
Se siete appassionati di calcio, questo sport di origini antichissime ma codificato, nella sua versione moderna, in Inghilterra alla metà del XIX secolo e da allora diffusosi rapidamente in tutto il mondo, guarderete certamente, non foss’altro per curiosità, Il divin codino, il lungometraggio diretto da Letizia Lamartire in onda su Netflix dallo scorso 26 maggio. Il film ripercorre in (brevi e poche) pillole la carriera di Roberto Baggio, ritenuto uno dei migliori giocatori nella storia del calcio mondiale (vincitore del Pallone d’Oro nel 1993) e ancora oggi, a 17 anni dal suo ritiro, amato e ricordato con grande affetto da tantissimi tifosi.
Ma se per caso pensaste che il calcio non sia altro che un futile passatempo in virtù del quale 22 individui in calzoncini e maglietta si rincorrono prendendo a calci un pallone, osannati o deprecati da milioni di spettatori che ne seguono le peripezie con incredibile quanto immotivato interesse, mi sentirei comunque di consigliarvi la visione di questo film.
Non si tratta infatti di un biopic tradizionale né dell’agiografia di un giocatore. La pellicola della Lamartire, ben interpretata da un intenso Andrea Arcangeli e da una felice e credibile schiera di attrici e attori, intende descrivere la parabola umana, prima ancora che sportiva, di un ragazzo alla costante ricerca di se stesso e all’inseguimento di un sogno che ne costituisce al contempo affermazione e conseguimento di una gratificazione attesa invano fin da piccolo. Roberto Baggio è un predestinato, un fuoriclasse eccezionalmente dotato dal punto di vista tecnico e abile tanto in fase di manovra quanto in fase realizzativa. Durante la sua carriera è stato vittima di numerosi e gravi infortuni dai quali ha sempre saputo riprendersi con incredibile sacrificio e forza di volontà.

Il film ce lo mostra quando, appena diciottenne e fresco acquisto di un’importante squadra di serie A, la Fiorentina, si infortuna gravemente durante una partita ed è costretto a oltre un anno di assenza dai campi di gioco. Durante questo durissimo periodo, lontano dalla fidanzata e dagli affetti familiari, vive una profonda crisi esistenziale e si avvicina alla fede buddista grazie alla quale trova la forza di riprendersi e la fiducia nei propri mezzi. A questo punto, sorvolando sulle sue 5 stagioni alla Fiorentina e sul suo successivo clamoroso e discusso trasferimento alla Juventus, il film ci trasporta negli Stati Uniti durante il Campionato del Mondo del 1994. Baggio è la stella della Nazionale Italiana e, dopo un inizio stentato e deludente e nonostante un rapporto conflittuale con il Commissario Tecnico Arrigo Sacchi, confortato anche dalla presenza di moglie, figlia e genitori che lo raggiungono in America, riesce a trascinare l’Italia, a suon di gol, fino alla finale contro il Brasile. La partita resta sullo 0 a 0 anche dopo i tempi supplementari e sarà proprio lui, sbagliando l’ultimo e decisivo rigore, a decretare il successo della squadra brasiliana. Questo errore segnerà tutta la sua esistenza e lo tormenterà a lungo togliendogli il sonno. Con un altro salto temporale e trascurando quindi le successive stagioni al Milan, al Bologna e all’Inter e i numerosi dissapori con i diversi allenatori, il film ci conduce all’estate del 2000 quando Baggio, considerato ormai un giocatore caratterialmente ingestibile e fisicamente sul viale del tramonto, viene ingaggiato dal Brescia e trova finalmente, nella stima dell’allenatore Carlo Mazzone, un surrogato dell’affetto paterno sempre ricercato. Il suo sogno è adesso la convocazione in Nazionale per il Campionato del Mondo che si giocherà in Giappone nel 2002. Un nuovo drammatico e gravissimo infortunio di gioco sembra infrangere definitivamente tale sogno ma ancora una volta, con il sostegno e lo stimolo della famiglia e dell’amico manager e grazie a un pesante e faticoso lavoro di riabilitazione, Baggio saprà riprendersi e ritornare in campo dopo meno di tre mesi dall’incidente. Lo attende però una nuova cocente delusione: il Commissario Tecnico della Nazionale, Giovanni Trapattoni, nonostante gli avesse fatto un’esplicita promessa in merito alla convocazione, lo esclude dalla rosa dei convocati. Il giocatore, vincendo lo sconforto e la rabbia per quello che considera un ingiusto e ingiustificato tradimento, continuerà a giocare con successo nel Brescia per altre due stagioni, fino a disputare, il 16 maggio 2004, l’ultima partita della sua straordinaria carriera. Il film si chiude con un chiarimento e un commovente ricongiungimento affettivo con il padre. Durante una sosta presso un autogrill Baggio si ritrova circondato dall’affetto e dall’ammirazione dei tifosi che lo riconoscono. E in un’ultima inquadratura il divin codino ringrazia quasi imbarazzato e con le lacrime agli occhi.
Il film ha ricevuto molte critiche negative e gli sono stati imputati, quali imperdonabili difetti, la scarsissima attenzione dedicata alla carriera calcistica di Baggio, il mancato ricorso a filmati d’epoca o alla ricostruzione cinematografica per documentare i tanti momenti di gloria vissuti dal calciatore, una troppo poco approfondita analisi del suo rapporto conflittuale con gli allenatori e una troppo superficiale rappresentazione del suo ruolo nei confronti dei compagni di squadra e della tifoseria che si è trovata spesso divisa tra detrattori ed estimatori. Ma alla giovane regista barese (classe 1987) e ai suoi sceneggiatori (Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo) non interessava, con tutta evidenza, mettere in luce o comunque sottolineare i successi calcistici del protagonista né, tantomeno, ripercorrerne con cronologica precisione la vicenda sportiva. Il film ha voluto presentare un Baggio in gran parte inedito e poco conosciuto, con le sue debolezze, le sue fragilità, le indecisioni, le speranze, i sogni e le ossessioni, la ricerca spasmodica di un’affermazione, una realizzazione, una serenità interiore indipendente, per quanto possibile, dal suo innegabile genio pallonaro.
Il rapporto con il padre, burbero e severo, avaro di complimenti ma al solo scopo di preparare il figlio alle inevitabili delusioni che la vita gli avrebbe riservato in un mondo nel quale la caduta nella polvere dopo i fasti e i facili trionfi è subito dietro l’angolo, è tutt’altro che superficiale ed è tutto giocato su sguardi e silenzi che dicono molto più di mille dialoghi. E a questo proposito merita una segnalazione l’ottima interpretazione di Andrea Pennacchi, noto al pubblico televisivo grazie al programma Propaganda Live e per la sua partecipazione alla serie tv Petra. E molto ben rappresentati risultano anche l’approccio e la successiva conversione al buddismo e la serena forza interiore che questa dottrina saprà infondere in Baggio nei tanti momenti difficili e dolorosi della sua carriera. Il divin codino è quindi il racconto della crescita e maturazione di un ragazzo che è riuscito ad affermarsi, al di là delle sue doti sportive e dei suoi tanti successi, come uomo forte, coerente, indisponibile ai compromessi, capace di risorgere dopo le sconfitte e di affrontare difficoltà e sofferenze con grande spirito di sacrificio e forza di volontà. Il film riesce a presentarci, in poco più di 90 minuti, gioie e dolori di un grande calciatore che ha saputo sempre dimostrarsi, e non è così scontato, un grande uomo. Mi pare che questo, al netto di qualunque difetto si voglia o si possa trovargli, sia un merito non da poco. Buona visione.
GianLuigi Bozzi
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie