Il diritto di studiare e la libertà di scegliere

carcere ergastolo
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Il diritto di studiare e la libertà di scegliere. Il Polo Universitario Penitenziario dell’Università Federico II di Napoli.
Vorrei iniziare il racconto di questa straordinaria esperienza citando l’art. 27 della nostra CostituzioneLe pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” e l’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti UmaniL’istruzione deve essere indirizzata al pieno o sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.
Ciò premesso, è necessario avere un quadro completo e ricordare che nel 2014 la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia per violazione dell’art.3 della Convenzione sui Diritti Umani per trattamento inumano e degradante delle persone detenute, il reato ascritto all’Italia è quello di “tortura” di coloro che sono reclusi nelle carceri del Paese. L’European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, legittimato a effettuare controlli senza preavviso in ogni luogo soggetto alla giurisdizione di uno Stato in cui siano trattenute persone, ha fissato degli standard che definiscono le condizioni materiali e le modalità della detenzione ai quali tutti i luoghi di reclusione devono rispondere per garantire la salute, la dignità e il rispetto della privacy dei reclusi. L’Italia dell’esecuzione penale è riuscita a scendere talmente al di sotto degli standard da essere condannata e invitata a una risoluzione strutturale del problema del sovraffollamento carcerario, eliminandone le cause con misure di carattere generale e a predisporre “un ricorso o una combinazione di ricorsi” che consentano di “riparare le violazioni in atto”. Il Governo italiano ha preso una serie di importanti provvedimenti che hanno portato a un miglioramento della situazione generale delle condizioni di vita negli istituti, pur senza misure risolutive, fino alla chiusura del caso da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

Questa emergenza ha portato nel 2015 a una consultazione nazionale, gli “Stati generali dell’esecuzione penale” (Santangelo, 2017), voluta dall’allora Ministro della Giustizia Andrea Orlando, con l’obiettivo di dare nuovo senso e assetto all’esecuzione della pena con un approccio metodologicamente inedito; quasi un anno di lavoro, 18 tavoli tematici sulle problematicità più rilevanti, oltre duecento esperti da tutto il Paese. Il lavoro svolto nel suo complesso ha rappresentato un risultato culturalmente molto importante e ha posto al centro del dibattito pubblico il tema dell’esecuzione penale, un tema ostico e difficile.

Il carcere è rimosso sistematicamente dal quotidiano, nessuno vuole sapere, occuparsene, preoccuparsene; l’intenzione di tutti coloro che hanno con passione lavorato per gli Stati generali è stata indurre la società a capire, a conoscere, per avvicinarsi consapevolmente a questa dolorosa realtà, che è parte del nostro vivere civile. La condanna della Corte per i diritti umani ha, però, messo in evidenza non solo l’inadeguatezza delle strutture penitenziarie italiane attraverso la questione dello spazio, sia in termini quantitativi che qualitativi, ma anche la dimensione spazio-temporale della pena, quella dimensione necessaria per mantenere la dignità umana come parametro inderogabile. La pena detentiva consiste in definitiva in una sofferenza causata dalla privazione della libertà e dei diritti in un determinato periodo di tempo, questo significa che il tempo prestabilito dalla pena è un tempo perso se smette di essere un tempo in cui si “accumulano esperienze”. La vacuità del tempo della detenzione è l’emblema di una concezione afflittiva della pena, un tempo nel quale l’uomo recluso è annullato nei diritti e immerso forzatamente nella realtà “infantilizzante” del carcere. Una pena coerente con la dignità dell’uomo richiede un riconoscimento pieno dei diritti.

Questo il prologo alla costituzione del Polo Universitario Penitenziario dell’Università Federico II, un’iniziativa che vede il più grande Ateneo del Mezzogiorno farsi costruttore di giustizia sociale e promotore della dignità dell’uomo, alla quale in alcun modo e per nessun motivo si può derogare. La funzione rieducativa della pena, richiamata dal dettato costituzionale, non può e non deve essere in alcun modo inflittiva, ma deve divenire una fase costruttiva nella vita di coloro che hanno commesso degli errori; una rieducazione che è rieducazione sociale, quindi reinserimento, relazione con la collettività e con l’esterno. Anche la Corte costituzionale è stata molto chiara in tal senso, affermando che è dovere istituzionale accompagnare il cambiamento culturale all’interno del carcere, facendo si che “quel residuo di libertà che resta all’interno delle mura sia esaltato nella sua massima potenzialità”, perché è quel “residuo di libertà” che permette di capire se una volta fuori il detenuto sia realmente in grado di costruire e gestire una libertà definitiva.
L’articolo 27 della nostra Costituzione riportato in esergo indica da dove si debba ripartire ed è proprio quanto il Rettore Manfredi si è prefissato decidendo di costituire il Polo Universitario Penitenziario della Federico II, perseguendo il principio rieducativo della pena e concretando il ruolo che l’Istituzione universitaria può e deve avere nell’azione sociale.
L’istruzione è uno degli strumenti fondamentali per la rieducazione, come sollecitato anche dall’ONU e dal Consiglio d’Europa; peraltro nel nostro ordinamento si configura come uno degli interventi che l’amministrazione penitenziaria deve offrire ai detenuti. L’istruzione in generale, specialmente quella superiore universitaria, può rappresentare un mezzo per ripensare alla propria realtà personale in modo diverso e nuovo, per ricostruire la propria dignità perduta e schiacciata dalla condanna. In carcere si concentrano molte forme di ingiustizia e il principio dell’isolamento dall’esterno si autoalimenta, il carcere diviene così luogo fisico di esclusione e, al contempo, produttore di marginalità sociale per soggetti con minori possibilità di autodeterminazione.

Due anni fa con il Rettore Manfredi, anche su sollecitazione dell’allora Garante regionale delle persone private della libertà personale Adriana Tocco, abbiamo deciso di intraprendere questo percorso, in collaborazione con il Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria Martone, avviando la non facile costituzione del primo Polo Universitario Penitenziario del sud Italia. Nel Settentrione già esistono Poli in diverse regioni, il più antico è quello torinese nato durante gli anni del terrorismo politico su sollecitazione degli stessi detenuti, con molti anni di lavoro è anche quello presso il carcere Due Palazzi di Padova, mentre un modello diverso è quello toscano organizzato su scala regionale, con il coinvolgimento di vari Atenei della regione che operano nei diversi Istituti presenti nelle province.
La relazione tra l’Ateneo Federico II e il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria della Regione Campania è ormai di antica data, il primo accordo quadro tra le due Istituzioni risale a vari anni addietro e testimonia la volontà concreta di collaborazione istituzionale che si è già concretizzata nei primi anni in attività e iniziative che hanno visto coinvolti numerosi dipartimenti e docenti; nelle more della costituzione del Polo si è rinnovato l’Accordo e il nuovo testo vede come obiettivo centrale l’istruzione superiore universitaria, come conferma importante del rapporto di cooperazione a tutti i livelli.

L’Università adempie a un dovere imprescindibile quello di garantire a tutti coloro che lo desiderano e ne hanno i requisiti, la possibilità di esercitare il diritto allo studio anche in condizioni particolari, attraverso apposite misure e agevolazioni, dimostrando al contempo attenzione per un contesto difficile e generalmente dimenticato e marginalizzato; nel Polo è coinvolto anche il personale penitenziario (poliziotti, educatori, amministrativi) che può iscriversi all’Università con alcune agevolazioni e l’opportunità di completare la sua formazione. Il Polo Universitario rappresenta anche il luogo di incontro e impegno di molte delle realtà e istituzioni che operano a diverso titolo nel mondo penitenziario, anche come impegno di Public engagement e Terza missione.
L’offerta formativa dell’Ateneo Federico II per il Polo Universitario Penitenziario comprende tutti i corsi di laurea, a meno di quelli a numero chiuso nazionale, per oggettive difficoltà sulle quali sta lavorando la Conferenza Nazionale dei Delegati dei Rettori ai Poli Universitari Penitenziari presso la CRUI, costituitasi in questi mesi con l’appoggio del Presidente e nostro Rettore, e che vede impegnati tutti i delegati ai PUP esistenti delle Università italiane (Friso, Decembrotto, 2019).

L’Università Federico II ha, inoltre, deciso l’esonero totale dal pagamento delle tasse universitarie, e in accordo con la Giunta regionale della Campania gli studenti detenuti sono esentati anche dalla tassa regionale; questa dell’esenzione totale è stata una scelta forte del nostro Ateneo, che ha considerato non solo le difficoltà dei detenuti, ma anche quelle delle famiglie in un territorio svantaggiato e difficile.
Gli iscritti al primo anno sono 67, di cui 57 residenti negli spazi del PUP presso il carcere di Secondigliano, distribuiti in diversi Corsi di laurea (Giurisprudenza, Scienze politiche, Sociologia, Scienze nutraceutiche, Scienze erboristiche, Lettere moderne, Economia, Urbanistica) incardinati nei Dipartimenti dell’Ateneo. Naturalmente ogni Corso di laurea è caratterizzato da forme di didattica differenti, con i limiti imposti dalle restrizioni penitenziarie, l’obiettivo di tutti è quello di assicurare una didattica completa e assolutamente equivalente a quanto accade per gli studenti liberi; le lezioni sono regolarmente svolte dai docenti e parte di queste è registrata in modo da non lasciare argomenti non spiegati dal docente; per questo stiamo lavorando con gli esperti del team di federica e-learning per individuare una forma di connessione protetta per gli studenti detenuti, così che possano accedere ai servizi telematici e fruire della opportunità che piattaforma didattica offre a chi, come loro, è in una condizione di difficoltà. Con i colleghi cerchiamo di garantire la nostra presenza in Istituto almeno una volta a settimana durante il semestre, con l’ausilio fondamentale dei tutors, giovani laureandi o specializzandi che hanno partecipato al bando di Ateneo per il supporto allo studio. Va precisato che i docenti prestano la loro opera volontariamente, le ore di lezione in carcere sono in aggiunta al carico orario di ciascuno di noi. Con il Polo sta collaborando anche il Centro Linguistico di Ateneo che ha già organizzato in carcere il primo placement test per la valutazione della conoscenza della lingua inglese e un corso dedicato.
Il 4 marzo è stato inaugurato ufficialmente l’anno accademico del Polo, mentre le lezioni hanno avuto inizio nella seconda metà del mese di febbraio, con non poche difficoltà nell’organizzare il calendario delle lezioni, sia per gli impegni dei docenti che per il rispetto dei giorni di colloquio con i familiari che rappresentano per i detenuti il momento centrale della settimana; i corsi sono organizzati in semestri così come all’esterno con uno slittamento temporale che vedrà il primo semestre concludersi a luglio con l’inizio delle sessioni d’esame.
Il Polo Universitario Penitenziario della Campania è fisicamente ubicato nell’Istituto penitenziario di Secondigliano, grazie alla caparbietà e al gran lavoro della Direttrice Giulia Russo che ha difeso strenuamente questi spazi dalle numerose richieste del Ministero di renderli disponibili per ospitare altri detenuti. I 57 studenti risiedono in due sezioni detentive, una per l’alta sicurezza nel padiglione Ionio e una per la media sicurezza nel Mediterraneo, purtroppo solo per detenuti uomini, non essendoci la sezione femminile. Le studentesse recluse restano nel Carcere di Pozzuoli, dove vengono comunque regolarmente seguite, così come quei reclusi che non hanno avuto il permesso di trasferimento a Secondigliano. La possibilità di avere uno spazio dedicato è di estrema importanza, la dimensione spaziale è quella in cui i corpi si muovono, in cui scorre il tempo, in cui i reclusi sono immersi senza alternativa, e associare la possibilità di studiare alla opportunità di vivere con altri ritmi nelle sezioni del Polo Universitario, dove tutto il giorno le celle sono aperte, gli orari sono dettati dagli impegni didattici e dalle lezioni, dove vivi con altri uomini che hanno fatto la tua stessa scelta di impegno e si sono assunti la medesima responsabilità. Coloro i quali hanno scelto di iscriversi all’Università hanno anche scelto di vivere nell’Istituto di Secondigliano, chiedendo nella maggior parte dei casi il trasferimento da altri istituti e sottoscrivendo un “patto trattamentale” con l’Amministrazione penitenziaria, che è un impegno importante non solo con sé stessi, ma anche con gli altri studenti ristretti, in una condizione di condivisione di vita questa volta scelta e non imposta dalla pena.

Il mondo del carcere è una sorta di “universo parallelo”, all’interno del quale troviamo una umanità in difficoltà e sofferente, entrare in questa realtà è difficile ma apre orizzonti insperati e, talvolta, inimmaginati; ripartire dai diritti umani fondamentali significa ripensare totalmente il carcere che da luogo di esclusione fisica e concettuale può divenire il luogo da cui “rimettere in moto la vita” attraverso la cultura e la funzione educativa, che diviene così risposta al dettato costituzionale della funzione rieducativa della pena. I soggetti rinchiusi in carcere che scelgono di iscriversi all’Università scelgono di ricostruire la propria personalità, di ritrovare sé stessi attraverso le opportunità di una formazione universitaria equivalente a quella esterna.
Si può aggiungere che l’Università in carcere attraverso i Poli può rappresentare il concreto superamento dell’istituzione totale delineata da Goffman: “un’istituzione è totale quando ha un potere particolarmente inglobante sull’individuo” (Goffman, 1961), per indebolire questo potere bisogna mettere le persone recluse in condizione di sentirsi uomini a cui vengono riconosciuti tutti i propri diritti, pur se si sta scontando la propria pena. L’Università in carcere crea comunità, nel rispetto reciproco, in una condizione di condivisione di vita, questa volta scelta e non imposta; la comunità degli studenti reclusi si unisce alla comunità accademica della Federico II arricchendo studenti e professori.
Pensare a un mondo della pena diverso, fatto di dignità, opportunità e occasioni sembra quasi utopico, ma l’esperienza del Polo Universitario Penitenziario ci racconta che attraverso azioni concrete si può iniziare a incidere sulla realtà. Come ha scritto Edoardo Galeano: «L’utopia è come l’orizzonte. Cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana dieci passi. E allora a che cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare».

Marella Santangelo
professore di Composizione architettonica e urbana al Dipartimento di Architettura e Delegato del Rettore al Polo Universitario Penitenziario dell’Università di Napoli Federico II.

Questo articolo è sintesi di altri lavori.

Bibliografia
E. Goffman, Asylums, Essays on the social situation of mental patients and other inmates, trad.it ASYLUMS
Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Edizioni di Comunità, Torino 2001.
M. Santangelo, In prigione. Spazio e tempo della detenzione, Lettera Ventidue Edizioni, Siracusa, 2017.
V. Friso, L. Decembrotto (a cura di), Università e carcere. Il diritto allo studio tra vincoli e progettualità, Guerini Associati, Milano 2019.

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