
C'è da emozionarsi ad osservare la fila eterogenea di giovani e anziani davanti al Teatro Argentina, in una gelida mattina di fine Gennaio.
Hai la sensazione che poi le cose non possano andare così male.
Il Teatro è pieno, addirittura molti restano in piedi per vedere meglio, ci si stringe nei palchetti che sono gli ultimi a riempirsi.
Si spengono le luci e sui due divani rossi siedono Corrado Augias (giornalista e scrittore), Luciano Canfora (filologo, storico e scrittore), Toni Servillo (attore di teatro e cinema) e Maria Rosaria Barbera (Sovraintendente ai beni archeologici del Comune di Roma).
Augias, dopo aver presentato Canfora, Barbera e Servillo, fa intuire che il dibattito tra lui e Canfora sarà una sfida intellettuale, caratterizzata da due visioni di Augusto molto contrastanti e inizia introducendo la sua visione utopica del disegno etico-civile romano attraverso sei versi dell'Eneide di Virgilio (VI, vv. 851-853) letti da Toni Servillo:
«Tu ricorda, Romano, di dominare le genti; queste saranno le tue arti: stabilire norme alla pace, risparmiare i sottomessi e debellare i superbi».
Con queste parole Anchise preannuncia nell'Eneide la futura grandezza di Roma, la città che nascerà dalle lotte e dai sacrifici del figlio Enea.
Virgilio, sostiene Augias, si pone dunque, come uno degli artefici della propaganda augustea, che da una parte critica in modo evidente la cultura greca, circoscritta solo alle arti ed incapace di difendersi, dall'altra esalta la dominazione romana che avrebbe portato pace e prosperità alle popolazioni conquistate.
Anche secondo Canfora, Virgilio si è piegato al potere, infatti si evince dai versi che ci sono delle regole che devono essere rispettate e che se non vengono subite, i superbi dovranno essere “debellati”.
Secondo Canfora questi versi sono una replica al De Rerum Natura di Lucrezio, il quale invece esalta la cultura ellenistica anche attraverso una confutazione sulla filosofia epicurea. Ed inoltre, al contrario di Augias che parla di etica, lo storico commenta i versi dell'Eneide sostenendo che sia evidente una visione imperialista di Roma che vuole sopprimere i superbi e che sono proprio coloro a non piegarsi.
Tra i grandi sostenitori di Augusto, Augias cita anche Cicerone, il quale si schierò decisamente contro Antonio, ritenendo Ottaviano (Augusto) il vero erede politico di Cesare, e uomo mandato dagli dei per ristabilire l'ordine. Quindi Cicerone che ha sostenuto Augusto come membro del senato, sperava nella salita al potere di un giovane Princeps per ridare centralità al senato stesso, al fine di riportare la pace e riformare la repubblica.
Ma le cose andarono diversamente e Cicerone, dice Augias, ci rimise la testa.
Infatti Cicerone tra il 44 a.C. e il 43 a.C., pronunciò contro Antonio le Filippiche, ossia una serie di orazioni di accuse. Ma Augusto, dopo aver sconfitto Antonio a Modena, instaurò con Antonio stesso e Marco Emilio Lepido il secondo Triumvirato.
Cicerone capì subito che il suo piano era fallito ma, nonostante questo, non ritirò le orazioni rivolte ad Antonio nelle Filippiche. Per questo motivo Antonio, nonostante l'opposizione di Ottaviano (Augusto), decise di condannare a morte Cicerone, inserendolo nelle liste di proscrizione.
Cicerone ritiratosi a Formia, fu raggiunto dai sicari di Antonio che lo decapitarono e gli tagliarono anche le mani, o forse soltanto la mano destra con la quale aveva scritto le Filippiche. Sia la testa che le mani furono esposte in senato, appese ai rostri come monito per gli oppositori.
Cicerone viene comunque descritto da Augias come un grande statista, molto spregiudicato che conosceva benissimo i rischi della politica. Fu anche indicato come l'ispiratore morale della morte di Cesare.
Per capire meglio come viene descritto Augusto, Augias cita Seneca che nel “De Clementia” ispirato a Nerone, scrive: “Divus Augustus fuit mitis princeps”, ma come dice anche Canfora, Augusto non fu mai mite, neanche da vecchio. La sua vita privata non fu lieta. Anzi Augusto ebbe l'audacia di salire al potere attraverso le truppe di Cesare.
Augias riferisce di Tacito e Toni Servillo lo legge. Tacito infatti descrive bene negli Annales l'ascesa al potere di Augusto. Infatti dopo l'uccisione di Bruto e Cassio, l'emarginazione di Lepido e l'uccisione di
Antonio, a capo delle forze cesariane restò Cesare Ottaviano (Augusto), il quale decaduto il ruolo di triumviro, si presentò come console.
Tacito scrive:
“Quando ebbe adescato i soldati con donativi, con distribuzione di grano il popolo, e tutti con la dolcezza della pace, cominciò passo dopo passo la sua ascesa”.
Dunque Augusto, continua Tacito:
”cominciò a concentrare su di sé le competenze del senato, dei magistrati, delle leggi, senza opposizione alcuna: gli avversari più decisi erano scomparsi o sui campi di battaglia o nelle proscrizioni.”
Augias riporta che una volta salito al potere Augusto distribuisce i poteri alla propria cerchia famigliare, identifica un primo erede Claudio Marcello, concedendogli la carica di pontefice e nominò console per due anni consecutivi Marco Agrippa. Per descrivere la personalità di Augusto, ricorda come Cleopatra sia riuscita a sedurre Cesare e Antonio, mentre “la sua beltà non riuscì a prevalere sulla pudicizia del Princeps”.
Canfora ricorda che Augusto emanò una riforma moralizzatrice dei costumi a stampo chiaramente maschilista, alla quale Giulia si ribella adottando, secondo Seneca alcuni comportamenti pubblici decisamente corrotti e libertini, oltraggiando addirittura con pratiche sessuali i luoghi del potere. Giulia viene quindi descritta come una prostituta che deve essere esiliata, per i suoi adulteri e per le sue numerose relazioni. A sua difesa lo storico sostiene che nella storia i ritratti femminili vengono di continuo demonizzati e secondo lui Giulia rappresenta una donna che si ribella alla sudditanza, rivendicando la sua libertà. Il vero motivo per il quale Giulia viene esiliata a Ventotene, risiede nella congiura che secondo Augusto, lei stava tramando alle sue spalle.
Nel raccontare la fine dell'imperatore Augias ipotizza che la moglie Livia possa aver accelerato la sua morte.
Sarà la professoressa Barbera, esperta di urbanistica augustea, a spiegare la centralità del Palatino residenza di Augusto, luogo in cui Enea fu accolto, luogo in cui fu ritrovata la cesta con Romolo e Remo, e quindi la prima Roma quadrata fondata da Romolo. E così, grazie anche a Virgilio, Augusto viene rievocato come il secondo fondatore di Roma, incarna Apollo, ed è anche abile nel trasmettere un'immagine di se austera e modesta, anche se non lo era affatto.
Augusto nasce in un punto tra il Colosseo ed il Palatino, in cui Livia crea un sacrario. Augusto si tramuta quindi in un nuovo Romolo, riesce a creare un'immagine di se grazie ai poeti che lo sostengono come Orazio, Ovidio, Tacito, tutti amici che lo elogiano e lo dichiarano favorito dagli dei, e lo descrivono come un grande guerriero, anche se in realtà non lo era stato mai.
Si diceva che fosse vestito con i panni fatti dalle donne di casa, ma non era vero.
Con l'incendio del 3 d.C. la parte superiore della casa di 2.700 metri quadri al Palatino è stata distrutta, mentre il suo studiolo di 10 metri quadri in cui Augusto si ritirava per definire i destini dell'impero si salvò.
Come fece Romolo, spostò il culto di vesta nella sua dimora e rese la sua residenza una Domus pubblica, secondo Canfora questo fu un tentativo di assimilazione a Romolo fondatore della città e Ovidio descrive la casa come “la dimora degna di un Dio”.
Altro luogo centrale era la villa di Livia di Prima Porta. Augias ci ricorda la leggenda dell'aquila che fa cadere sul ventre di Livia una gallina bianca con il rametto di alloro nel becco. In quel punto crescerà il boschetto di alloro che come ci ha anticipato la Sovraintendente, all'apertura della casa di Livia, lo si potrà rivivere essendo stato ricreato.
In chiusura Augias si chiede come mai conserviamo una veneranda memoria di Augusto e se è giusto perdonargli tutto visto il raggiungimento di risultati così elevati. Gli viene perdonato tutto perché ,dopo anni di guerre civili, Augusto è riuscito ad assicurare la pace?
Per Canfora è molto pericoloso pensare che l'importante sia il raggiungimento dei risultati, e che la politica vada da una parte e la morale dall'altra. Così, “hai praticamente demolito il pensiero di Machialvelli“, gli ribatte Augias. Ma Canfora non si arrende, e ricorda che la Pax augustea è stata ottenuta decapitando la classe dirigente ed eliminando i nemici e conclude citando Tacito:
“Desertum fecerunt et pacem appellaverunt”. “Crearono un deserto e la chiamarono pace“.
Gli applausi sono tanti, scaldano gli animi ed anche tutti quei corpi che stanno uscendo fuori in questa gelida mattina di fine Gennaio.
Bianca Tor
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