le élite.

Un interessante articolo di Richard D. Kahlemberg, specialista di questioni educative, spiega come, in molte università americane, essere figlio di papà laureato all'università è un vantaggio. Un'inchiesta dell'Harvard Crimson rivela che «il 29% dei nuovi studenti del primo anno ha un genitore che ha ugualmente studiato ad Harvard», mentre un altro studio del 2017 – sempre a proposito di Harvard – mette in chiaro che «la metà degli studenti dell'ateneo appartiene al 10% delle famiglie più abbienti del paese. E quelli appartenenti all'1% delle famiglie più ricche in assoluto sono quasi altrettanto numerosi dei loro compagni provenienti da 60% delle famiglie più modeste» [1].

Come si arriva a questi dati? Non solo attraverso gli indubbi vantaggi economici ma anche ad una pratica di vero e proprio privilegio ereditario. Uno studio del 2004 di ricercatori di Princeton, esaminando un campione delle migliori università, diceva che «essere “figli di” equivale ad avere un bonus di 160 punti (su un totale di 1600 possibile) al test di attitudine scolastica». E Daniel Golden scrive: «Nelle università selettive, i figli di ex allievi, sono in genere tra il 10% e il 25% della popolazione studentesca. Il fatto che queste proporzioni non presentino grandi variazioni da un anno all'altro sembra indicare l'esistenza di un sistema informale di quote interne» [2].
Chiudiamo con le conclusioni del libro di Thomas Dye, “Who's running America?”, sempre citato Kahlemberg, «oltre la metà degli imprenditori e circa il 40% dei responsabili governativi hanno fatto i loro studi in una delle dodici università più quotate».

Pasquale Esposito

[1] Richard D. Kahlemberg, “Come papà mi ha fatto entrare ad Harvard”, Le monde diplomatique – il manifesto, giugno 2018, pag. 10
[2] Richard D. Kahlemberg, ibidem

canale telegram Segui il canale TELEGRAM

-----------------------------

Newsletter Iscriviti alla newsletter

-----------------------------

Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie

In this article
No widget found with that id